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sabato 02 Novembre 2024
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La riflessione di Godina: «Vino e caffè sono due bevande che fan parte della nostra cultura»

Oggi, la gran parte dei baristi sono molto meno formati rispetto ai loro colleghi che operano nel mondo del vino, i sommelier. E questo accade in una filiera che richiede al barista non solamente di svolgere il medesimo ruolo del sommelier, ovvero di saper scegliere e raccontare il vino ai clienti, ma anche il delicato ruolo di preparare la bevanda

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MILANO – Condividiamo un’interessante riflessione del caffesperto Andrej Godina, che ha messo a paragone vino e caffè come due bevande entrambe da degustare e su cui il consumatore va guidato nei bar come nei ristoranti, per il giusto accompagnamento durante i pasti.

di Andrej Godina

Vino e caffè sono due bevande che fanno parte della nostra cultura contemporanea: il caffè è la bevanda corroborante che serve a fornire quella dose di caffeina giornaliera che ci permette di essere più attenti, produttivi e svegli; il vino invece è la bevanda che permette di godere di un momento di rilassamento, di ebbrezza, di spensieratezza che compensa, in qualche modo, le fatiche e lo stress quotidiano.

Da un punto di vista storico il vino è la bevanda più antica, con alle spalle una storia millenaria, è una bevanda usata dalla religione cristiana quale simbolo sacro e quale bevanda permessa di essere consumata da tutti i fedeli. Al contrario il caffè è una bevanda relativamente giovane, la pianta è natia dell’Africa, la preparazione della bevanda risale forse solamente a un millennio fa, ed è stata introdotta in Europa in epoca molto recente, ovvero nel XVII secolo.

A me piace pensare che è stato il caffè che ha effettivamente aiutato l’Europa a scrollarsi di dosso l’epoca medioevale quando i pasti erano principalmente a base di birra e traghettare il vecchio continente in epoche più vivaci e produttive guidate dallo spirito imprenditoriale della nuova classe di commercianti e borghesi.

Vino e caffè: qual è l’ambiente tipico del loro consumo

Oggi il contesto nel quale si ordina un bicchiere di vino o si stappa una bottiglia è prettamente conviviale, generalmente al tavolo ed è la bevanda che più è stata abbinata a tutti i piatti della nostra tradizione gastronomica. L’Italia è uno dei più importanti paesi produttori di vino, dove l’uva è in grado di prendere forma in bevanda in tutte le declinazioni possibili: bollicine, bianchi fermi, bianchi macerati, rossi, fortificati e dolci.

Quando una persona intende comprare una bottiglia di vino o ordinare un calice al pasto la scelta su cui può contare è strabiliante: centinaia di bottiglie esposte a scaffale di un qualsiasi grande supermercato o in una qualsiasi enoteca e una lista vini in ristorante che, nella peggiore dei casi, ha almeno una decina di referenze fino ad arrivare a vere e proprie enciclopedie in più volumi.

L’etichetta sulle bottiglie fornisce al consumatore numerose informazioni, l’azienda produttrice, la regione e l’ubicazione della vigna, la varietà botanica, il metodo di lavorazione, il grado alcolico e, spesso, un’indicazione delle caratteristiche sensoriali e dei migliori abbinamenti con il cibo.

Chi è la figura professionale che ha il compito di guidare il consumatore per la scelta della bottiglia in enoteca o ristorante?

Il sommelier accompagnato da decine di guide prestigiose che con minuziosa competenza propongono ai propri lettori le migliori referenze presenti sul mercato. Il caffè invece vive in un contesto completamente differente: sulla confezione dei caffè esposti sugli
scaffali al supermercato il consumatore ha a disposizione solamente due informazioni, ovvero la dicitura di “caffè torrefatto in grani, macinato o in uno dei formati mono porzionati” e che trattasi di monorigine Arabica o miscela 100% Arabica o Miscela (senza indicazione delle specie botaniche e varietà).

Al bar, a volte, il barista che prepara l’espresso non sa nemmeno la marca, figuriamoci la
specie botanica e i paesi di origine che compongono la miscela. Il prezzo dell’espresso al bar è sempre uguale: l’indistruttibile mito dell’euro per un espresso è un tabù dal quale la filiera del caffè espresso italiano non vuole e non riesce ad abbandonare, sia che trattasi della peggiore miscela di bassa qualità che della migliore miscela 100% Arabica. Per fortuna in questi ultimi anni il micro cosmo degli “specialty coffee” hanno aiutato il settore a sdoganare un prezzo più alto.

Proporre qualità differenti di bevanda al bar, al medesimo prezzo, a mio parere è un autogol della filiera, un modo infallibile per far percepire ai consumatori che un “caffè è un caffè”, che non ci sono differenze tra una prodotto e un altro, che il lavoro di selezione del prodotto del barista non c’è, c’è solamente un’attività di selezione della marca. Al ristorante la situazione non migliora, anzi: a volte il caffè è addirittura offerto, non ha neanche un prezzo. Insomma, uno scenario che, se confrontato a quello odierno del vino, è completamente disastroso e arretrato.

All’interno della filiera del caffè capita che non sempre gli operatori sono consapevoli del prodotto che vendono ai loro clienti e questo è uno dei motivi per i quali la cultura generalizzata sul caffè stenta a decollare. Il caffè è la seconda merceologia più scambiata al mondo per valore sulle borse merci, il caffè è la bevanda più bevuta al mondo, la filiera di produzione del caffè è una tra le più complesse e complicate, la bevanda espresso al bar richiede competenza e professionalità per eseguire l’ultimo passaggio di trasformazione, il caffè è molto complesso da un punto di vista chimico, la bevanda espresso è probabilmente la più complessa da un punto di vista chimico, in assoluto, che consumiamo giornalmente. Tutti questi punti di forza andrebbero messi in evidenza e
il caffè merita un migliore trattamento e una maggiore considerazione

Quali nuove frontiere il caffè potrebbe vivere?

Personalmente credo che il caffè abbia ancora tanta strada da percorrere: in primis fare formazione agli operatori (torrefattori e baristi) e ai consumatori. Oggi, la gran parte dei baristi sono molto meno formati rispetto ai loro colleghi che operano nel mondo del vino, i sommelier. E questo accade in una filiera che richiede al barista non solamente di svolgere il medesimo ruolo del sommelier, ovvero di saper scegliere e raccontare il vino ai clienti, ma anche il delicato ruolo di preparare la bevanda.

Preparare l’espresso non è un’operazione banale

Il barista deve essere in grado di gestire una moltitudine di parametri tecnici. Il sommelier, alla fine, deve solamente assicurarsi che il vino sia servito alla migliore temperatura di servizio, che la bevanda non sia difettata con l’aroma di “tappo”, che il bicchiere sia quello giusto.

Ipotizziamo quindi che il mondo del caffè abbia già percorso questo primo passo di evoluzione culturale che ho citato, proviamo a immaginare il passo successivo, quale potrebbe essere?

A mio parare un argomento interessante potrebbe essere il cosiddetto “coffee pairing”, ovvero l’abbinamento caffè e cibo che darebbe l’opportunità alla bevanda caffè di essere trattata allo stesso livello del vino. Immagino con voi un pranzo al ristorante dove, appena seduto al tavolo, mi viene portato il menu assieme alla carta dei caffè. Al posto del vino, ogni singola portata verrà abbinata a un caffè.

La carta dei caffè è divisa in due sezioni, una che elenca le diverse tipologie di caffè tostato divise per specie e varietà botaniche, paese di origine e metodo di lavorazione, colore di tostatura. La seconda parte della carta è dedicata ai metodi di preparazione che posso scegliere per ciascuna delle referenze di caffè tostato: metodi a infusione, metodi a percolazione per gravità, metodi a percolazione sotto pressione, cold coffee. La carta dei caffè mi viene spiegata dall’esperto che potremmo chiamare “sommelier del caffè”, “aromateller”, “coffelier”.

Ordino i piatti e le bevande che degusterò e inizio il pranzo. All’antipasto mi viene servito un caffè keniota, di varietà SL28, lavato, di alta altitudine, preparato con il Hario V60, con il primo mi viene servito un caffè di varietà geisha prodotto in Panama, lavorazione honey, preparato in aeropress, con il secondo un caffè espresso preparato con una miscela composta da tre caffè differenti (66% Brasile naturale specialty, yellow bourbon, 30%, Sumatra specialty, lavato, 4% Brasile Fine Robusta, naturale, varietà conillon), preparato con filtro doppio, dose 16,5 grammi, temperatura dell’acqua 93,5°C, profilo di pressione dell’acqua discendente che simula quella della macchina a leva, peso in tazza 35 grammi. Alla fine del pasto, con il dolce, un caffè decaffeinato Honduras, di singola piantagione,
varietà Parainema, naturale, preparato e servito con la french press.

Credo che questa ultima suggestione sia sufficiente per intuire il potenziale ancora inespresso della filiera del caffè, una filiera lunga, complessa, ricca di suggestioni, che oggi è ancora sottovalutata e poco valorizzata.

Andrej Godina

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