martedì 29 Ottobre 2024

Vannelli, di nuovo il barista più bravo d’Italia: “La spettacolarità non è sinonimo di vittoria”

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RIMINI – Sigep vetrina per le aziende, luogo di scambio di cultura, idee e proposte. Ma anche spazio fertile per competere in molte delle discipline di caffetteria. Gli sfidanti per questa edizione erano più agguerriti che mai, per cominciare col piede giusto l’anno nuovo.

Alla quarantesima edizione del Salone, una delle sfide più attese è stata quella del tricolore baristi caffetteria. Specialità in cui ha trionfato, e per la terza volta, Giacomo Vannelli.

CIMBALI M2

Il campione barista italiano che in occasione di Sigep ha dato il meglio di sè nell’assoluta semplicità. Cimentandosi in una gara che ha rappresentato qualcosa in più di una semplice prestazione alla ricerca di un titolo.

Ma sentiamo dal diretto interessato come sono andate le cose. Una filosofia di approccio alla gara che potrà sicuramente interessare prossimi concorrenti ma anche e soprattutto i baristi di tutti i giorni.

Vannelli, cosa è accaduto nella prima gara

vannelli
Giacomo Vannelli ha vinto il titolo di campione italiano barista caffetteria 2019

“Dopo due anni lontano dalle gare non è facile rimettersi in gioco . Nella prima prova ero sicuro di poter far bene ed ero meno teso degli anni passati, mi son detto: forse è l’esperienza accumulata in passato che mi fa stare tranquillo “.

Pensavo fosse una cosa positiva , in realtà la giusta tensione aiuta ad essere concentrati e sul pezzo . Riguardandomi in video la sera dopo la gara, ho capito che la troppa disinvolutra è stato un errore  e mi ha portato a perdere un po’ il contratto con i giudici.

Il caffè che ho usato in finale era all’altezza, un Apex Panama. Un Geisha naturale sperimentale. Cioè è stato essiccato in dei letti disposti su tre livelli, modulabili. Un sistema disegnato dallo stesso farmer. Si tratta di un prototipo interessante che io stesso ho visto. Quando le ciliegie in essicazione raggiungono il 10.5% di umidità, vengono disposte nelle buste GrainPro. In seguito, viene stoccato per 90 giorni in stanze fredde per riposare.”

Ho scelto prima però la persona e poi il caffè

“Spesso si ricerca la materia prima. Invece io ho deciso di lavorare con un farmer che conoscevo ormai da tre anni, con il quale si è instaurato un rapporto di amicizia, Jamison Savage . Gli ho voluto dare valore e riportarlo in tazza.

Unendo la sua capacità di farmer, la mia di barista attraverso la nostra relazione, volevo trovare valori che andassero oltre la stessa tazzina.

E’ un caffè che lui aveva già sviluppato con un processo di fermentazione particolare. Stiamo attualmente sperimentando altri processi.”

Questo caffè è buono anche per il prossimo mondiale?

“Sicuramente è all’altezza di una competizione mondiale. Per il mondiale però cercherò con Jamison, tra i nuovi raccolti il caffè migliore da presentare . Anche Questa volta voglio puntare sulle persone che stimo. Vicine a me a livello umano. Il produttore, il coach, l’assaggiatore, verranno scelti per fare squadra.

Ho sempre lavorato autonomamente e sarà così anche al mondiale. Perché voglio mandare il mio personale messaggio in pedana. Però gli sviluppi per arrivare al risultato, saranno determinati dal lavoro di squadra.

Credo che avere amici vicini è importante , per questo motivo ho parlato nella mia gara dell amicizia con Jamison, dell amicizia con Paolo , dell amicizia con Sasa Sestic.

Per il mio milk beverage  ho utilizzato un Etiopia, Jasper Carbonic Maceration Process , caffe che ho assaggiato a maggio prima dei mondiali, mentre lo provava un altro amico, John Gordon.

In quel momento ho capito che era la soluzione che volevo presentare nella mia gara a gennaio.”

Una preparazione molto lunga per il campionato italiano

“Sì e no. Ho iniziato a pensare alla gara dal 2016, ovvero da quando ho perso la prima volta. Ovviamente in questa ricerca ci sono state tante idee. Alcune delle quali volevo portare in gara, ma non ero ancora pronto. Ero preparato invece per presentare il multi dosing system.

Una nuova tecnica di macinatura che ho scoperto e presentato per la prima volta qui a Rimini e che può essere adottata nella quotidianità di qualsiasi coffee shop nel mondo.

Se io faccio una gara utilizzando una strumentazione che però non è possibile utilizzare all’interno di un coffee shop, allora la ricerca è piuttosto inutile, fine a se stessa. Ho voluto quindi fare una gara forse meno spettacolare ma basata innanzitutto sull’ esperienza sensoriale.

Quindi assaggiando, ho trovato con questa tecnica di macinatura ,una qualità in tazza migliore. Da lì, mi sono appoggiato a strutture specializzate e professionali, come la Keber che produce macine per macinini, per capire se la mia intuizione avesse delle basi.

Ovvero in sintesi:

Sia per espresso sia per filtro quando si  utilizza un macinino a macine verticali , esempio un EK43 ,  si macina L intera dose in in unica macinata, solitamente 18 / 20 grammi .

Io invece ho preso questa dose e l’ho divisa in tre parti da 6 grammi ciascuna e le ho macinate separatamente lasciando le macine sempre in movimento.

Quindi ho messo la prima dose senza spegnere, poi la seconda e poi la terza.

A livello sensoriale ho scoperto che si ha una maggiore dolcezza, meno dry e meno amarezza. A quel punto mi sono chiesto come fosse stato possibile.”

Prima di tutto grazie a un discorso legato al surriscaldamento

Giacomo Vannelli e il campione italiano di caffetteria 2019
Giacomo Vannelli e il campione italiano di caffetteria 2019

“Perché così il caffè entra in contatto per minor tempo con le macine. Secondo: ho pensato alla tostatura. Quando uno calcola il tamburo della macchina tostatrice, la quantità di caffè verde da metterci dentro, oppure il numero di giri del tamburo, c’è un rapporto tra densità, spazio e velocità che non è casuale.

Quindi nel momento in cui utilizzo 20 grammi o 6 su una macina da 10 centimetri che gira, la distribuzione del particolato cambia. Il taglio e la velocità di uscita cambiano. C’è un’altra distribuzione negli spazi.

Per cui ho analizzato i risultati e la Keber che ringrazio per la professionalità e per la diponibilita nell’album  aiutarmi in questa ricerca.

Tramite un analisi Laser del particolato abbiamo visto che le curve da 6 gr sono molto costanti tra loro e che comparata ad una macinatura di una dose classica da 20 grammi si hanno meno particelle fini. Sembra assurdo perché esistono tre frizioni, ma c è meno impalpabile. La cosa ancora più interessante è osservare in questa curva come il risultato scientifico sia simile a quello sensoriale.”

Com’è giunto a questa intuizione?

“Ci sono arrivato forse per la paura di non essere mai all’altezza. Ho individuato i 6/7 grammi sperimentando più volte. C’è bisogno anche di trovare un quantitativo che dia stabilità . I sei / sette grammi sono ottimali. E’ una ricerca che continuerò e presenterò al mondiale.”

Pensando al brewing

“Se uno ha un caffè molto buono, si macina a mano. Perché alte velocità, frizioni, abbassano la qualità della tazza. Ma sono tempi improponibili all’interno di un coffee shop. Invece, non deve esserci niente che non possa esser replicato da un barista nel lavoro quotidiano e questa tecnica più migliorare il work flow e la qualità della tazza che si va a servire al consumatore finale .

Ed è proprio questo quello che ho voluto dire ai giudici. La mia gara è semplice nella forma, senza spettacolarità ma con molta ricerca e studio.

Volevo dimostrare l’attenzione per il mondo del caffè e anche la responsabilità verso gli altri operatori.Io vedo i nuovi talenti prendermi come punto di riferimento e desiderano un consiglio. Mi sento un po’ un mentore della situazione.

Volevo mandare un messaggio alla nuova generazione di baristi, studiare nella quotidianità. Se c’è attenzione al prodotto, uno valido, e si analizza il tutto criticamente, l’industria potrà fare grandi salti proprio nel quotidiano.”

Less is more

“E’ il mio messaggio di apertura ai nuovi baristi. Dovete avvicinarvi. Se devo dare un esempio, voglio dare quello che non per forza la spettacolarità è anche sinonimo di vittoria.

Io oggi porto in gara la semplicità

Un esempio è il fatto che io abbia deciso di non usare il ghiaccio. Perché sono movimenti e passaggi in più, che rovinano una performance pulita. Ho invece usato i cubetti di ghiaccio in plastica congelati. Il principio è quello appunto di rendere il tutto essenziale. Perché la differenza la fai con la tazza che porti, non con l’apparecchiatura.

Domenica ero più teso, per via della gara di sabato che non era andata al massimo

Sono riuscito a spiegare meglio nell’ultimo minuto il mio messaggio, guardando i giudici. Perché era un momento per me cruciale. Mi sono giocato il titolo in un minuto, al di là dei mesi di preparazione. Gli ultimi trenta secondi li ho usati un po’ come un mio manifesto.

Questo alla fine è un palco aperto. L’impressione è proprio di un open space. Chiunque può salirci sopra. Spesso però la rappresentazione di questo spazio fa un po’ paura al barista. Che è spaventato dalla complessità della gara. Io ho voluto abbattere tutti queste barriere. Là fuori ci sono baristi veramente capaci, più di me e di altri. Senza farsi illusione, bisogna incitarli a migliorare ciò che si è iniziato.”

Il signature Drink di Vannelli

“E’ stato semplice da realizzare. Una bevanda realizzata raffreddando gli espressi. E utilizzando due infusi. Fatti uno da marmellata di amarena e acqua minerale e l’altro di albicocca e acqua, due ingredienti che esaltavano le note di frutta gialla e rossa dei miei espressi.

Ho scaldato leggermente l’infuso all’amarena, perché questo abbassava l’acidità e aumentava la dolcezza. Quindi 4 espressi freddati e 35 grammi di ciascun infuso. Messi poi in un Sifone e un flash d’azoto per fornire una leggera cremosità. Il drink resta semplice, e così può esser replicato in caffetteria, ma buonissimo a livello sensoriale.

La tazza dove ho servito il drink aveva una doppia texture, la parte sotto più rugosa, che dava l’idea di cremosità e l’altra più liscia; per focalizzarsi sulla pulizia e l’eleganza del drink. La ricercatezza del drink non si percepiva dalla preparazione ma dall’ assaggio sensoriale.

Ho scoperto che è molto più difficile realizzare qualcosa di semplice che una complessa. La sintesi è articolata. Nata da due anni di riflessione.”

Andrea  Lattuada e Vannelli, un’amicizia stretta

“Vado a casa sua e gioco a scacchi con il figlio. Poi è ora di dormire, e quando mi sveglio ci confrontiamo nell’assaggio. La nostra è una relazione vera e di amicizia, in cui lo scambio è autentico. Non c’è nessun tipo di formalità.

E soprattutto Andrea è uno dei più esperti dal punto di vista dell’assaggio. Ha delle intuizioni che permettono di ritrovare gli ingredienti adatti a far risaltare alcune noti nel drink. Negli anni si è sempre dimostrato come una persona trasparente. In più è un pionere, animato dalla passione. Ha speso gran parte della sua vita in questo movimento. Oggi è una delle persone con le quali io mi rapporto meglio.”

Il team Sanremo

“Abbiamo un’app che mette in contatto la Swat, il gruppo, 24 ore su 24. Noi siamo una squadra che lavora assieme da 5 anni. Siamo una famiglia.

A volte i problemi di lavoro vengono ovviati di fronte a un forte attaccamento. Quando accettiamo nuovi membri dev’essere accettato da tutti. E dev’essere caratterizzato da un forte senso umano. L’unione di capacità e valori, fanno parte del nostro team, al di là di qualsiasi altro aspetto.

Un pensiero va a Carlo De Sordi, la persona più importante del nostro Team. Il nostro Leader, una persona vera a cui sono molto legato. Che ha avuto la pazza idea di mettere tutti noi insieme, ha creato la Swat e ci trasmette quotidianamente una carica pazzesca. Oggi era qui a tifare  per me .

Una vittoria complessa

“Diciamo che si tratta più che altro della sintesi della mia vita degli ultimi anni. Quando uno si mette in gioco deve farlo in toto. E’ bello, nonostante poi tu sia solo sul palco, vedere gli amici che fanno il tifo per te anche dall’altra parte del mondo. Sono valori che restano al di fuori dalla competizione.

Il mio obiettivo è stato quello di comunicare il mio manifesto. Non è una cosa che si può dire prima della gara. Bisognava portarlo nella pratica, per renderlo accessibile e vincente. COsì da renderlo valido per davvero. E’ stato un rischio.

Un lavoro nato dal sostegno di Pietro, mio fratello.”

I rischi della semplificazione

“Tutti corrono dei rischi, ma ne vale la pena. Nella quotidianità anche negli assaggi, nell’area training con Pietro, c’è sintonia e collaborazione. Siamo una bella squadra. Quindi è stato bello anche solo per passare del tempo assieme. La gara ci avvicina sempre . Mio fratello è forte a livello sensoriale e di supporto. Credo che Non avrei vinto la competizione senza di lui.”

 

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