MILANO – Adesso il riconoscimento come patrimonio immateriale Unesco del caffè espresso italiano tradizionale è possibile: un annuncio che arriva dopo un percorso lungo e tortuoso iniziato nel lontano 2015 dal Conte Giorgio Caballini che, per primo, intuì la bontà del progetto. Poi un gran lavoro di preparazione, eccezionale fatto tutti insieme tra Napoli e il nord. Che non è poco considerato da dove si era partiti, grazie alla buona volontà di entrambe le parti, Napoli e l’Italia, che hanno trovato finalmente un buon compromesso.
Per l’Unesco da qui in avanti si procede così
Il 21 e il 22 marzo ci sarà la riunione del Comitato nazionale italiano Unesco (Cniu), in cui si analizzerà il dossier licenziato dal Mipaaf con presenti nella commissione dirigenti dello stesso Miipaf, del Mic e del Ministero degli esteri.
Dopo questo incontro, si dovrebbe decidere di inviare la candidatura a Parigi ed è in questa sede che i vertici dell’Unesco si prenderanno, molto probabilemnte, il tempo necessario a formulare alcune domande ai proponenti.
Questo perché l’Icomos (l’Associazione esterna dei tecnici Unesco, n.d.r.) Consiglio Internazionale dei Monumenti e dei Siti, valuterà secondo determinati criteri – a volte imperscrutabili -. Il processo di acquisizione delle informazioni dai proponenti potrebbe svolgersi nell’arco di sei mesi oppure, anche, concludersi subito. Ciò significherebbe fissare una riunione del comitato scientifico del patrimonio materiale Unesco, composto dai funzionari di Icomos e, in base alle decisioni dei tecnici, l’Unesco sancirà infine il riconoscimento.
Ma c’è da esser ottimisti
Il primo motivo per esserlo è il fatto che tutto il cammino condotto per l’espresso italiano tradizionale ha preso come riferimento la letteratura legata al riconoscimento Unesco per la dieta mediterranea, in cui si riconoscevano le comunità locali emblematiche.
Questo è stato un punto a favore del dossier, in cui sono state evidenziate seguendo quel modello, le comunità rappresentative milanesi, triestine, napoletane, torinesi eccetera.
Il secondo punto che fa ben sperare, è l’esser arrivati con un importante aspetto di ritualità, riconosciuta a livello mondiale: perché l’espresso lo adoperano anche altre comunità a livello internazionale per un momento conviviale e sociale.
Inoltre c’è il precedente del caffè turco, già ratificato dall’Unesco: non si dovrebbero quindi incontrare obiezioni di nessun genere.
La definizione del rito dell’espresso italiano potrebbe ancora far discutere chi è rimasto fuori dal dossier consegnato all’Unesco?
Può darsi che la reazione immediata possa esser proprio questa. Ma è sufficiente leggere bene le carte, per superare questa prima impressione: le comunità emblematiche sono riconoscibili in tutto il Paese ma anche all’estero. Per questo motivo tutti possono sentirsi parte della pratica del caffè espresso italiano tradizionale. Nessuno escluso. Ci si ricorderà di un giusto compromesso, che per altro caratterizza altri patrimoni di questo genere.
La notizia è che si resta tutti uniti attorno alla tazzina italiana.
Dal 2015 al 2022, si è arrivati quindi a un punto importante, frutto di un lavoro coeso su più fronti: nessuno si è tirato indietro per la causa nella massima collaborazione
Davanti a questo primo risultato, ci si dimentica di tutto quello che ha preceduto e caratterizzato negli ultimi anni la vicenda. Chiunque si può ritrovare nel caffè espresso italiano ora e verrà dimostrato nella promozione di questo traguardo a livello nazionale. Il riconoscimento diventerà culturale al punto che, per esempio attraverso il Ministero della pubblica istruzione, potrà esser veicolato all’interno dei testi didattici per esempio degli Istituti alberghieri.
La sfida sarà quella di conservare questo riconoscimento Unesco nella memoria e nella quotidianità delle comunità
Si ragionerà anche con la Federazione italiana pubblici esercizi, per eventualmente attuare una promozione nei locali di questo traguardo Unesco.
All’estero, dove ci sono tantissime macchine espresso e tanto caffè italiani, non rappresenterà un fattore dalla valenza commerciale, se non per un effetto collaterale: dipenderà tutto dagli operatori italiani che si affacceranno sul mercato estero, e dalle modalità in cui trasmetteranno l’orgoglio di questo riconoscimento, senza però considerarlo come un marchio collettivo.