MILANO – Cosa cambia tra lo zucchero di canna e quello di barbabietola. Tutto sommato, non molto. A prima vista si tratta di prodotti molto diversi, ma la scienza smentisce le apparenze e i luoghi comuni. Chimicamente, infatti, i due zuccheri sono identici. Derivano entrambi dal saccarosio, anche se provengono da piante diverse. Anche sul piano calorico, il loro apporto è molto simile (4 kcal al grammo).
Cosa fa dunque preferire lo zucchero di canna? Al di là del marketing e dei gusti personali. Molti credono che quest’ultimo sia migliore di quello bianco, in quanto meno raffinato. Ma, anche in questo caso, l’apparenza inganna. Entrambi infatti subiscono un processo industriale di raffinazione che consta di diverse fasi.
E, alla fine, a distinguerli sono soprattutto l’aspetto e il colore, oltre al sapore vagamente più sofisticato. Quanto alla sfumatura ambrata dello zucchero di canna, essa è legata alla presenza di alcuni residui di melassa. A comporli: sali minerali, fibre e vitamine, presenti comunque in concentrazione non sufficiente per avere benefici significativi in una dose normale. Come quella della bustina che utilizziamo per addolcire il caffè al bar, per intenderci.
I residui della lavorazione della barbabietola, da cui si ricava lo zucchero bianco, non sono invece considerati gradevoli per il nostro palato. La raffinazione a cui esso è sottoposto non incide comunque sulle proprietà nutritive.
Il dolcificante più antico fu il miele
Che molti apprezzano ancora oggi, ad esempio, negli infusi. Quest’ultimo ha il vantaggio, se ben conservato, di durare per un tempo lunghissimo. Qualcuno lo definisce addirittura “l’unico cibo eterno”. La prova? I vasi di miele rinvenuti dagli archeologi nelle tombe egizie, ancora perfettamente conservati nel colore, nel sapore e nella consistenza a distanza di millenni.
Lo zucchero di canna viene introdotto in Europa dai mercanti arabi. Quello bianco è arrivato per ultimo. La sua diffusione ebbe infatti come premessa la scoperta compiuta dal chimico tedesco Andreas Sigismund Marggraf nel 1747, che dimostrò la presenza di saccarosio nelle barbabietole.