lunedì 23 Dicembre 2024
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Lipton: la bustina di tè riciclabile dal filtro al packaging è la Yellow Label

Novità green per il tè: anche la bevanda più consumata al mondo (dopo l’acqua) può essere sostenibile. Una soluzione che è stata possibile con il nuovo Yellow Label, Lipton rilancia il suo impegno sociale e ambientale

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MILANO – La sostenibilità non riguarda soltanto il caffè e la sua filiera, ma anche il tè: la bevanda calda che tanti amano nel mondo, ora è più amica dell’ambiente. Come? Grazie all’idea della Lipton, che ha creato la bustina di tè Yellow Label, completamente riciclabile. La notizia completa dall’articolo di Simone Pazzano su repubblica.it.

Yellow Label: buona e sostenibile

Il , come tutti i prodotti che consumiamo quotidianamente, ha un impatto ambientale da non sottovalutare. La semplice tazza che sorseggiamo a casa la mattina, al bar oppure in ufficio nel pomeriggio, può contribuire al futuro dell’ambiente. Ed è in quest’ottica che Lipton, la più grande azienda produttrice di tè a livello globale, ha scelto di potenziare il suo impegno in tema di sostenibilità e lanciare sul mercato italiano Yellow Label. Si tratta di un tè nero con sole foglie di tè, con un nuovo packaging senza involucro in plastica e con filtro adatto alla raccolta differenziata dell’umido. Un’innovazione che porta quindi sul mercato un pack completamente riciclabile, riducendo così l’impatto ambientale del prodotto.

“La sostenibilità rappresenta per noi una grande responsabilità e per questo è fondamentale che i nostri prodotti ne siano espressione: crediamo che ogni tazza di tè possa contribuire a migliorare il futuro delle persone e del pianeta. – commenta Barbara Cavicchia, Direttore Marketing Food and Beverages di Unilever Italia. – Lipton è attenta all’impatto sociale del tè. Riservando la stessa attenzione ai coltivatori del Kenya e ai propri consumatori, e all’impatto ambientale del proprio prodotto”.

I filtri del nuovo Yellow Label sono realizzati esclusivamente con carta e cotone provenienti da foreste e piantagioni gestite in modo responsabile e non contengono graffette metalliche (utilizzate per sigillare la bustina)

A questo si aggiunge l’eliminazione della pellicola di plastica attorno alla scatola, che permette di ridurre la quantità di materiali di imballaggio utilizzato e rende così la confezione completamente riciclabile. Grazie a questa innovazione del pack sarà possibile eliminare dal mercato italiano circa 22 tonnellate di plastica. In linea con l’impegno globale di Unilever di eliminare, entro il 2025, più di 100 mila tonnellate di confezioni in plastica e di raccogliere e trasformare più imballaggi in plastica di quelli che vende.

Sostenibilità, ma non solo

Quello dell’azienda è un impegno che si traduce nell’attenzione alle risorse naturali, alla promozione sociale e alla crescita economica dei territori del Kenya in cui il tè viene coltivato. Tre elementi che viaggiano di pari passo e che per Lipton sono vasi comunicanti che traggono forza l’uno dall’altro.

Il tè Lipton è coltivato nelle circa 1.000 piantagioni di Kericho, in Kenya

Ed è certificato già dal 2007 Rainforest Alliance, l’Associazione Internazionale no profit con cui l’azienda collabora per creare un’industria del tè socialmente responsabile. Insieme, Lipton e Rainforest Alliance, portano un contributo concreto ai circa 600.000 coltivatori del Kericho; insegnando loro come coltivare il tè in maniera sostenibile e gestire il proprio business.

Puntando a migliorare giorno per giorno il loro lavoro e la qualità del prodotto. Dal 2015 questa collaborazione ha permesso a circa 560.000 agricoltori e loro famiglie in Kenya di usufruire dei programmi di educazione primaria e secondaria e di assistenza sanitaria; attraverso i quali sono state anche costruite case, 2 ospedali e 4 centri medici.

“Gustando questo tè, con i valori contenuti in ogni singola bustina, facciamo una scelta precisa e consapevole. Che ci fa andare nella direzione di un mondo più equo, e ci fa instaurare una connessione forte con chi lavora nelle piantagioni di Kericho”. Così conclude Barbara Cavicchia.

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