MILANO – Definirla solo una diretta Instagram sarebbe davvero riduttivo, la puntata di Viva il Caffè che ha fatto cantare e ballare gli ospiti del profilo social di Francesco Sanapo, che questa volta si è superato: tre ore e mezza di cultura e intrattenimento, spalla a spalla con la co-conduttrice Jessica Sartriani e soprattutto la carrellata di protagonisti del settore.
Sei personaggi che hanno illuminato la scena con una serie di interventi memorabili: Yannis Apostolopoulos, ceo di Sca (Specialty coffee association); Giuseppe Lavazza, vicepresidente di Lavazza S.p.A.; Maurizio Cimbali, presidente di Gruppo Cimbali S.p.A.; Patrick Hoffer, vicepresidente del Consorzio promozione caffè e patron di Caffè Corsini S.p.A.; Prunella Meschini, amministratore delegato de Le Piantagioni del Caffè e Rubens Gardelli, World roaster champion.
Qui di seguito, ritroviamo alcuni dei temi principali trattati da primi tre interlocutori. Gli altri tre seguiranno, a parte.
Viva il Caffè: un vero e proprio programma sull’Italia della bevanda e dello Specialty
Ad aprire le danze un Francesco Sanapo che si è calato perfettamente nei panni di un conduttore televisivo e, all’occorrenza, dj, che ha caricato tutti per il primo intervento in scaletta di Viva il Caffè: dopo un breve saluto in italiano come omaggio, Yannis Apostolopoulos ha raccontato dal suo punto di vista, lo stato dell’industria del caffè dopo un anno di Covid-19: “Tante cose sono cambiate e non solo nel settore, ma a livello umano. Un anno dopo lo scoppio della pandemia, abbiamo visto i risultati sulla produzione, sulle famiglie dei coltivatori e sul business. Ora possiamo esser cautamente positivi su come sta procedendo la scienza.
Nell’industria, la supply chain è stata influenzata grandemente. Ci sono state delle trasformazioni anche in Italia con il coffee to go, che è diventata una realtà, così come il rafforzamento del consumo casalingo. Cambiamenti che penso che resteranno anche nel momento in cui si tornerà fuori casa.”
E quali sono i piani per il futuro della Specialty coffee association, ha chiesto Sanapo?
“Rendere tutto più accessibile alle persone tramite la tecnologia in modo da migliorare insieme la cultura della bevanda nei prossimi 5 anni. Si cercherà anche di avviare delle competizioni alla fine dell’anno, con la collaborazione di diversi partner. (uno potrebbe essere Host Milano; n.d.C.)
Un punto importante è scaturito rispetto al tema del riconoscimento (mancato, per ora) da parte dell’Unesco sia del rito dell’espresso italiano tradizionale, sia della cultura del caffè napoletano.
Apostolopoulos prova a rispondere: “E’ una domanda difficile. Amo l’espresso italiano, ma può esser considerato internazionale al momento. Lo scopo dell’Unesco è quello di proteggere il bene immateriale: stiamo cercando di conservare nel tempo, il rituale e l’esperienza, o semplicemente la bevanda? Perché l’Unesco serve a impedire che si possa perdere qualcosa e la sua identità nel futuro, ma ormai in tutto il mondo è chiaro che l’espresso sia una bevanda italiana, che ha lì le sue origini. Quindi mi sfugge un po’ il fine ultimo della richiesta per il riconoscimento. Penso che sia già un drink internazionale.”
La domanda rimane un po’ sospesa insomma: quale sarebbe il profitto derivante da questo riconoscimento?
Si passa allora al secondo importante ospite di Viva il Caffè: Giuseppe Lavazza
Un incontro virtuale molto atteso, che apre le porte su un imprenditore che è innanzitutto una persona che ama il caffè e ha vissuto anche un’esperienza alle origini, in Colombia, per valorizzare il rapporto internazionale.
Dice Lavazza: “Il mondo del caffè è una grande famiglia in cui ci si conosce tutti. La passione e la consapevolezza di fare parte di una comunità con una stessa visione, è forte. Anche ultimamente di fronte al Covid.
La resilienza è l’altra faccia del coinvolgimento e dell’emotività. Il caffè crea questo cemento: crea uomini e donne di ferro e allo stesso tempo di grande cuore. Due qualità che ci permettono di andare avanti anche in questo momento di grande pessimismo. Nella nostra industria c’è voglia di costruire. Sembra che i confini del caffè non esistano, come quelli di un universo sempre in espansione”.
Viva il Caffè continua con le parole di Giuseppe Lavazza che racconta del suo ricordo personale legato alla moka durante le notti insonni passate sui libri al liceo. Il caffè come compagno di fatica che dava speranza, tono e soddisfazione finale.
Ed ecco che si procede con la prima volta di Giuseppe Lavazza nei Paesi di origine: “L’esperienza più completa e profonda per chi si occupa di questo mestiere. Senza vedere il Paese dove si coltiva il chicco, si ha solo una visione parziale della filiera. Con Lavazza abbiamo iniziato a portare i nostri manager in questi luoghi, per entrare in contatto con questo mondo così diverso ma così importante. E capire che il caffè non è univoco: a seconda di dove si va, si possono cogliere diverse sfumature. Che poi è l’essenza del nostro mestiere, dove non si può esser superficiali. Approfondendo ogni singola particolarità si entra in contatto con diverse culture che ci danno molte idee. A nostra volta poi dobbiamo raccontare tutto questo ai nostri clienti.”
Primo viaggio con suo padre, in Brasile. Proprio grazie ai legami creati con i produttori, Lavazza è uscita dalla crisi degli anni ’70, con l’aiuto dei coltivatori che hanno fatto credito all’azienda in un momento difficile.
Da quel periodo sino ad arrivare a oggi con i progetti di sostenibilità sviluppati da Lavazza: sono tanti, attivati dalla Fondazione Pericle Lavazza dal 2004 in poi. “Partendo a passi felpati, senza far rumore” come racconta Giuseppe Lavazza. Il più bello che ricorda è quello con Microsoft in Colombia. Un progetto corale e visionario, che ha portato il segnale wi-fi nelle aree molto remote e di degrado, devastate dalla guerra civile in Colombia. Per far partire la coltivazione del caffè nel territorio del Meta, dove già esistevano, ma illegali. E tutto poi ha avuto anche un impatto sociale, con la creazione di scuole collegate digitalmente e centri medici per la comunità locale. Oltre che il collegamento continuo con i fondamentali agronomi.
Un occhio alla condizioni dei farmer, che sempre meno rappresentano un’attrattiva allettante per le generazioni future: attenzione, ricorda Lavazza, perché se non si migliorano le loro condizioni di vita e professionali, scomparirà il chicco. Stesso discorso vale per il lavoro del barista. Queste sono tra le sfide principali dei prossimi 30 anni. Uno dei passi che l’azienda ha fatto verso un prodotto di valore, è l’apertura verso lo specialty coffee con la linea 1895 by Lavazza.”
E la palla passa a Maurizio Cimbali
Si inizia con il primo giorno in bottega di Maurizio Cimbali, avvenuto nel locale del nonno, di trenta metri quadrati, un garzone e un operaio, nel centro di Milano. Poi la scelta libera, di entrare nell’impresa di famiglia nel ’65, a una fiera campionaria. Con la macchina del caffè rossa Pitagora, che ha vinto il Compasso d’oro, in un materiale innovativo: la lamiera verniciata. Maurizio Cimbali racconta: “Pitagora ci ha permesso di passare a una produzione artigianale a una industriale”.
Da allora non è cambiata mai una cosa: l’attenzione per il cliente. Nonostante si sia passati da un’epoca in cui il 75% veniva venduto in Italia a un mercato in cui invece la cifra nazionale è diventata del 17%.
Un messaggio poi ci ha tenuto di trasmettere Maurizio Cimbali agli spettatori di Viva il Caffè: “Non è facile. Ma io credo molto nel fatto che oggi, qualsiasi lavoro si faccia, bisogna essere dei professionisti. Lo specialty richiede conoscenza e formazione. Cose che richiedono pazienza: non si può esser pronti subito. E non solo: anche conservare l’umiltà è importante. Bisogna sempre chiedersi, anche nel successo, come ci si può migliorare. L’altro 50% lo fa l’uomo. L’empatia, il modo di comunicare, la passione sono essenziali. Non basta esser solo dei bravi professionisti.”
Maurizio Cimbali poi entra nel merito dell’espresso: “Caffè e Italia sono due cose che possono comunicare tra di loro. Il caffè significa Italia.” Un Paese dove la bellezza e l’arte sono espressi ai massimi livelli. Questa bevanda da un po’ di anni è diventata centrale. “Ci siamo accorti troppo tardi, ma ora si potrà solo crescere. Dobbiamo vedere quante operazioni finanziarie attorno al caffè e alle macchine sono avvenute negli ultimi 5 anni. Il quadro competitivo è molto diverso. Tutto è molto più difficile di prima, di fronte a gruppi quotati esteri. Ma le opportunità ci sono per tutti quelli che vogliono cogliere le sfide.”
Aggiunge Cimbali: “Noi italiani abbiamo pregi e difetti come tutti. Ma il made in Italy è apprezzato in tutto il mondo. E’ l’espressione della nostra creatività, genialità e sensibilità al bello. Di questo dobbiamo esser coscienti.”
Queste le parole di un imprenditore a capo di un’azienda che anche di fronte al Covid ha pensato alla ripartenza, con idee nuove nate proprie in un contesto difficile. “Dobbiamo rientrare più forti di prima, con obiettivi di eccellenza”.
Trovando sempre modi per restare operativi, come Gruppo Cimbali è riuscito a fare tenendo le porte aperte del Mumac convertendo il museo della macchlo nel centro di vaccinazioni.