TRIESTE – Si è svolto online il workshop con focus sulle nuove modalità per impostare il business dopo l’esperienza scottante della pandemia. Organizzato nel capoluogo giuliano in relazione alla manifestazione Triestespresso Expo, e che rientra all’interno del più ampio progetto Nuvolac II: un Interreg Italia-Slovenia, incentrato su alcuni temi. Ovvero: come aiutare le piccole e medie imprese, le startup, a sviluppare e metter in pratica dei modelli più competitivi di marketing. E come lavorare sul proprio brand, tenendo presente la mission e la vision della stessa impresa. Comprendendo come tutta l’azienda sia l’oggetto dell’essere operatore. Non è più importante avere una strategia, ma avere ben presente un modello di business e naturalmente, saperlo attuare.
Un workshop interattivo con 3 ospiti professionisti del settore
Che, al termine di ogni intervista, si sono confrontati con gli spunti offerti dai partecipanti, per migliorare il proprio business. Si sono susseguiti di fronte all’obiettivo: Fabrizio Polojaz (Primo Aroma), Massimiliano Fabian (Demus Caffè), Roberto Nocera (La San Marco), sotto la guida di Guido Bertoluzzi dell’Università degli studi di Trieste.
Il workshop parte con Roberto Nocera
La San Marco, un’azienda che non può restare ferma nonostante la sua storia di cento anni. Cos’è cambiato di recente nel modo di fare il business in un’impresa?
Roberto Nocera: “Anche durante la pandemia, La San Marco non ha lasciato mai i suoi clienti. Il nostro modello di business è fondato sugli intermediari, e su 5 punti chiave. 1.Convertire le nostre creazioni in valore percepito.
2.Non siamo un’Università specializzata nella ricerca, ma dobbiamo comunicare la nostra conoscenza all’interno dell’azienda e le nostre creazioni. Sapere è forza.
3.Allentare l’approccio olistico e fiduciario nel rapporto con i fornitori e i clienti per non creare punti di rottura.
4.Credere nel miglioramento continuo: che significa “Kaizen”, la parola adottata dall’industria Toyota.
Infine, 5. innovazione: quando si parla delle imprese, si pensa alla ricerca industriale e al processo di produzione e dei software. Ma spesso fugge che uno dei punti essenziali è la comunicazione: il vecchio catalogo di schede tecniche non è la sola cosa che il cliente desidera.
Così non è: da tempo, salvo rari così, non è più sufficiente
Continua Roberto Nocera: “Anche intendere il sito web come una brochure, è un aspetto da cambiare: occorre riflettere meglio sulle modalità dei contenuti dell’azienda, come l’utente ci naviga dentro. L’impresa deve render partecipi i potenziali clienti, delle proprie creazioni.
Bisogna aprire le porte virtuali delle aziende. Un passaggio che è faticoso ma che non è stato improvviso. Oggi la frontiera è la frammentazione della comunicazione: il singolo cliente desidera interagire con l’azienda, commentare e recensire. Le email hanno creato un certo tipo di aspettativa diversa dal telefono. Si crede di esser il solo interlocutore con l’impresa. “
Il valore evocativo dell’elemento di design anche nel B2B
L’emozione deve diventare parte dell’offerta di un brand, continua Roberto Nocera: “Anche la gestualità assieme al design, fa sembrare tutto più buono. Andare in un bar, chiedere un caffè e vedere il barista premere un pulsante che magicamente fa erogare la bevanda è piacevole: ma vederlo confezionare è sicuramente ancora più emozionante. Io vado al bar per avere un momento non impegnativo, per relazionarmi con qualcuno oppure per star solo. E’ un universo il bancone. Il lockdown ha ucciso un istinto naturale.
Alle volte si rimane affascinati non solo da ciò che si beve, ma anche dal modo in cui viene preparato. L’umanità nei momenti di relax è una parte importante dell’esperienza. A questo proposito ricordo che una delle nostre macchine è stata inserita nell’Index design, il tomo costituito dall’associazione design italiano e raccoglie i migliori strumenti di design italiano. tra questi sono poi scelti 10 progetti che concorrono al Compasso d’Oro. A conferma del fatto che il caffè non è una scrivania ma è un prodotto, una bevanda, un cibo: si aprono così delle sensazioni indescrivibili a parole.”
Differenziarsi con la formazione dei baristi per aggiungere un valore aggiunto
Se si formano anche gli operatori, non viene più venduto solo uno strumento, ma anche il know-how, un pacchetto concreto che crea più valore per l’utente. Con l’obiettivo di creare gli effetti di lock-in: il cliente non deve andare a cercare altrove.
Roberto Nocera al workshop: dopo il lockdown, che cosa cambierà? Si va sempre più verso un caffè B2C o no?
“Mi piacerebbe sfatare innanzitutto la paura per la caffeina, sostanza che troviamo in elevata quantità anche in altre bevande come la Coca Cola e come in quelle energetiche. Il caffè però, a differenza del tè e della birra, ha dei vantaggi notevoli: aumenta la soglia dell’attenzione così come l’autocontrollo.
Il lockdown ha reso evidente un aspetto importante: la conseguenza peggiore è stata quella di snaturare la nostra essenza di animali sociali. Lo smartworking non può completamente esser un sostitutivo. L’isolamento ha creato notevoli danni a un settore che rappresenta una buona percentuale del Pil del Paese: il consumo a casa, vuol dire non andare al bar e non rapportarsi con il prossimo. Così, il danno al settore della ristorazione è elevato.
Il ritorno alla normalità è un processo di lunga durata. Oggi l’Italia è una barca che naviga tra due scogli. Da un lato il virus, dall’altra le conseguenze del lockdown. Dobbiamo mantenere il monitoraggio e anche la flessibilità per poter adattare i nostri comportamenti in maniera rapida.
E’ difficile però fare strategie a lungo termine. La nostra vita può esser influenzata da variabili casuali. Una chiave importante del nostro business aziendale è proprio la resilienza, esser veloci nell’adeguarsi al contesto circostante.”
Il workshop procede con Primo Aroma: cosa è cambiato prima del Covid nelle strategie aziendali e poi ancora con la pandemia?
Fabrizio Polojaz: “Siamo abbastanza giovani come azienda: è nata nel 2007 dall’unione di alcune persone che lavorano nel caffè da sempre. Io sono già alla terza generazione nel settore. Ci siamo dedicati a un esperimento: praticare il caffè tradizionale italiano, come lo vediamo noi. Partendo con una cernita di quelli più di nostro gusto e con una verifica rispetto al palato dei nostri clienti. Dalla tradizione italiana per espresso, siamo andati a rimodernare questa ricetta. Seguendo poi ciò che poteva esser l’aspettativa del consumatore.
Il caffè dev’esser buono, altrimenti il momento sociale di condivisione può esser rovinato. Non pratichiamo la politica del prodotto unico: ci sono diverse miscele sul sito. Un po’ come la logica attuata dal produttore di vino.
Quando si è parlato di innovazione negli ultimi anni, ma non è mai stato toccato l’aspetto della confezione, sebbene sia proprio la prima cosa che racconta il prodotto. Nel nostro piccolo, nel retro del packaging, siamo stati i primi a mettere le foto dei titolari d’azienda: noi vogliamo metterci la faccia. È l’unico vero capitale che il mercato può percepire. Affidarsi alle persone che forniscono un prodotto effimero: noi sentiamo il bisogno di caffè, ma si può sopravvivere senza. E’ un premio momentaneo di sapori e gusti.”
Il mercato del caffè: il cliente oggi è sempre meno anonimo, ma più individuabile
Prosegue Polojaz: “Siamo nell’epoca della digitalizzazione di massa, con milioni di contatti da gestire: è essenziale mantenere un collegamento forte e emozionale con ciascuno.
“Se vogliamo parlare di una mancanza nel settore, c’è quella dell’informazione sul prodotto. A volte abbiamo parlato a sproposito di Arabica, di miscela, di caffè d’altura, di single origin, senza però dare un’informazione approfondita per far individuare allo stesso cliente le sue preferenze. Bisogna allontanarsi dal bar e andare in torrefazione o sugli scaffali, per poi saper scegliere ciò che si piace.
Tante volte i consumatori non lo sanno: spesso sono guidati dal prezzo e dalle offerte del supermercato, oppure dal packaging accativante. Una volta trovato ciò che soddisfa, è difficile che si vada poi a cercare altro. Questo è determinato da una mancanza di passaggio di informazioni da parte nostra ai consumatori.”
Il cliente non compra valutando tecnicamente il prodotto, ma a seconda della qualità percepita. Che cosa è cambiato con il Covid per il modo di fare business?
“Una domanda difficile. Perché il consumo del caffè corrisponde a un rito in Italia. Lo consumiamo in maniera diversa rispetto agli svizzeri, gli americani ecc. Per cui, parlando di Covid e del lockdown, gli italiani non vedono l’ora di tornare al bar per prendere il proprio espresso abituale.
Quindi, quando si sarà normalizzata la situazione, abbandoneremo gli acquisti online, lasceremo in cucina le macchine monodose. Molti torrefattori oggi si organizzano: chi aveva prima un segmento pressoché nullo di mono porzionato, ora lo sta implementando con le vendite online. Pochi rimangono fermi alle posizioni di partenza di gennaio 2020.
Chi lavorava solo con il bar ha visto che era di fronte alla catastrofe, non ha venduto neppure un chicco di caffè. Per questo, la diversificazione di canali, prodotto e di tipologie di vendita e comunicazione è sentita oggi per molte delle oltre 800 torrefazioni.”
Al workshop passa la parola a Massimiliano Fabian, Demus
“Siamo un’azienda non conosciuta al pubblico, perché siamo B2B e facciamo decaffeinizzazione di caffè crudo con diverse metodiche e vendiamo la caffeina. Siamo innovativi, anche se siamo nati nel 1992. Lavoriamo tanto sulla ricerca e sviluppo. Abbiamo un laboratorio specializzato in analisi accreditate e genetiche. Siamo quindi un’azienda principalmente di servizi.“
Il modo di fare ricerca è cambiato per la vostra azienda?
“Siamo sempre stati collaborativi: abbiamo fatto ricerca anche su commissione e con altre aziende. Uno degli stimoli che è arrivato dal Covid, è nel fare ricerca proprio sulla digitalizzazione dell’impresa. Avrei voluto da tempo fare sistema con chi è a monte e a valle della filiera, ma purtroppo non è facile: parlare digitalmente con le altre imprese pone molti ostacoli.
Le aziende più grandi dovrebbero fare da traino. Noi da fornitori di servizio, spingiamo in questo senso tramite collaborazioni, nel pieno rispetto della riservatezza di ogni realtà.”
Essere aziende di open innovation
“In futuro potremmo valutare delle operazioni di co-brevettazioni, con chiari patti di utilizzo.”
Strategie circolari e sostenibili: driver sempre più rilevanti anche per il caffè
“La sostenibilità è un argomento presente trasversalmente nel settore, soprattutto a livello europeo. La sostenibilità è anche ambientale e quindi si parla anche di economia circolare. Noi abbiamo diverse certificazioni che confermano l’ottica di qualità totale. Non si può prescindere dalla circolarità e in senso molto ampio della sostenibilità. La difficoltà italiana sta nella piccola dimensione delle aziende, su cui pesa notevolmente la burocrazia. Però siamo attenti, curiamo questo aspetto e non sempre è riconosciuto in termini di pricing.”
Caffè come esperienza, come rito: oggi dati per scontati
C’è da lavorare su un altro livello. Quale sarà il futuro post Covid di Demus: “La pandemia ha impattato: abbiamo sofferto ad aprile-maggio, in particolare in seguito alla crisi dell’Horeca. Ora spingeremo verso la diversificazione per ridurre il rischio di impatto di queste situazioni. Oltre che a continuare a innovare verso prodotti nuovi e situazioni di mercato sempre più ampie per aumentare le possibilità di ammortizzare i rischi. Un po’ quello che abbiamo fatto prima dell’emergenza e che ci ha in parte salvato.”