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venerdì 22 Novembre 2024
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A New York per far bere di più si ricorre alla musica alta dentro i locali

In molti casi, la mossa di alzare il volume e aumentare il ritmo è una tecnica per assicurarsi una clientela giovane messa in atto soprattutto dai nightclub e dai negozi per giovani. Lo fa senza negarne l'evidenza Abercrombie, che sulle casse ad alto volume e sull'intrattenimento nei suoi negozi ha costruito un impero

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NEW YORK – «Pump up the volume», su il volume, cantava e suonava uno dei più grandi successi house britannico della fine degli anni Ottanta. E a New York, di questi tempi, è diventato uno scaltro imperativo categorico per bar, ristoranti, locali notturni, ma anche per palestre e negozi di abbigliamento. Perché il volume, più sale e più invoglia a consumare, lo hanno dimostrato negli anni anche diverse ricerche scientifiche: un altro aperitivo, un cocktail, un piatto in più, uno snack tra una chiacchiera urlata e due salti in pista. Addirittura, notizia preziosa per i ristoratori, sarebbe il ritmo della musica a decretare quello della masticata: più è alto, più si ingurgita il cibo velocemente.

New York lancia la nuova tendenza

I volumi dei locali di Manhattan negli ultimi tempi hanno messo in atto questa tecnica per alzare il numero di consumazioni ordinate: anche il New York Times ha provato a misurare le intensità dei rumori in 37 esercizi commerciali famosi e molto frequentati tra bar, night, palestre e negozi del centro della Grande Mela, in un reportage che ha raccolto i decibel e le esperienze dei clienti.

Il minimo di decibel registrato?

Sempre sopra ai 90, ben oltre i livelli registrati nella stessa città per esempio su un treno per pendolari (84 decibel in media). Una tecnica che, come confermano ingegneri del suono e addetti del settore, paga senz’altro in termini di fatturato, ma che nuoce prima di tutto ai dipendenti di questi bar e negozi, esposti anche per 8-10 ore di seguito ai bassi e alle melodie ad altissimo volume. Senza alcuna protezione alle proprie orecchie. Tra gli esempi citati dal NY Times: la discoteca Beaumarchais, con una media di 99 decibel, a cui nessuno dovrebbe rimanere esposto per oltre 1,5 ore, oppure i 96 decibel del ristorante Lavo di Manhattan, ma anche gli oltre 100 di una palestra della Upper West Side, o gli altrettanti del negozio di abbigliamento Abercrombie.

Bere e mangiare al ritmo della musica

D’altronde, che si mangi di più a ritmo non è una novità: uno studio scientifico francese, dell’università della Bretagna del Sud, nel 2008 aveva analizzato il numero di consumazioni a seconda del volume nel locale. Risultato: a 72 decibel gli avventori ordinavano in media 2,6 drink e impiegavano 14,5 minuti per finirne uno; alzando gli altoparlanti a 88 decibel percepiti dall’orecchio, i drink diventavano 3,4 e i minuti per finirne uno scendevano a 11,5. Per poi passare al ritmo del boccone masticato: una ricerca del 1985 citata dal Times della Fairfeld University del Connecticut aveva dimostrato come aumentando i bpm (beats per minute) delle canzoni ascoltate anche solo di mezzo punto, i clienti finivano i loro piatti più velocemente. Presumibilmente, ordinandone poi ancora, per poter prolungare la propria permanenza nel locale.

New York dà la caccia ai giovani clienti

In molti casi, la mossa di alzare il volume e aumentare il ritmo è una tecnica per assicurarsi una clientela giovane messa in atto soprattutto dai nightclub e dai negozi per giovani. Lo fa senza negarne l’evidenza Abercrombie, che sulle casse ad alto volume e sull’intrattenimento nei suoi negozi ha costruito un impero (partendo dal presupposto che più si resta dentro all’esercizio commerciale e più si finirà per acquistare, e che le mamme sarebbero scappate dal negozio lasciando ai figli la carta di credito in mano). Lo fanno anche i bar, i club, i ritrovi da happy hour con dj set di Manhattan: per scongiurare orde di ultra trentenni con voglia di chiacchierare e riempire invece il locale di ventenni più vogliosi di consumare un drink dietro l’altro, alzano il volume. Per fortuna però, non funziona così ovunque e restano, nella Grande Mela, ristoranti e bar dove la musica continua a essere un sottofondo lontano, e l’aperitivo scorre lento tra una chiacchiera, un sorso e una battuta.

Eva Perasso

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