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venerdì 22 Novembre 2024
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VILLAGGIO GLOBALE – Rivoluzione Starbucks, il cornetto ora è bio e la pasticceria artigianale

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NEW YORK – L’ aroma di cornetti caldi che accarezza l’aria è la prima novità, poi ci sono i grembiuli rosa che indossano i ragazzi dietro il bancone: il mondo di Starbucks entra nella sua ultima rivoluzione a colpi di profumi e colori.

I turisti che si affacciano nel negozio sull’angolo tra Times Square e Bryant Park sono i più stupiti, gli americani stanno imparando giorno dopo giorno ad allungare la lista delle possibili scelte una volta varcata la porta con la sirena verde e le due code stilizzate. La rivoluzione ha la faccia decisa e i modi sbrigativi del padre padrone della più famosa catena di caffè del mondo, Howard Schultz.

E’ sua la scelta di traghettare verso nuovi obiettivi la società: «Stiamo andando bene, i conti sono sani e le azioni continuano a salire. Ma in tempi di crisi chi si accontenta prenota la sua fine: questo è il momento di investire, di farsi venire nuove idee», spiega in una recente intervista al New York Times, poi si concede anche il lusso di una battuta: «In effetti, abbiamo parecchie cose in movimento».

A lui, intuizioni e soldi, non mancano. Dal 2011 si scatena sul mercato, ecco 20 milioni di dollari per Evolution Fresh specializzata in succhi di frutta freschi, 620 per Teavana storico marchio del thé e infine 100 per La Boulange che sforna in quantità industriali prodotti di pasticceria sul modello delle botteghe artigianali: fanno 750 milioni in meno di due anni.

Tanto che adesso lui dice: “Non prevedo altre acquisizioni a breve, magari faremo accordi strategici”. Come quello con la Danone, la regina francese degli yogurt con cui Starbucks firma un’intesa per commercializzare una specialità greca di cui gli americani sono ghiotti. Ma gli investimenti non sono finiti, per aumentare la potenza della Evolution ecco altri settanta milioni per comprare una fabbrica alle porte di Los Angeles in grado di quadruplicare in breve le capacità produttive.

La novità più evidente rimane l’irruzione de La Boulange che adesso è in tremila punti vendita ma che presto sarà ovunque. Il suo fondatore, Pascal Rigo, è rimasto in azienda ed è lui a gestire la trasformazione per conto del nuovo padrone. Il primo rompicapo è adattare i punti vendita per le nuove esigenze: i primi mesi in giro per Manhattan (da dove parte il progetto) sono un disastro: difficile trovare gli spazi adatti, complicato gestire le ordinazioni, essere sempre sicuri di poter garantire prodotti di qualità.

Poi c’è lo scoglio dell’istruzione dei commessi, con uno di loro che deve essere dedicato tutto il giorno al forno in modo da offrire al cliente un croissant (integrale, normale o al cioccolato) che possa reggere il confronto con i suoi rivali più blasonati: “E’ stata dura, ma adesso siamo sulla buona strada. Gli automatismi sono quelli giusti e presto tutti i nostri negozi avranno la pasticceria”.

L’idea è quella di andare oltre il caffè, che comunque fornisce ancora i tre quarti del fatturato, relegando il cibo al 19%. Ma la sfida è proprio questa, allargare i confini, anche quelli orari. Sino ad ora infatti il volume maggiore degli affari si svolge al mattino e poi va a perdersi con il passare delle ore della giornata e con il disinteresse verso l’energetica bevanda nera.

L’America, da tradizione, va a caffeina sino al tramonto poi nel serbatoio entra l’alcol. Da qui l’arrivo sorprendente del vino e di pasti caldi creati per invogliare la gente ad entrare anche al tempo della cena. Arriveranno nuovi sandwich, zuppe e insalate, tutte all’insegna della nuova mania Usa, ovvero il mangiar bene ma anche e soprattutto sano: “Sino ad oggi, abbiamo avuto parecchie critiche per i nostri piatti.

I clienti spesso ci dicono che sembrano di cartone e io non so dar loro torto. Ma sono sicuro che adesso la situazione cambierà”, spiega ancora Schultz. Wall Street accende i riflettori, le aspettative sono molte ma i commenti non sono tutti entusiasti. Un’analista, Bonnie Herzog, spiega al New York Times: “Sono operazioni che presentano dei rischi. Quando la Pepsi provò a lanciarsi nel mondo degli snack e dei cereali fu un disastro. Il pericolo principale è quello di perdere di vista il proprio core business trascinando nei guai tutta la società”.

E un altro, John Moore, aggiunge: “La sfida del cibo è per loro cruciale, la combattono senza grande successo da 20 anni: la loro stessa sopravvivenza è legata al risultato di questa nuova avventura”. Schultz ne è consapevole e in una lunga intervista al Wall Street Journal rilancia: “La Boulange è solo il primo passo, la nostra sarà una trasformazione radicale”. Una strategia aggressiva che lo porta sempre più spesso anche al centro della vita politica americana. Un mese fa, sfida la lobby delle armi chiedendo ai clienti di non entrare nei caffè armati: “Le pistole sono contrarie alla filosofia di Starbucks e nessuno ha voglia di sorseggiare un frappuccino, magari insieme ai propri figli, se in giro ci sono persone armate”.

Poi, in questi giorni drammatici con l’economia a lungo appesa alla minaccia di un default, si fa promotore di una petizione dal titolo evocativo “Come togheter” per fare pressione sul Congresso. L’espansione è anche geografica. Il prossimo sbarco sarà in Sudamerica con sessanta nuovi store che verranno aperti in Colombia.

Ma la vera terra promessa è l’Asia, dove la società di Seattle punta di sfondare nei prossimi due anni grazie anche a punti vendita dal design sempre più ricco e innovativo: “La Cina ci sta regalando grandi emozioni. Sino a poco tempo fa i nostri clienti erano soprattutto turisti o americani che lavorano là, adesso sono gli abitanti del posto la fetta più grande. Vuol dire che li abbiamo conquistati”. L’unica vera preoccupazione è che il ritmo di crescita sia troppo grande: “Non penso, le aziende che abbiamo acquistato sono consolidate e noi gestiremo i loro marchi con intelligenza sfruttandone al meglio le qualità. Non commetteremo gli errori del passato, so cosa abbiamo sbagliato: non siamo più quelli del 2006”.

Il riferimento è al punto più basso della società, quando investimenti sbagliati l’avevano fatta sbandare sotto i colpi anche di una crisi di immagine. Tempi che ora appaiono lontanissimi: “Non mi interessa vedere i risultati nei prossimi mesi. Stiamo lavorando per costruire un’azienda che duri nel tempo”. E a vedere la fila che c’è all’ora della colazione nel caffè all’angolo tra Broadway e la 41esima l’impressione empirica è che la rivoluzione non dorma, anzi vada avanti a colpi di croissant al cioccolato. Uno delle centinaia di punti vendita Starbucks di New York. In tutto il mondo sono ventimila le caffetterie della catena, che ancora non ha “azzardato” lo sbarco in Italia ma è presente in sessanta Paesi.

Fonte: Repubblica

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