VARESE – Sabato primo ottobre, è stata celebrata anche in città la giornata mondiale del caffè. Una ricorrenza di recentissima istituzione, essendo stata lanciata nel 2015 da ICO (International Coffee Organization) allo scopo di promuovere e celebrare il caffè attraverso eventi che si sono svolti in tutto il mondo.
Come quello del famoso caffè viennese Julius Meinl che ha lanciato l’iniziativa “Meet with a poem”, un invito romantico a incontrarsi nelle sue caffetterie e a sostituire l’immagine del proprio profilo social con la poesia del cuore.
Ma che rapporto hanno i varesini con il caffè? Ecco alcune abitudini e aneddoti curiosi.
Gustosi aneddoti politici
Iniziamo dal primo cittadino. Davide Galimberti ne beve parecchi, ma solo al mattino perché se dovesse prenderne la sera non dormirebbe: la sveglia del sindaco infatti suona intorno alle 5.
Prende quattro caffè al giorno e il primo è il caffelatte assieme ai suoi bambini, perché la colazione la prepara lui. Quando è in comune, tra una riunione e l’altra, ha la macchinetta del caffè con le cialde.
Passiamo ad Andrea Civati. Il superassessore con competenze sulla pianificazione territoriale, urbanistica, opere pubbliche e PGT col caffè ha un rapporto di assoluto amore, che nasce nel periodo in cui compiva i primi passi in politica.
«Ma di più col cappuccino, che prendo al Caffè 21 del Comune verso le sette e mezza oppure al Globe. Il primo cappuccino mi è davvero essenziale e mi dà la carica».
Mauro Gregori, l’istrionico consigliere comunale della lista Davide Galimberti, di mattina carbura a caffè. «Inizio facendo la colazione a casa col caffelatte, poi in ufficio bevo un caffè, poi un terzo a mezzogiorno, poi esco dal lavoro e un altro ancora e infine uno dopo pranzo: mai nel pomeriggio. Lo bevo dove capita, ma dev’essere sempre caffè lungo, quasi all’americana, assolutamente senza zucchero».
Il suo collega consigliere di lista, il notaio Andrea Bortoluzzi, è il suo esatto opposto: non ne è un consumatore accanito, ma molto elegantemente lo considera il suo vero ed unico vizio, assieme al té.
«Non comincio mai la mia giornata lavorativa senza il caffè, pur preso in piedi, né vi rinuncio dopo pranzo, accompagnandolo con un dolcino. E quando capita, come stamattina, che sono uscito di casa e non ho avuto il tempo di berlo, alle 9 e mezza mi sono dovuto infilare in un bar a metà strada. Normalmente però il mio tempio del caffè è la Torrefazione Continental di Gallarate, dove il mio amico Lino Picierro mi prepara un Giamaica o un’Arabica a seconda dei giorni, e tutti i mesi mi regala una piccola rivista fatta dai torrefattori e produttori di caffè italiani che sfoglio con autentico piacere».
Rimanendo in politica, Carlo Piatti, fresco segretario cittadino della Lega, ci racconta un rapporto con il caffè molto partecipato.
«Ho abbonamenti con quasi tutti i bar del centro città e per me il caffè sono quei dieci minuti di tempo che non dedico solo a me stesso ma soprattutto ad amici e colleghi, staccando dalla routine quotidiana: tantissimi accordi e occasioni lavorative sono gestiti proprio davanti al tavolino di un bar sorseggiando un caffè, un rito a cui non rinuncerei mai anche se devo confessare che – pur bevendone sei o sette al giorno – in sé non mi piace poi così tanto: ma lo considero proprio l’occasione per incontrare gente in una società come quella di oggi in cui si comunica perlopiù sui social network».
Luca Paris, segretario cittadino del PD, adora il caffè bollente possibilmente preso seduto ad un tavolo e sorseggiato piano, in meditazione.
Francesca Strazzi, assessore ai rioni, ci sorprende: «La mia bisnonna Elvira era cresciuta in una fazenda in Brasile e dicono che girasse sempre con una tazza di caffè per casa. Perciò ce l’ho nel sangue, oltre al fatto che per noi il caffè pomeridiano e serale, che non manca mai, è un momento di aggregazione familiare, in cui ho coinvolto anche il mio bimbo, Massimiliano, che lo prende, come me, con una schiumetta leggera di latte, mentre chiacchieriamo della giornata che giunge al termine».
E gli aneddoti culturali
Passiamo alla cultura. Salvatore Consolo, dirigente scolastico del Liceo Classico Ernesto Cairoli, nutre un vero odi et amo nei confronti della bevanda di illuministica memoria.
«Ne bevo troppi – ride – perché così mi tengono in piedi. In alcuni periodi dell’anno mi devo persino disintossicare, e allora mi do al caffè casalingo di cicoria, mentre se sono al bar lo bevo d’orzo». Sostenitore del classicissimo espresso italiano, inizia a berlo, ça va sans dire, da studente.
Un altro da caffè d’orzo è lo scrittore Andrea Ganugi: «Fino ai quarant’anni ho lavorato in una scuola e ne bevevo un’infinità: quando ho iniziato a svegliarmi di notte ho deciso di chiudere bottega, ma mi rendo conto che al bar chiedere l’orzo non è la stessa cosa: ho penalizzato con un po’ di socialità in meno».
Anche il fiorista Alfredo Corvi non ha dubbi: «Sono un caffeinomane, ne berrò da quattro a sette a partire dal mattino. La mia passione per il caffè nasce da ragazzo, quando con mio padre ci facevano le due famose chiacchiere in corso con la tazzina davanti. Adesso mi sono un po’ impigrito, quindi me lo portano in negozio.
Ma il simpatico Ave riesce persino a far germogliare i chicchi. «Le piantine del caffè crescono bene a Varese, come piante ornamentali. Le vendiamo in una tazzina di ceramica col cucchiaino. Assomigliano ad un ficus beniamina, anche nelle cure».
Il rapporto col caffè di Angela Zamberletti non poteva che essere ottimo. «Mi piace in tutte le forme: anche quello della moka che mi preparo a casa. Non ne prendo tanti, ma due al giorno non me li leva nessuno, compreso il caffelatte serale, che mi ricorda mia suocera Ines che ha vissuto fino a cent’anni in via Como: dalla sua casa emanava sempre un magnifico odore di caffè a tutte le ore».
La miscela di Angela, vera icona di coffee style, è sempre rimasta identica a quella che selezionò suo padre sessantadue anni fa. E Piero Chiara, adoratore del caffè (e non solo), quando scriveva il romanzo “La spartizione”, da cui sarebbe stata tratta la sceneggiatura di “Venga a prendere un caffè da noi”, frequentava proprio il suo locale, dove raccontava del libro in fieri.
Bambi Lazzati, Piero Chiara la perdonerà, non è mai stata invece una di caffè. «Mia madre ne prendeva giusto uno dopo mangiato, mio padre nessuno: il discorso familiare conta molto, e poi dicono che le bionde siano meno di caffè. Difatti un giorno accettai l’invito di un mio collega della scuola dove lavoravo, e che insisteva per offrirmi un caffè, e stetti male. Però della tazzina mi piace l’anima, come il discorso del caffè sospeso che da Napoli si sta spostando anche da noi: un buon augurio fatto di mattino, il modo migliore per iniziare con la gentilezza nei confronti di chi arriva dopo di te e magari non conosci nemmeno».
Anche Maura Aimini dei City Angels, di professione parrucchiera, beve caffè con parsimonia: «La mia unica trasgressione quotidiana e se non faccio il caffè ad inizio mattina non parto. Ne bevo tre o quattro alternati alle tisane e li preparo in negozio con la macchinetta».
Ale Campi del Caffè La Cupola, il bar varesino dei Racconti del caffè, ne è – ovviamente – innamorato.
«Se me lo offrono lo accetto anche se l’ho bevuto dieci secondi prima. Mi piace il romanticismo intorno alla tazzina, e mi fido poco dei posti dove il caffè è buono tutti i giorni, perché è noto che risenta degli umori di chi lo prepara».
Amedeo Pini, il veterinario belfortese che sabato prossimo tornerà su Rai 1 con la nuova stagione della diretta mattutina dedicata agli animali, adora il caffè: «Ma a parte i periodi di vacanza, in cui mi abbandono alla dolce tazzina, quando lavoro non posso berlo perché mi agiterebbe con i miei amici a quattro zampe, quando invece mi si richiede calma ed empatia.
Perdutamente innamorata della moka
Scopriamo infine una Luisa Oprandi perdutamente innamorata della moka. «Ne possiedo una per ogni occasione e a seconda dei momenti della giornata e della necessità… mi preparo quella per una tazza, per due o per tre. Sempre con un cucchiaino di zucchero e secondo la nota regola del “sa bev sedent, scutent e che al costa nient” della massaia bosina doc, che mi ha insegnato mia madre».