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mercoledì 11 Settembre 2024
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Valentina Picca Bianchi, Fipe: “In Italia la definizione di impresa femminile ancora ferma al 1992”

Il Presidente: "In sintesi rimangono ancora significative disparità che devono essere affrontate attraverso politiche mirate ed un cambiamento culturale a livello aziendale e sociale. Sono comprese nel discorso le normative e politiche aziendali: sebbene vi siano già delle proposte a livello nazionale ed internazionale volte a promuovere la parità di genere, la loro attuazione pratica può variare significativamente"

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MILANO – La questione di genere è ancora un tema su cui discutere, anche nel caso dei pubblici esercizi, settore in cui la figura femminile sta trovando il suo ruolo sempre di più negli anni, grazie anche al lavoro delle associazioni di categoria che portano avanti dei progetti inclusivi e di supporto: il quadro della situazione attuale lo fornisce direttamente Valentina Picca Bianchi in qualità di presidente nazionale donne imprenditrici presso la Federazione italiana dei pubblici esercizi (Fipe).

Picca Bianchi, oltre 600mila donne attive nel settore della ristorazione: i numeri ci sono, ma quali ruoli ricoprono al suo interno?

“Esattamente, come riportato dalla fonte Rapporto Ristorazione Fipe 2024, ad oggi, il settore della ristorazione conta oltre 600mila donne lavoratrici, 112mila partite iva e 96mila imprese a conduzione femminile, pari all’8% delle imprese femminili nel terziario, sul totale di 1 milione e 242 mila in Italia.

Per fornire una panoramica: le imprese femminili si equidistribuiscono all’interno dei diversi canali della ristorazione con una prevalenza nel bar dove sono poco più di un terzo della platea (33,1%) mentre negli altri comparti rappresentano il 26% e le tre regioni in cui si concentra il maggior numero di imprese gestite da donne sono la Lombardia (13.480 imprese), il Lazio (10.179) e la Campania (9.167).

Sebbene la figura maschile continui ad essere predominante nella ristorazione italiana, negli ultimi anni la quota rosa si è ampliata e, oggi, le donne che lavorano in questo settore hanno più che mai la possibilità di emergere e distinguersi tra preparazioni complesse, servizio in sala e gestione del locale.

Possiamo quasi affermare che il mondo dei pubblici esercizi è un settore inclusivo, essendo uno dei pochi settori dove l’occupazione femminile supera quella maschile (più di 5 dipendenti su 10 sono donne).

Nonostante questa possibilità e nonostante l’aumento del numero delle donne nel settore della ristorazione, si continuano a concedere a loro ruoli tradizionali, di solito senza assunzione di potere e responsabilità decisionale, in quanto ritenuti incompatibili con il ruolo attribuitole di ancella della casa e della famiglia.

Affinché si verifichi una conversione interna alla ristorazione, nello specifico un cambio di prospettiva dei ruoli, ritengo fondamentale il supporto di politiche inclusive, cambiamenti culturali ed una maggiore consapevolezza delle capacità e del valore delle donne nel settore.

Le politiche e gli strumenti devono essere accompagnati dalla costruzione di una cultura di genere condivisa, mirata a creare consapevolezza e sensibilizzare rispetto agli ostacoli e alle complicazioni che ancora oggi una donna trova nel percorso che la porta a fare impresa così come da una maggiore presa di coscienza, da parte delle donne stesse, delle loro capacità e del loro valore unico e prezioso nel settore.

Per quanto riguarda le lavoratrici dipendenti, il settore conta circa il 52% e questa percentuale ci fa pensare ad una predisposizione quasi naturale all’accoglienza al femminile. Il problema è che poi solitamente le donne ricoprono dei ruoli che non voglio definire come marginali, perché al contrario sono sempre fondamentali, ma che nell’opinione pubblica non godono del giusto riconoscimento.

Bisogna anche considerare che molte imprenditrici nei pubblici esercizi sono per prime delle lavoratrici all’interno della loro propria attività, quindi coinvolte in tutte le procedure dell’azienda, dallo svolgere la mansione di lavapiatti a quella della barista sino a quella della titolare.

Aggiungiamo un altro aspetto: all’interno di questo settore fare carriera, soprattutto nella dimensione di una piccola impresa, è un processo meno flessibile. Ovviamente anche all’interno della ristorazione e dell’accoglienza si possono implementare politiche, prospettive, avviare un’inversione o un consolidamento di ruoli. C’è un esempio di questo proprio a Milano che ha avuto la prima certificazione di genere a cui abbiamo dato ampia rilevanza: “Da Aimo e Nadia” sono stati i primi e poi ne sono seguiti altri. È importante
sottolineare che l’opportunità c’è.

Anche tutte le associazioni di categoria stanno spronando questo processo di consapevolizzazione e si sta creando un movimento comune.”

La retribuzione e le condizioni contrattuali sono alla pari tra le risorse femminili e quelle maschili nell’horeca?

“Il gap che ci sono di trattamento salariale e di inquadramento che esiste in tanti altri settori, non manca neppure nel nostro. Molto del lavoro poi è distribuito su turni e prevede dei part time per cui le donne si prestano maggiormente. Dal punto di vista della retribuzione, tendono a guadagnare meno e questo può essere attribuito a diversi fattori. Sono punti critici e le opportunità di avanzamento sono minori, per una mancanza di catena lavorativa all’interno di un bar o di un micro pubblico esercizio.

C’è poi il problema dell’armonizzazione tra vita e lavoro e gli incarichi familiari ancora pendono assolutamente sulle donne. Inoltre questo settore è fatto da turni di lavoro con aperture che durano sino alle 18 ore al giorno e questo penalizza ulteriormente la donna nell’organizzazione della propria vita privata.

Per cui in sintesi rimangono ancora significative disparità che devono essere affrontate attraverso politiche mirate ed un cambiamento culturale a livello aziendale e sociale. Sono comprese nel discorso le normative e politiche aziendali: sebbene vi siano già delle proposte a livello nazionale ed internazionale volte a promuovere la parità di genere, la loro attuazione pratica può variare significativamente.

Le politiche aziendali e le pratiche interne svolgono un ruolo cruciale nel promuovere l’uguaglianza di genere, ma la loro efficacia dipende dall’impegno delle singole imprese.”

La conduzione femminile delle imprese quanto ha a che fare con il passaggio generazionale nelle aziende familiari?

Picca Bianchi: “Il problema di molte imprese, tra micro e PMI, è che il passaggio di padre in figlia avviene raramente e con difficoltà. Sono tanti i casi in cui si rinuncia al trasferimento di testimone e piuttosto si opta addirittura per l’affidamento della guida al genero. Questo a sua volta porta ad un disperdimento di patrimonio incredibile.

Sappiamo che in molti casi le imprese al femminile si sono dimostrate più resilienti di altre. Penso che non sia esatto affermare che non esiste differenza tra fare impresa al maschile e al femminile, perché entrambi i casi sono influenzate dall’identità di genere. Il passaggio di leadership a favore delle donne, quando si verifica, incontra a volte la resistenza anche dagli stessi dipendenti che non riconoscono un nuovo capo donna.

Ci sono una serie di stereotipi che esistono e persistono, ma perlomeno ora li abbiamo perimetrati e possiamo affrontarli meglio. Ed esistono ora delle strategie efficaci per agevolare questo trasferimento di ruoli: le donne che aspirano alla leadership nelle aziende familiari devono spesso affrontare un percorso di preparazione e formazione rigoroso, simile a quello dei loro colleghi maschi.

Le famiglie che investono nella formazione delle figlie in ambito aziendale e manageriale contribuiscono a facilitare il loro ingresso nella leadership aziendale. Essenziale quindi il supporto familiare perché valorizza le competenze delle donne e promuove la loro partecipazione attiva favorendo una transizione generazionale più equa.

Anche la presenza di modelli di ruolo femminili e programmi di mentorship all’interno delle aziende familiari può incoraggiare e sostenere le donne nel processo di successione. Questi modelli possono dimostrare che la leadership femminile è possibile e di successo, sfidando i pregiudizi di genere.

Infine, la chiave è la cultura aziendale inclusiva e orientata alla parità di genere: questa può facilitare il passaggio generazionale alle donne. Le imprese familiari che adottano politiche di genere e promuovono un ambiente di lavoro equo ed inclusivo sono più propense a vedere una maggiore partecipazione femminile nella leadership.”

L’equilibrio tra famiglia e lavoro nella ristorazione, è sempre qualcosa visto come compito della donna o ci sono formule che supportano le madri e i padri ad affrontare il momento della genitorialità continuando a restare attivi lavorativamente?

“Sebbene la sfida dell’equilibrio tra famiglia e lavoro sia tradizionalmente vista come un compito delle donne, ci sono sempre più iniziative e formule che supportano sia madri che padri nel settore della ristorazione.

Ecco alcune di queste soluzioni:

Orari di lavoro flessibili: la flessibilità negli orari di lavoro è cruciale per aiutare i genitori a conciliare le responsabilità familiari e professionali. Alcuni ristoranti offrono turni flessibili, part-time o opzioni di lavoro a rotazione per consentire ai genitori di gestire meglio i loro impegni.

Congedi parentali: la disponibilità di congedi parentali per entrambi i genitori può fare una grande differenza. I congedi parentali retribuiti e non retribuiti permettono ai genitori di prendersi del tempo per la nascita e la cura dei figli senza compromettere la loro posizione lavorativa.

Supporto per l’infanzia: alcuni ristoranti offrono supporto per l’infanzia, come asili nido aziendali o contributi per la cura dei bambini. Questo tipo di supporto può alleviare il carico sui genitori e rendere più gestibile il bilanciamento tra lavoro e famiglia.

Politiche aziendali inclusive: le politiche aziendali che promuovono l’equilibrio tra lavoro e vita privata e che supportano la genitorialità possono contribuire a creare un ambiente di lavoro più equo e sostenibile.

Queste politiche includono lo smart-working (dove possibile), il supporto per il ritorno al lavoro dopo il congedo parentale e la promozione di un equilibrio tra vita lavorativa e personale.

Cultura aziendale di supporto: una cultura aziendale che riconosce l’importanza dell’equilibrio tra lavoro e vita privata e che non stigmatizza i genitori per aver preso congedi o orari flessibili, è essenziale.

Distribuzione equa delle responsabilità familiari: promuovere una distribuzione più equa delle responsabilità familiari tra madri e padri può contribuire a ridurre il carico su un solo genitore. Questo può essere facilitato da politiche aziendali che incoraggiano i padri a prendere congedi parentali e a partecipare attivamente alla cura dei figli.”

Picca Bianchi, secondo lei ancora cosa manca in Italia per raggiungere la parità di genere?

“L’Italia è al 79esimo posto nella graduatoria dei 146 Paesi valutati nel “Global Gender Gap Report 2023” del World Economic Forum, arretrando di 16 posizioni rispetto all’anno precedente. A ciò si aggiunge un altro risultato poco confortante in merito all’Indicatore sull’uguaglianza di genere dell’European institute for gender equality (Eige) che vede l’Italia al 14esimo posto sui 27 Paesi membri dell’UE.

Alcune azioni e politiche da affrontare ed adottare per raggiungere la parità di genere:

Definizione unica di impresa femminile (Manifesto Start We-Up): possiamo affermare che sia il primo grande punto di partenza poiché attraverso la definizione unica di impresa femminile si vuole abbattere tutti quegli ostacoli (sociali, burocratici, legislativi) che frenano le donne nel mettersi in gioco nel mondo professionale e del lavoro.

Ricordiamoci che In Italia la definizione di impresa femminile è ferma al 1992 e non tiene conto del reale tessuto produttivo tanto che le stesse analisi condotte dall’Osservatorio per l’imprenditorialità femminile di Unioncamere e InfoCamere utilizzano un diverso metro rispetto a quello normato, considerando “impresa femminile” quell’azienda di proprietà almeno per il 51% di una donna.

Il Comitato Impresa Donna si sta battendo per questo attraverso l’adesione al Manifesto Start We-Up, promosso dal Gruppo Donne di Confimi Industria, che ha attenzionato il tema.

Formazione/educazione/cultura: purtroppo l’Italia rimane agli ultimi posti nella graduatoria dell’alfabetizzazione finanziaria: l’indicatore complessivo è 10,6, su una scala da 0 a 20.

Le donne sanno meno di finanza in molti paesi del mondo e questo è vero anche in Italia. Il divario a sfavore delle donne si registra in 11 paesi europei; è più ampio in Spagna, Portogallo e Grecia.

La “bassa strategicità dei settori di impiego” delle donne è attribuita anche al limitato numero di donne laureate in discipline Stem. Secondo l’Istat solo una laureata su sei ha conseguito il titolo in materie dell’area scientifico-tecnologica, corrispondenti al 16,6%.

Ciò si ripercuote anche sui tassi di occupazione (“il tasso di occupazione femminile sia nell’area ‘scienze e matematica’ sia per l’area ‘informatica, ingegneria e architettura’ è inferiore a quello maschile di 10 punti”, evidenzia l’Istat).

Serve dunque un’azione di empowerment e di incoraggiamento delle donne a intraprendere carriere nelle discipline scientifiche e tecnologiche, oltre che sostenere le imprese femminili ad affrontare i temi relativi alla sostenibilità e alla transizione verso il digitale, come previsto dal programma “Imprenditoria Femminile” del MIMIT.

E per fare impresa in modo innovativo, sono fondamentali le azioni di comunicazione, formazione e diffusione della cultura imprenditoriale tra la popolazione femminile previste sempre all’interno del Fondo impresa femminile e finanziate dal PNRR, con l’obiettivo di incidere a livello culturale sulla propensione all’imprenditorialità delle donne, sostenere imprenditrici e neo imprenditrici con servizi di formazione e mentoring e incoraggiare le ragazze a intraprendere carriere nelle materie scientifiche e tecnologiche.

Maternità e welfare: è necessario agire e quanto prima sulle politiche di welfare e strumenti a sostegno delle donne imprenditrici e lavoratrici rispetto alla gestione dei carichi familiari e della maternità, impegni che rimangono, da sempre e per sempre, in capo alle donne (ricordiamoci che per il 52% la decisione di lasciare l’occupazione è dettata da “esigenze di conciliazione”).

A tal proposito, il Comitato Impresa Donna si sta battendo per l’ottenimento di alcuni servizi, fondamentali su questo tema, tra i quali: la disponibilità di asili nido o servizi di babysitting a prezzi accessibili, un Registro di Temporary Manager presso le Camere di Commercio per consentire all’imprenditrice di poter scegliere e fruire gratuitamente di questa figura professionale per un periodo minimo di 5 mesi così come riconosciuto
alle lavoratrici;

l’introduzione di un supporto per la gestione dell’impresa durante la maternità (questo potrebbe includere servizi di consulenza, mentorship o programmi di formazione che aiutino le imprenditrici a mantenere il controllo e lo sviluppo del proprio business anche durante il periodo di congedo), lo sviluppo di comunità di supporto per fornire opportunità di apprendimento, scambio di idee e sostegno reciproco ed infine l’attuazione della legge 32/2022, il Family Act che ha l’obiettivo di sostenere la genitorialità, riformare i
congedi parentali e rendere obbligatori e strutturali i congedi di paternità, contrastando così la denatalità e favorendo la conciliazione della vita familiare con il lavoro, in particolare quello femminile.

Raccolta dati e monitoraggio: è necessario monitorare per valutare i progressi ed identificare le aree di intervento delle politiche promosse per la parità di genere. A tal proposito, il Comitato Impresa Donna ha avviato il Progetto Pilota sulla valutazione di efficienza ed efficacia degli incentivi dedicati alle imprese femminili, con l’obiettivo di costruire un sistema di monitoraggio degli aiuti alle imprese femminili per ricavarne evidenze qualitative e quantitative utili a fornire una valutazione sul funzionamento delle diverse misure, indirizzare eventuali rifinanziamenti delle stesse e rafforzare complessivamente la strategia di sostegno all’imprenditorialità femminile.

Il progetto intende mettere a fattor comune, le conoscenze, i dati, le informazioni e le competenze di ricerca facenti capo ai diversi soggetti che hanno dato disponibilità a
contribuire: l’Ispettorato generale per gli affari economici della Ragioneria generale dello Stato, Invitalia, Unioncamere, l’Istituto Guglielmo Tagliacarne (in ragione della sua appartenenza al Sistema Camerale-Unioncamere).

In considerazione del fondamentale ruolo del MIMIT su questi temi si ritiene utile la partecipazione diretta del Ministero al gruppo di progetto.”

Come si sta attivando Fipe per supportare le donne nell’inserimento nel mondo del lavoro dei pubblici esercizi e nell’ottenimento di condizioni vantaggiose?

“Come Fipe, ci impegniamo ogni giorno a sostenere l’empowerment femminile attraverso iniziative e progetti condivisi come #SicurezzaVera, in collaborazione con la Polizia di Stato, molteplici percorsi di formazione, coaching e workshop specifici per sviluppare e rafforzare la cultura d’impresa al femminile.

Programmi e attività che stanno portando ottimi risultati nella diffusione delle tematiche afferenti alla cultura di genere.

Alcuni progetti portati avanti ad oggi dal Gruppo Donne Imprenditrici:
– #SicurezzaVera: si muove all’interno della campagna “Questo NON è AMORE”, attiva dal 2016 e diventata un’iniziativa permanente sviluppata dalle Questure con la quale la Polizia di Stato aiuta a far emergere le situazioni di violenza di genere, fenomeno complesso che non può essere affrontato solo con strumenti normativi ma che richiede campagne informative e strumenti di analisi degli episodi delittuosi che possano rendere più efficaci le azioni di prevenzione e contrasto.

La Fipe, con questo progetto ha voluto dare il suo contributo partendo dall’assunto secondo cui i pubblici esercizi rappresentano – da sempre – la più ampia rete di presidio territoriale di cultura, socialità e tradizione presenti in Italia.

– Progetto tovaglietta comunicativa “Io parlo con il dito”: progetto firmato il 28 marzo 2023 tra Fipe Confcommercio, Associazione ClinicaMENTE e Gruppo Donne Imprenditrici al fine di aiutare le persone affette da disturbi specifici del linguaggio a comunicare quando si trovano all’interno di un pubblico esercizio.”

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