MILANO – Zàini è storia di cura per la materia prima, di elaborazione di prodotti di qualità, ma è anche testimonianza di un lavoro a sostegno del genere femminile sin dalle origini dell’azienda di cacao. Per ripercorrerne gli anni, fatti di impegno e emancipazione, leggiamo il ritratto di tante generazioni composte da figure coraggiose, dall’articolo di Giulia Mancini su repubblica.it.
Zàini dalla parte delle donne
È sempre difficile, a tratti impossibile, capire se alcune donne siano nate con un’indole straordinaria o se siano state le circostanze straordinarie della vita e della storia a far sì che tirassero fuori doti innate. Di alcune si è semplicemente perso lo stampino, ma sono donne che lasciano in eredità esempi di vita che donano carattere e inclinazione dei discendenti, donne forgiatrici di memoria, modello di vita e famiglia.
Olga Torri “non era una donna formata per il lavoro, aveva quattro bambini da crescere – due dal primo matrimonio del marito cui se ne sono aggiunti altri due, racconta la nipote Antonella Zàini – ma aveva una forza interiore che nelle nuove generazioni è difficile trovare. Una di quelle persone che ti fa domandare: era una donna straordinaria o sono state le vicende a tirare fuori forze fuori dall’ordinario?”.
Era il 23 luglio 1913
Quando Luigi Zàini inaugurò a Milano la fabbrica che porta il suo nome ‘Fabbrica di cioccolato, cacao, caramelle, confetture e affini’: “Il nonno prima di fare il cioccolato si occupava di importazione dall’Inghilterra di biscotti e dolciumi vari – racconta il nipote Luigi, oggi al timone dell’azienda insieme alla sorella Antonella – quale sia stata la scintilla che lo ha portato dall’essere commerciante a diventare industriale non lo sappiamo. A Milano c’erano in quegli anni una quindicina di cioccolaterie, oggi all’interno della città siamo rimasti solo noi a farlo a livello industriale”: Zàini è la più antica e l’unica ancora attiva nella città”.
Zàini: un regno del cioccolato fondato sul lavoro (e il coraggio) delle donne
Un uomo inserito nel settore dell’epoca che ha saputo cogliere l’opportunità, con la lungimiranza che ha reso il commerciante imprenditore. La vita non fu tenera con lui, privandolo della prima moglie quando i primi due figli erano ancora bambini, ma lo ha ricompensato mettendo al suo fianco Olga, il cui piglio si sente dalle parole del nipote: “La nonna è stata una donna che già nella vita privata aveva preso la decisone di sposare un vedovo con due figli piccoli, nella vita coniugale partiva con un’occupazione aggiuntiva rispetto a una giovane sposa”. La lavorazione del cioccolato in via de Cristoforis procedeva a pieno regime fra gli eleganti incarti dei cioccolatini che riproducevano le linee liberty in voga all’epoca, il fondente da cucina si chiamava semplicemente ‘block’ all’inglese, le caramelle e una eccezionale campagna pubblicitaria lo faceva conoscere in tutta Italia, grazie anche alle figure dipinte a mano che ritraevano personaggi sportivi e dive del cinema.
La mole di lavoro impone spazi più ampi per la produzione, così nel 1926 diventa operativa la nuova sede in via Imbonati
Dove le tante operaie donne trovavano impiego nelle delicate mansioni di confezionamento grazie a mani piccole, agili e abituate a lavori di minuzia. Un destino crudele interrompe la vita di Luigi Zàini nel 1938, lasciando la moglie Olga con quattro figli da crescere e un’azienda da mandare avanti; senza perdersi d’animo si rimbocca le maniche e scende in campo, anzi in azienda che, come si soleva fare ai tempi, vedeva la casa affiancata.“
Nonna Olga è stata una di quelle persone che, davanti ai colpi delle disgrazie, reagiva senza domandarsi se ne avesse voglia, come le donne di un tempo era stata educata per affrontare la difficoltà che arrivano nel viaggio della vita. Non parlava di fatica, ma si percepiva la fatica delle decisioni prese in solitudine, essendo per di più donna in quegli anni”, racconta la nipote. Una predisposizione caratteriale e una tempra maturata alle intemperie della vita, da giovane aveva fatto esperienza nella grande drogheria milanese del padre, acquisendo rudimenti che pensava di non dover affinare nella scelta di dedicarsi alla famiglia e ai figli. Un’indole che le vicissitudini hanno fatto emergere, portandola a essere una delle pochissime e fra le prime industriali dell’epoca: “Lei è stata capace, in un momento traumatico sia personale sia aziendale nella scomparsa del marito e del fondatore, di gestire il gruppo tenendolo unito, ha saputo prendere il comando”, sottolinea Luigi.
Una donna di bellezza sobria ed elegante, “la nonna era così come la si vede in foto, non si metteva in posa e non si sistemava per uscire la sera – ricorda Antonella – quando è mancata avevo undici anni e la ricordo sempre perfetta. Noi vivevamo sopra la sua casa e andavo spesso a trovarla: sempre elegante, tacchi, mani curate, capelli sistemati”. Ricordo condiviso anche nella memoria dei tanti collaboratori, Olga era fonte di ispirazione per le donne che lavoravano in azienda e con le quali condivideva ore e ore della giornata. Dotata di quelle virtù che si chiamano grazia ed empatia, “negli anni è emerso – dai ricordi dei collaboratori – il ritratto di una donna elegante e autorevole, autorevolezza che veniva dal suo essere sempre molto in ordine ma anche dall’enorme gentilezza e garbo nei modi”.
Ricomponendo il mosaico della memoria compaiono biglietti o un cesto di frutta
Vecchi dipendenti che raccontavano di aver ricevuto piccoli regali che, a distanza di decenni, rappresentavano un segno di gratitudine: “Riusciva a trasmettere riconoscenza per il valore del lavoro” con gesti che travalicavano la ricompensa monetaria, sconfinando in aspetti umani e personali.
Dopo aver rifiutato lusinghe e offerte di acquisto dell’azienda, messasi al comando della Zàini, famiglia e fabbrica di cioccolato, dopo aver affrontato i primi ostacoli rinsaldando il senso di apparenza del gruppo di lavoro, la Signora Olga si contorna sempre più di collaboratrici donne:
“Non sappiamo cosa abbia portato la nonna ad avere così tante collaboratrici donne, sicuramente la manualità e la precisione nei gesti per gli incarti, ma anche negli uffici ce ne erano tante” impiegate anche in ruoli importanti, imprimendo all’azienda, in anticipo sui tempi, il valore delle pari opportunità, al di là del genere.
Donne e ragazze che, forse ispirate e immerse in un’epoca in cui la femminilità si traduceva in ordine e grazia, erano in grado di indossare con garbo i camici da lavoro, vestendoli a proprio modo con quel pizzico di frivolezza che distingueva ognuna dalle altre: “In passato c’era una dignità diversa nella persona, un atteggiamento comune e diffuso in tutti i livelli sociali, lo si vede nelle foto storiche non solo nostre” sottolinea Luigi.
“La fabbrica dei tusan” dicevano i fornitori, usando l’appellativo che si riserva con cordialità alle donne nel dialetto milanese. Ingredienti tutti che hanno contribuito a un clima di coesione e collaborazione aziendale, fattori che hanno aiutato quando l’azienda venne distrutta sotto i bombardamenti della Seconda guerra mondiale e con prontezza di spirito non ha fatta perdere l’animo alla signora Olga, e con al suo fianco le collaboratici, investendo tutto per la ricostruzione.
“La nonna si è appoggiata alla tata Emilia – racconta Luigi – anche negli anni della guerra quando la famiglia era sfollata nel varesotto. Vicino allo stabilimento erano state posizionate delle batterie contraeree e aveva capito che il rischio bombardamento sarebbe stato estremamente probabile: nottetempo acquistò una casa vicino Varese per trasferire la famiglia e a turno qualcuno dei suoi collaboratori”; lì a Cunardo, paese di montagna dove aveva conosciuto il marito ha trovato riparo per la sua famiglia nel momento del pericolo. Strade e spostamenti ai tempi della guerra rendevano il viaggio poco agevole, ma Olga Zàini faceva la spola fra famiglia e fabbrica, nell’ambivalente ruolo di madre e capo di azienda. Allora come oggi, in modi così diversi che li rendono uguali “il ruolo della tata diventa fondante per la crescita della famiglia – riconosce Antonella, manager e mamma anche lei -.
La nonna ha cresciuto tutti i figli rimanendo una figura centrale. Riconosceva valore a chi riusciva ad alleviare i lavori di casa, non solo alla tata, e lei che era impegnatissima ma anche molto vicina avendo la casa direttamente collegata all’azienda, aveva la capacità di riconoscere il valore e la validità del lavoro altrui e manifestarlo: le bastava uno sguardo per dire no, ma le serviva anche un solo sguardo per gratificare chi faceva bene.” Da questo senso di gratitudine per averla affiancata in un ruolo fondamentale, consentendole di far prosperare l’azienda anche nelle avversità, l’idea di dedicare alla tata che intratteneva i bambini anche cucinando dolci con il cioccolato block, l’iconica tavoletta di fondente che da allora porta il suo nome: il cioccolato Emilia.
Con la guerra alle spalle e la ripresa economica in fieri, Olga Zàini affida ai figli Vittorio e Piero l’azienda
Dopo l’emblematica decisione del nome Emilia che ha consegnato al futuro. Sono anni di espansione e innovazione con i cioccolatini che diventano piaceri da condividere nel momento del ritrovato benessere, “lo zio Piero ha sempre avuto uno spirito internazionale, parlava le lingue quando non era così comune e si è sempre dedicato all’export – racconta Luigi -, papà ha portato avanti il lavoro avviato dalla nonna che era stata fra le prime in Italia ad acquistare macchinari specifici, alcuni modelli riportavano la matricola numero 1. Su questa impostazione, dedicandosi alla fabbrica, hanno ingrandito quello che era il processo con ancora parti manuali, portandolo a essere completamente meccanizzato”, sancendo così il passaggio da artigianale a industriale che ha contraddistinto tante aziende familiari negli anni da post guerra a boom economico.
Azienda sempre propensa a inviare i prodotti sul territorio nazionale, “anche quando era complicato: la capacità dei trasporti era diversa, la logistica condizionata della cioccolata soffriva in alcuni periodi dell’anno e la produzione di caramelle compensava nei periodi caldi. A questo si sommava la difficoltà degli incassi, quindi vendere a Napoli era più complicato che farlo a Cremona” sottolinea Luigi, raccontando anche come le difficoltà non abbiano ostacolato la diffusione dei prodotti. “Il mercato internazionale è arrivato grazie allo zio negli anni ’60, inizialmente con distribuzione europea verso i paesi grandi consumatori di cioccolato, come la Germania, nei decenni successi con una grande espansione verso il Medio Oriente, l’Asia, la zona del Golfo e il mercato canadese”. Tempo al tempo, l’espansione aziendale continua e si afferma, con lei si espande anche la famiglia facendo posto nel 1990 all’ingresso in azienda di Luigi e Antonella: “Quando è mancato precocemente papà Vittorio, mio fratello – che aveva la strada segnata anche nel nome – mi ha chiesto di affiancarlo e per senso del dovere ho lasciato il mio lavoro da avvocato. All’inizio ero disperata, ma adesso non mi vedrei in nessun altro posto”, racconta così lei quel posto che da più di un secolo è non solo azienda, ma famiglia e futuro allo stesso tempo.
“Quando siamo subentrati in azienda uno degli ostacoli maggiori era managerializzare quanto possibile: abbiamo ereditato un’azienda a dimensione familiare, una di quelle in cui avevi una persona attorno cui ruotava tutto, nel nostro caso era papà.” Retaggi culturali e organizzativi che spesso le generazioni si trovano a dover affrontare nel passaggio, “ci siamo impegnati nel mettere in atto il cambiamento affinché ci sia qualcosa anche dopo di noi con qualcuno che abbia la capacità, non necessariamente i nostri figli”.
Con le parole di Luigi
“volevamo riuscire a portare un mattoncino in più che faccia dire che è stato posto per la costruzione del futuro”, ogni generazione aggiunge un tassello alla realtà imprenditoriale che nasce da una famiglia e diventa motore per tante altre, tutte quelle di chi lavora in azienda. Dalle loro parole condivise negli intenzioni e nelle azioni, emerge il valore dell’azienda familiare: “Significa avere il manager che non guarda solo i numeri – ci tiene a specificare Antonella – se hai il potere puoi fare tante cose che puoi fare per rendere migliore la vita di chi lavora con te, non solo guardare il fatturato. Questo è un insegnamento avuto da nostro padre e che lui aveva ricevuto da sua mamma.”
Insegnamento che trasuda l’empatia e il garbo della signora Olga, che si riflette nelle azioni dei nipoti e schiera ancora una volta la Zàini al fianco delle donne, in una delle molteplici direzioni che può prendere la vita si fa largo l’intenzione di offrire sostegno a donne lontane nel mondo ma vicine nel pensiero e nell’impegno. Luigi Zàini, anni or sono durante un meeting sulla sostenibilità del cioccolato in Svizzera, ascoltando l’intervento di Solange N’Guessan, all’epoca direttrice dell’Unione di Cooperative del cacao UCAS di San Pedro, inizia a maturare un’idea che poi è diventata realtà.
“Grazie a Solange, abbiamo iniziato da alcuni anni una piccola attività di sostentamento alle mogli dei coltivatori e alle donne che lavorano nelle piantagioni di cacao in Costa d’Avorio permettendo loro di costruire loro una piccola produzione di sapone con gli scarti della lavorazione di cacao nel villaggio di Medoh”.
Gli sfridi della cabossa, anziché gettati nel terreno come concime, vengono impiegati per la produzione di sapone, “era già un’abitudine realizzare in quei luoghi sapone da questi materiali di scarto, ma in modo manuale e con una certa fatica. Noi abbiamo messo in grado queste donne di fare il prodotto in maniera ‘industriale’ e non solo per il consumo domestico, di poterlo anche vendere e trarne sostentamento. Ma ancora più importante avere un’interconnessione sociale fra le donne che si dedicano a questa lavorazione“.
Agevolando la costruzione degli impianti che permettono la lavorazione, Zàini ha permesso la costituzione di una cooperativa in cui le donne ivoriane sono proprietarie
Dove il sapone dona dignità agli scarti delle cabosse e acquista un nuovo valore: “Lavorare insieme permette il confronto e il progresso a livello personale, che non sarebbe possibile se fossero chiuse in casa – ci tiene a sottolineare il signor Zàini – un valore non economicamente tangibile, ma importante e fondamentale per lo sviluppo della società”. Volti che raccontano fatica e impegno, ma anche tanta dignità, espressioni di donne così lontane che meritavano di essere raccontate con una narrazione fotografica affidata agli occhi e alle mani del fotografo Francesco Zizola che ha immortalato “Le nuove donne del cacao”: immagini che chiudono un cerchio virtuoso dell’azienda impegnata nel progetto di imprenditoria femminile e avvolgono le tavolette di cioccolato della linea che ne prende il nome”.