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venerdì 22 Novembre 2024
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Il vending vale 3,4 miliardi e non c’è più soltanto il caffè espresso

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MILANO – Staccare la spina fa bene all’industria. Forse non farà piacere agli alfieri della produttività da aumentare a tutti costi sapere che l’Italia, in troppe occasioni in fondo alle classifiche del business, detiene il primato europeo della pausa caffè con 800 mila distribuiti installati in tutta la Penisola.

Eppure all’ombra del rito della macchinetta, quell’intervallo dal lavoro che prende forma in capannelli tra colleghi, snack, espresso e confidenze, è cresciuto uno dei settori manifatturieri e di servizi più dinamici e innovativi del made in Italy.

Stiamo parlando di una filiera, nata per servire caffè e bevande nel mercato degli uffici, che oggi fattura 3,4 miliardi di euro ed è diventata un canale distributivo a tutto tondo e buono per tutte le occasioni: prepara piatti pronti, sforna pizze, propone menù biologici, vende calze e jeans, occhiali ed elettronica, e a volte stappa anche bottiglie di champagne.

Ma c’è di più. Perché nella stagione della crisi dei consumi, inabissati del 10% negli ultimi 10 anni, le aziende dell’agroalimentare hanno trovato nelle vending machine un canale alternativo per vendere in modo capillare e a basso costo i propri prodotti.

Insomma dove non arrivano bar, negozi e neppure l’e-commerce, c’è una vending machine. Certo, la pausa caffè domina ancora incontrastata il settore: più della metà dei consumi alle macchinette, circa il 55% del totale degli incassi, riguarda

la caffeina e i suoi combinati. Seguono a ruota, ma a debita distanza, le bevande fredde (19,6%), e poi succhi di frutta, snack dolci e salati. L’obiettivo è trasformarsi in scaffali automatici e personalizzati capaci di vendere qualsiasi tipo di prodotto.

Per questa ragione, la vending machine, in formato 4.0, connessa in rete e dotata di schermi touch, sta diventando sempre più attraente per le aziende: non a caso il parco macchine continua ad aumentare, passando, negli ultimi anni, da 740 mila a 800 mila unità.

Si tratta di un record europeo dovuto all’aumento dei consumi fuori casa, che rappresentano il 25% dei consumi alimentare, e dai cambiamenti dell a single society, famiglie monoparentali o persone sole che acquistano spesso confezioni monoprodotto.

Le vending machine quindi escono dai luoghi della “pausa caffè”, da uffici e fabbriche, per abbondare gradualmente il format di pausa caffè e diventare negozietti automatici di prossimità alloggiando nelle scuole, negli ospedali, nelle stazioni, negli aeroporti e nelle vie cittadine. E per ogni luogo cambia l’offerta.

A volte hanno scopo promozionale. Barilla ha messo ai fornelli la Pasta Cub, un distributore che cucina e serve al microonde cannelloni e penne al ragù.

E sono spuntati anche un paio di distributori di Moet&Chandon. Il modello è quello giapponese dove le vending machines hanno quasi sostituto i negozi di quartiere con un fatturato annuale di circa 60 miliardi di dollari.

Negli Usa, dove ci sono anche le macellerie automatiche e Amazon ci vende i suoi kindle, Snapchat ha scelto i distributori gialli per il lancio dei suoi occhiali a realtà aumentata. Ecco che la vecchia pausa caffè comincia a diventare un mercato da mille e una notte.

In Italia, nella partita delle vending machine, ci sono tutti i big dell’agroalimentare: fornitori storici delle vending sono Ferrero, Parmalat, San Pellegrino, e poi – ovviamente – i signori del caffè – Lavazza, Vergnano, Kimbo, Illy. NaturaSì, la catena italiana di supermercati bio, ha appena lanciato i primi distributori automatici con un’offerta biologica e salutistica.

Il format di vending salutistica comincia a prendere piede: il marchio Viva di Torino ha fatto il suo debutto con le zuppe fresche. Ci sono poi innovazioni fatte in casa, come la Sitos di Rovereto produce Let’s Pizza, una macchina che sforna margherite e quattro stagioni, particolarmente richiesta sui mercati esteri. Per alcuni brand la vending machine diventa strategica.

Calze Ileana di Brescia ha scelto il canale delle vending per il lancio del suo brand 1177, calze uomo donna e bambino vendute in lattina. Anche le calze di Gallo sono finite nei distributori, piazzati negli scali aeroportuali.

Tutti in fila per andare incontro a quei 30 milioni di italiani che, secondo una ricerca Censis realizzata per Nestlè, sono clienti occasionali delle macchinette, mentre 5 milioni sono frequentatori abituali.

«Ci sono due aspetti da considerare per valutare il successo delle vending machine – dice Massimiliano Valeri, direttore del Censis – da una parte c’è il cambiamento degli stili di vita che ci porta a mangiare spesso fuori casa, dall’altro c’è il fatto che l’industria alimentare comincia diversificare la sua proposta sugli scaffali dei distributori automatici».

La diversificazione dei prodotti e delle location sta chiedendo uno sforzo non da poco da parte dei produttori e dei gestori. In Italia il settore è ancora molto frammentato.

Ci sono circa 3.000 aziende: una filiera che inizia dalle fabbriche dove si producono i distributori e si articola fino ai produttori di accessori (filtri e bicchieri di carta), aziende di software, gestori delle macchine e sistemi di pagamento.

Un settore che è ancora molto frammentato, visto che i primi dieci operatori hanno “solo” il 21% del mercato, e sul quale gli analisti si attendono una concentrazione attraverso fusioni e acquisizioni.

Soprattutto sul fronte della gestione dove gli operatori si trovano a dover curare la ricarica e la manutenzione delle macchine.

Sono circa 365 le società di gestione, come IVS Italia, Gruppo Argenta, Ge.s.a., Liomatic, il gruppo Illiria, Supermatic, Serim, Buonristoro Vending Group, Sigma, Orasesta.

I gestori cominciano a pensare a un’espansione nel canale retail, portando automazione anche nelle mense degli uffici.

ll gruppo Argenta ad esempio ha acquisito Foodie’s, un format di distribuzione automatica che propone, oltre ai tramezzini, un’offerta basata su insalate, piatti freddi, frutta fresca, centrifugati e dolci.

Lazzari: “Le vending machine sono concentrati di tecnologia”

«Una volta le chiamavano macchinette – dice Piero Angelo Lazzari, presidente di Confida, l’associazione di riferimento del comparto – oggi le vending sono concentrati di tecnologia.

Il 10% delle macchine installate in Italia rientrano nella categoria smart: a schermo touch, interattive e connesse in rete.

Giocoforza il nostro business può cambiare volto al mondo retail e dei consumi».

Christian Benna

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