MILANO – Ecco alcune illuminanti precisazioni di un esperto del chicco in tutte le sue espressioni, Fabio Verona, a ridosso della chiusura di Sigep. Il Salone ha di sicuro lasciato il segno per la filiera del caffè e il punto di vista di un professionista di livello può aiutare a comprendere l’entità dell’evento proprio sotto l’aspetto della diffusione di cultura del prodotto. Attraverso l’approfondimento di una varietà considerata più pregiata rispetto alla robusta, l’arabica. Una distinzione che spesso si basa sul pregiudizio e la disinformazione. Riproponiamo quindi l’intervento di Verona diviso in tre parti, esattamente com’è stato pensato dallo stesso autore sul suo sito.
Fabio Verona non avrebbe ormai più bisogno di presentazioni, essendo riconosciuto in tutto il settore. Ma, prima di avventurarci assieme a lui alla scoperta di tutte le verità sulle varietà botaniche del caffè, ecco il suo excursus honorum.
Dal 2005 responsabile della qualità e della formazione della torrefazione torinese Costadoro. Attiva in varie iniziative volte alla divulgazione della cultura del caffè.
Maestro di Cucina, iscritto all’albo professionale dell’associazione professionale cuochi italiani, e maître Amira è stato inoltre Direttore dell’istituto di formazione alberghiera “Les Meridiens”.
È infine membro dell’Asa. L’Associazione Stampa Agroalimentare. Ed è inoltre Authorised Trainer per la Sca, Speciality coffee association.
E ora, ecco alcune nozioni importanti che il consumatore medio di caffè non conosce. La parola all’esperto.
Verona a Rimini: lo sguardo oltre la superficie
Dopo l’ultimo Sigep ho assistito ad un fiorire di aziende che promettono tutte il massimo della qualità, tutte miscele 100% arabica; tutte con il massimo del servizio, delle attrezzature ecc.ecc.. Ma poche che fornivano dati concreti ed elementi tangibili di quanto proponevano.
Ecco che allora ho pensato di riproporre, per coloro i quali non sono tornati indietro di diversi anni nei miei articoli, uno dei miei primi scritti. Suddiviso in più parti, vi porterà alla scoperta, o “riscoperta”, di quanto tutti dovremmo ricordarci: il caffè non è una bevanda, ma un frutto!
Intanto partiamo dalla dicitura, ormai abusata, 100% arabica:
Non per molti, è comune sapere che tale dicitura non è indice assoluto di qualità di un prodotto. Poi, non sempre questa specifica assicura una purezza di specie botanica.
Infine, ammesso che sia stata davvero utilizzata solo specie arabica per comporre la miscela (la legge comunitaria non è così specifica nella definizione), questo non ne determina la bontà in tazza.
Le varietà botaniche, uno studio da approfondire
Durante i corsi svolti a Jayuya presso l’Hacienda San Pedro, un botanico docente universitario ci ha introdotti nel mondo delle varietà di caffè esistenti. Portandoci a conoscenza del fatto che tra le decine di varietà pregiate di arabica, ne esistono alcune dette interspecie. Ovvero un connubio tra arabica e robusta (e fino qui nulla di nuovo) ma commercializzate come arabica.
Va da se che questa informazione, se non passa al consumatore finale o al barista, trae in inganno. Quanto meno per il semplice fatto che queste interspecie hanno maggiori rese produttive e minori costi di gestione, e quindi di vendita.
Eccovi un esempio di un albero delle varietà del caffè realizzato da Café Imports
Tornando quindi al nostro “100% arabica”
Scopriamo anche che queste interspecie, come profilo organolettico, non si comportano come le buone arabica. Bensì con caratteristiche simili alla robusta.
Ma non finisce qui…
Oggi come oggi si parla molto di caffè, senza però conoscerne provenienza o metodologia di lavorazione. Mentre, anche al supermercato, tendiamo a scegliere il vino controllando attentamente l’anno di produzione, la zona; la cantina ed il vitigno utilizzato prima di effettuare la nostra scelta.
E per il caffè?
Per il caffè sono davvero pochi i produttori che dichiarano ai baristi (o ai consumatori finali) le provenienze delle monorigini che compongono la loro miscela. Perché? Questa omertà (ben lungi dall’essere dettata da ricette segrete o vincoli commerciali) è dettata dalla naturale rotazione delle stagioni.
Quindi se non parliamo di specialty coffee, ovvero singole origini e specifiche varietà tostate e servite singolarmente, le quali essendo vendute in microlotti a prezzi decisamente elevati non vengono unite in miscele, le miscele commerciali non sono mai costanti. Le diverse monorigini alle volte possono cambiare in base all’annata (proprio come le uve per i vini). E, talvolta sono differenti anche solo le variety. Quindi dichiarare in etichetta le componenti di una miscela potrebbe essere anche non veritiero.
Intendiamoci, non che si voglia prendere in giro il consumatore
Ma nemmeno che lo si possa assicurare del contenuto in modo univoco, salvo realizzare etichette o imballi nuovi ad ogni lotto. Situazione non praticabile da una azienda medio grande.
Ma allora? Come facciamo a sapere cosa ci vende il nostro torrefattore? Come possiamo essere sicuri che all’interno della miscela scelta ci sia solo buona arabica?
La prossima settimana vi svelo qualche “particolarità” per riconoscere alcune specifiche dei caffè di qualità.
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