La prima domanda per prendere le misure: perché una caffetteria di venti metri quadrati?
Comincia Vincenzo. “Inizialmente la caffetteria avrebbe dovuto prendere il nome di “Antica tipografia“, proprio perché in origine lo spazio era un’antica tipografia del quartiere. Poi, siccome tutti i nostri amici mi hanno un po’ preso in giro sul fatto che le dimensioni fossero molto ridotte, come sfida, l’ho voluto chiamare ” Ventimetriquadrati”. Ho voluto così un po’ rivendicare la mia decisione di investire su un locale di piccoli dimensioni.
Ho voluto così perché era per me la prima volta da imprenditore, quindi questa metratura mi ha permesso di mantenere i costi più bassi e partire con il passo giusto. Il fatto che sia piccolo non è stato poi un limite: siamo infatti riusciti a creare un’atmosfera molto intima. Dove i clienti e noi possiamo entrare in contatto per davvero. Le chiacchierate e il rito del caffè sono del tutto rispettate.”
Ma quanto coraggio ha avuto per imbarcarsi in un’impresa del genere. Chi l’ha ispirata?
“L’idea è partita da un incontro di circa due anni fa a Napoli, con una ragazza australiana. A Firenze frequentava un corso di arte e durante il fine settimana passava per Napoli. Mi portava sempre il caffè di Ditta Artigianale. Un anno e mezzo fa, quando ho dovuto fare una scelta per il caffè del mio locale, avendo l’ambizione di vendere un caffè di livello che potesse esser apprezzato senza zucchero, mi sono ricordato di questo caffè fiorentino. Cercando su internet ho così scoperto questo mondo dello specialty. Sono andato quindi direttamente a Firenze, proprio da Ditta Artigianale. Al primo sorso non sono stato rapito. Però, mentre pensavo di gettare la spugna, ho ricevuto sul palato un’esplosione di sapori. Lì, la scelta era stata fatta.”
Visto il grande successo le è già venuta l’idea di allargarsi o di aprire una filiale?
“La nostra aspirazione futura è quella di aprire un altro piccolo locale però nel centro storico di Napoli. Così da esser meglio raggiungibili dai turisti che sono in visita della città. L’idea di stare al centro, può essere più comodo per gli amanti degli specialty che sono a Napoli.”
La scelta degli specialty è coraggiosa ancora su tutto il territorio nazionale, legato all’espresso. In una città come Napoli, per molti considerata come la “capitale dell’espresso tradizionale che più tradizionale non si può”, e sempre ricavato da miscele, è ancora più difficile proporre gli specialty?
“E’ più difficile comunicare gli specialty di fronte a questa tradizione imponente, caratterizzata dal caffè amaro da zuccherare. Con miscele di robusta e una tostatura molto scura. Questo però ci ha permesso di fare subito colpo sul cliente proprio proponendo qualcosa di completamente diverso. Dotato di una complessità aromatica che non ha mai trovato in città.”
Difficile? Sicuramente. Stimolante? Altrettanto.”
Il suo primo approccio col cliente partenopeo, dal palato abituato alla torrefazione molto scura e alle miscele forti con Robusta, qual è?
“Per prima cosa, serviamo un’acqua aromatizzata con lo zenzero. GIà così il cliente viene spiazzato, ma capisce di esser in una caffetteria particolare. Poi, proseguiamo con la spiegazione del prodotto degli specialty. In che modo è speciale, lavorato, macinato sul momento e quindi fresco. Devo dire che questo genera una grande curiosità tradotta poi nelle domande dello stesso cliente. Il quale di solito torna e magari consiglia ad altri suoi amici. Il passaparola continua a funzionare ancora oggi.”
Quando ha iniziato, gli specialty serviti erano quelli di Ditta Artigianale. Oggi, l’offerta è la stessa?
“Oggi abbiamo ampliato l’offerta, anche perché abbiamo riscontrato una grande richiesta da parte della clientela. SI poteva quindi provare qualcosa di diverso e abbiamo potuto andare oltre un solo blend e i monorigine. In modo naturale, più avanti, abbiamo iniziato ad aggiungere anche le monorigini di Rubens Gardelli. Poi, per restare sul territorio, i caffè di Campana Caffè. Da un mese circa, abbiamo anche i caffè di Berlino di The Burn.”
E la questione del prezzo? In che modo è riuscito a superarlo in una città dove si vende anche a 80 centesimi o meno?
“All’inizio eravamo combattuti sul prezzo. Se averlo uno al bancone che andasse sotto l’euro e 50. Ma poi ci siamo subito resi conto che non sarebbe stato sostenibile. Devo dire che anche quella è stata una scelta intelligente. Alla fine i clienti che si sono lamentati del prezzo sono stati pochi. Questo perché, una volta che viene comunicato il reale valore del prodotto, seguito dall’assaggio, è giustificato il prezzo anche per i più scettici. I clienti riescono a comprendere che la qualità ha un prezzo. Serviamo sempre il caffè raccontando cosa c’è dietro la tazzina.”