di Luciano O. Atzori, Consigliere e Segretario dell’Ordine Nazionale dei Biologi
Chi la mattina oppure in diversi momenti della giornata non ama dedicarsi qualche minuto per sorseggiare un buon caffè all’italiana? Penso un po’ tutti.
Qualche volta, pur di giustificare questo momento di piacere, ci “raccontiamo” che ci serve per stimolarci e svegliarci in quanto ci sentiamo un po’ “down”.
Eppure in pochissimi sanno che questa bevanda (la seconda più bevuta al mondo dopo l’acqua) ha ben altre proprietà di gran lunga più interessanti.
Prima di addentrarci in questo campo ricco di recenti scoperte cerchiamo di capire da dove deriva questa fantastica bevanda.
Essa si ottiene dalla torrefazione (sorta di tostatura) dei semi della pianta Coffea, successiva miscelazione e macinazione (riduzione in polvere), segue il confezionamento e la conservazione.
Anche se in natura del genere Coffea esistano oltre 100 specie, le più utilizzate per la produzione delle miscele sono la Coffea arabica e la Coffea canephora (varietà robusta) le quali differiscono non solo per il gusto, la dolcezza, l’acidità e il retrogusto, ma anche per il contenuto in caffeina (maggiore nella C. robusta).
In genere i semi di C. robusta vengono tostati più intensamente di quelli di C. arabica di conseguenza i caffè che se ne ricavano possiedono un gusto più amaro, mentre i secondi risultano più aromatici.
Il caffè torrefatto contiene differenti sostanze che passano nella bevanda (Tabella n. 1) grazie alle alte temperature e all’idrosolubilità.
Sicuramente la sostanza che caratterizza il caffè è la caffeina (1,3,7 trimetilxantina), alcaloide dai noti effetti eccitanti sul sistema nervoso e per le proprietà psicostimolanti (aumentata vigilanza, attenzione, ecc.).
Una volta ingerito del caffè, la sua caffeina può raggiungere la massima concentrazione nel sangue in circa due ore, anche se in alcuni individui bastano circa 15-20 minuti.
Una volta nel sangue non ha difficoltà ad attraversare la barriera ematoencefalica e quindi giungere nel cervello e qui compiere le sue note funzioni.
In realtà tra le tante azioni che s’imputano alla caffeina ve ne sono alcune molto importanti, ma poco conosciute dai consumatori della bevanda. Infatti pare che il caffè possa avere effetti benefici contro alcune malattie neurodegenerative.
Dai primi anni 2000 si sono susseguiti parecchi studi scientifici che hanno associato il regolare consumo di caffè (o di caffeina), circa 2-3 tazzine al giorno, ad una riduzione significativa della probabilità di incorrere nel morbo di Parkinson e di ridurre alcuni sintomi (es. i movimenti involontari e non controllati, la bradicinesia) nelle persone affette dal morbo.
Le suddette azioni positive si hanno grazie al fatto che la caffeina (e i suoi sottoprodotti generati dal metabolismo corporeo quali la paraxantina e la teofillina) ostacola e quindi riduce la distruzione dei neuroni dopaminergici (cioè che utilizzano la dopamina in qualità di messaggero chimico) della sostanza nera del cervello, manifestazione degenerativa che si verifica nei soggetti affetti dal morbo di Parkinson.
Alcuni studi (es. quelli condotti nell’Università di Hokkaido del Giappone) hanno evidenziato che tali effetti positivi si verificano anche attraverso il consumo di basse concentrazioni di caffeina (quindi poche tazzine al giorno), ma che spesso questa genera una sorta di adattamento cioè i suoi effetti tendono gradualmente a ridursi.
Sembra che la caffeina non agisca allo stesso modo su tutti i soggetti esaminati infatti pare che gli effetti positivi siano legati ad alcune varianti genetiche associate agli enzimi citocromo ossidasi in grado di degradare la caffeina.
Sicuramente c’è ancora molto da studiare, ma sicuramente le premesse per futuri sviluppi non mancano.
Quanto scritto sicuramente rivaluta questa bevanda, da alcuni aggredita per alcuni suoi effetti (come le palpitazioni, i tremori e l’insonnia) dovuti soprattutto ad un eccesso di caffeina, eppure non è tutto.
Infatti, il caffè non finisce mai di stupirci in quanto pare che riduca anche il rischio di contrarre l’Alzheimer, in recenti studi scientifici hanno dimostrato che la caffeina agisce positivamente sulla memoria a lungo termine.
In merito a questi effetti si sta ancora studiando, ad ogni modo pare accertato che la caffeina riesca a ridurre le placche amiloidi (ammassi di peptoide beta amiloide) tipiche dell’Alzheimer che si formano nel cervello portando alla morte i neuroni.
Insomma, la caffeina riesce a ridurre alcuni processi che portano al declino cognitivo durante l’invecchiamento ed ovviamente queste proprietà vengono a mancare se si consuma solo il cosiddetto caffè decaffeinato.
Alla luce di questi studi che rendono evidenti i numerosi e soprattutto importanti benefìci che si potrebbero avere grazie al consumo regolare di caffè, comincio ad avvertire una sorta di profonda inquietudine al ridondante pensiero che, nonostante la mia non più giovane età, in tutta la mia vita non ho mai bevuto un caffè!
Lo so che potrei apparire “leggermente” anomalo, e forse lo sono, ma per fortuna sono anche un costante e forte consumatore di Tè, anch’esso ricco di caffeina.
Dopo questo breve viaggio intorno ai benefici del caffè penso che il miglior modo di concludere sia affermando, come disse il famoso fumettista statunitense Charles M. Schulz, che tutte “le giornate dovrebbero iniziare con un abbraccio, un bacio, una carezza e un caffè…”
CHI È L’AUTORE
Luciano Atzori è consigliere e Segretario dell’Ordine Nazionale dei Biologi. Coordinatore della Commissione permanente di Studio dell’ONB “Igiene, Sicurezza e Qualità”. Biologo – Esperto in Sicurezza degli Alimenti e in Tutela della Salute