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lunedì 25 Novembre 2024
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Una volontaria Ana racconta: “In emergenza ho imparato a bere caffè”

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MILANO – Ci sono abitudini consolidate che raramente si cambiano, ma ci sono situazioni particolari in cui si possono fare eccezioni: la storia di Giada, volontaria della Protezione Civile, che non beveva caffè ma che ha imparato ad apprezzarlo per poterlo condividere con gli altri soccorritori e i terremotati dei campi sfollati del Centro Italia

“Avevo smesso di bere caffè perché mi dicevano che mi rendeva nervosa, perché avevo letto tanti articoli che dicevano che il caffè faceva male, che dovevamo consumare zenzero e curcuma e perché ero convinta di non avere mai tempo per bere un caffè.

Il 24 agosto arriva la prima scossa terremoto, l’emergenza, qualcosa irrompe nella quotidianità e con altri volontari partiamo per portare soccorso alle popolazioni colpite in Italia centrale.

Nelle mense degli sfollati c’è sempre il caffè, spesso è solubile e un po’ annacquato ma non manca mai.

L’odore del caffè al mattino ricorda casa, tua madre che si alza in fretta ma il tempo per il caffè lo trova sempre, tuo padre che forse beve il caffè solo per gustarsi la prima sigaretta e tua nonna che dice che se la sera non beve il caffè non riesce a dormire.

Il caffè ricorda le storie, unisce le persone, non è altro che una scusa per alzarsi e stare assieme, quante volte ci siamo incontrati in un bar davanti a un caffè, quante confessioni abbiamo fatto con l’aiuto di una tazzina calda e fumante?

Durante questi mesi ho incontrato la signora Maria che voleva a tutti i costi offrirmi un caffè, ho conosciuto Dino che si offendeva se non bevevo un caffè con lui, ma inizialmente resistevo e cercavo di non bere caffè.

Un pomeriggio di dicembre, faceva freddo e nevicava, ero con gli altri volontari fuori da un bar pronti a tornare alle nostre attività quando si avvicina a noi un signore magrebino con il suo borsone pieno di fazzoletti e calzini, ci aspettiamo che voglia venderci qualcosa, invece si avvicina e dice: “Ragazzi venite al bar, vi offro un caffè, la Protezione Civile si merita un caffè”.

Iniziai a capire che forse il caffè era qualcosa di più, non era solo una bevanda che al mattino serve a svegliarti o darti energia dopo pranzo, il caffè era il bisogno di comunità, il bisogno di stare assieme.

Mi dispiace che Bauman sia morto, chissà cosa ne avrebbe pensato… alla fine il caffè è liquido.

Era un buon motivo per ricominciare a bere caffè, e quindi sì, alla fine ho ricominciato a bere caffè, sotto il tendone con gli sfollati, a casa della signora Maria e del suo gatto che dopo il terremoto si è messo a dormire sotto la finestra, mentre ascolto le storie di Dino che con i suoi amici vogliono aiutare la biblioteca a recuperare i libri finiti sotto le macerie, e mentre guardo un venditore ambulante arrivato da chissà dove, chissà come, che mi offre un caffè.

In emergenza più che mai c’è bisogno di caffè, di stare assieme, di parlare e di ascoltarsi, di ritrovare la voglia di ricominciare.

Tornata a casa ora entro in bar tutte le mattine e prendo un caffè… magari d’orzo.”

Giada Stefani  – volontaria Ana Protezione civile

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