TORINO – Tutti hanno mangiato nella loro vita il cioccolato Venchi: che sia nel gelato oppure nelle tavolette, prima o poi ci si imbatte nei suoi prodotti (e se ancora non lo avete fatto, non aspettate altro tempo). Al di là dei confini torinesi, questo brand ha conquistato i palati di tutto il mondo e ora si guarda al Giappone: ma quanti di noi sanno come ha avuto origine questo piccolo impero di cioccolato artigianale? Leggiamo la storia dall’articolo di Eleonora Cozzella su repubblica.it.
Venchi dal principio sino a oggi
“Si frugò nella tasca della tuta e tirò fuori una tavoletta di cioccolato. La spezzò in due e ne diede metà a Winston. Prima ancora di prenderlo, lui capì dall’odore che era un cioccolato speciale. Era scuro e lucido ed era avvolto nella stagnola. Il cioccolato normalmente era qualcosa di un marrone opaco, friabile, che sapeva, per usare la similitudine più calzante, di immondizia bruciata. Ma una volta, chissà quando, aveva assaggiato del cioccolato come questo. Appena inalò l’aroma sentì emergere un ricordo potente. Il primo pezzetto gli si era sciolto sulla lingua, il sapore era delizioso”.
È il cioccolato che il protagonista del romanzo “1984” sta finalmente assaporando ed è stato comprato da Julia al mercato nero
Così Winston, dopo anni in cui si è accontentato del sottoprodotto distribuito dal regime, può finalmente ricordare il gusto del vero cioccolato, quasi introvabile sotto il governo totalitario del Grande Fratello. Ecco, nel libro di George Orwell, insomma, tra le ingiustizie cui i cittadini sono sottoposti, c’è anche il cioccolato cattivo. Anche se a dire il vero, chi non ha mai assaggiato quello di qualità non ne è consapevole.
Noi italiani siamo privilegiati, abbiamo una grande tradizione di cioccolatieri, di produttori artigianali e non, sappiamo distinguere il buono e l’eccellente dal dozzinale (e durante il lockdown e la seconda fase di restrizioni, abbiamo dimostrato di amarlo con gli acquisti, aumentati del 22 per cento).
Perchè se il cioccolato è cibo rifugio, che mette di buon umore e riscalda con la sua dolcezza, per farlo deve essere di qualità. Facile in Italia, con aziende di antica tradizione, nate per “disoensare felicità” come dice Giovanni Battista Mantelli, anima creativa di Venchi, erede della storica cioccolateria che vanta 142 anni di vita, tra alti e bassi e la costante voglia di reinventarsi.
Era il 1878 quando Silvano Venchi a Torino, in via degli Artisti, fonda l’azienda che è sopravvissuta a passaggi di proprietà
Alle vicende del fascismo, alle guerre, a un fallimento, per poi rinascere con orgoglio, fino a imporsi nel mondo della cioccolateria internazionale: il marchio oggi, forte di un moderno stabilimento a Castelletto Stura (Cn), è presente nel mondo con oltre cento negozi, 350 diversi prodotti al cioccolato e 70 gusti di gelato. Nell’ultima fase di sviluppo ha realizzato la “chicca” gourmet che ha vinto numerosi premi e rispetta pienamente il Dna di innovazione del marchio Venchi: il Chocaviar, cui si affiancano le tavolette di cacao d’origine da Ecuador, Perù e Venezuela.
A rintracciare i documenti storici della Venchi sono stati gli scrittori specializzati in cioccolato Clara e Gigi Padovani con le loro ricerche nei principali archivi storici torinesi.
Ci raccontano che Silvano, primogenito di quattro tra fratelli e sorelle, figlio di contadini con terre a Robbio Lomellina, nelle risaie del Pavese vicino al Piemonte, a 14 anni arriva a Torino, nel 1863, per imparare l’arte del confetturiere. In quel periodo la capitale sabauda è in gran fermento e incomincia l’epoca pionieristica dell’industria dolciaria. Come “operaio dolciere” apre il suo laboratorio che grazie ad alcuni soci diventa già nel 1886 una Società Anonima. E ancora è un’icona il manifesto dell’azienda, il manifesto pubblicitario realizzato dal disegnatore tedesco Roberto Ochsner nel 1890 per il “Cacao Due Vecchi”, prodotto di punta prima Talmone, poi Venchi Unica e quindi Venchi ancora oggi in produzione.Nel 1904 è già nota per il “Chocolat de Luxe”, medaglia d’oro all’Esposizione Generale di Torino, ospita fino a mille mastri dolciari artefici di confetti, dragèes, mini giandujotti e le celebri Nougatine, marchio registrato nel 1922. L’azienda si afferma rapidamente come la più elegante pralineria della regione.
Nel 1930 Venchi, sotto la guida del socio Riccardo Gualino, riunisce in UNICA – Unione Nazionale Industrie Cioccolato e Affini – i principali marchi di eccellenza dell’epoca. Ma Gualino, un po’ per investimenti azzardati un po’ per il suo antifascismo, deve lasciare il campo. Viene mandato al confino e le redini passano all’altro socio Gobbi. Sono comunque anni di crescita fino agli anni ’70, quando si contano oltre 350 punti vendita, che fanno di Venchi il primo esempio di franchising d’Italia. Tutto fila liscio fino alla crisi finanziaria del 1978.
Ecco il fallimento, la chiusura degli stabilimenti e la cassa integrazione per centinaia di dipendenti
Il marchio Venchi e alcune linee di prodotto sono affidate come risarcimento al principale fornitore di specialità per i negozi, Pietro Cussino, maître chocolatier di Cuneo, titolare della Cuba.Alla sua scomparsa l’azienda viene acquistata dal nipote Giovanni Battista Mantelli e da un gruppo di investitori privati innamorati dei prodotti e dal 2001 ritorna ad essere la Venchi del 1878. Mantelli è un appassionato del cioccolato e un instancabile viaggiatore: va di persona nelle piantagioni di cacao e stringe accordi con i coltivatori. Un lavoro fatto di competenza e ricerca, che lo reso fornitore per gli eventi del Premio Nobel per la pace a Stoccolma e ad aggiudicarsi premi come la Tavoletta d’oro e gli Awards di Londra e Parigi per i Gianduiotti Speciali e le pralines al Tiramisù.
Tra i prossimi obiettivi, la conquista del Giappone: “Abbiamo appena inaugurato tre negozi a Tokyo – dice – dove sono entusiasti della linea La Vita è dolce, dedicata al buongiorno all’italiana, tre cioccolatini ripieni di caffè, cappuccino e tè matcha”.