UUDINE – Trentotto locali hanno abbassato definitivamente la saracinesca in città. Tante le chiusure dei pubblici esercizi registrate, lo scorso anno, nel Comune di Udine. Il dato è pesante anche perché, a fronte di 38 cessazioni, sono state aperte solo 20 nuove attività. A scontare l’effetto della crisi è un settore troppo spesso caratterizzato da gestioni un po’ azzardate da parte di chi, magari dopo aver perso il posto di lavoro, si inventa un futuro indossando i panni dell’oste o del barista senza valutare però se nel quartiere ci sono altre insegne o se il servizio che offre è adeguato ai tempi che stiamo vivendo.
Udine: diversa la situazione sul fronte dei negozi
Che, nonostante il proliferare dei centri commerciali, riesce comunque a tenere botto, tant’è che alle 92 chiusure si contrappongono 141 nuove attività. In questo labirinto di aperture e di chiusure, Confcommercio e Confesercenti continuano a monitorare l’andamento anche perché, nel 2011, sul fronte dei pubblici esercizi non sono mancati 62 cambi di gestione.
L’analisi è tutt’altro che facile visto che, come evidenzia il responsabile cittadino dei pubblici esercizi di Confcommercio (Fipe), Franco Di Benedetto, «troppo spesso la gente è costretta a inventarsi un lavoro e tra quelli possibili il gestore di pubblici esercizi resta il più gettonato». E così quella che si profila come una necessità rischia di trasformarsi, sono sempre le parole di Di Benedetto, in «una guerra tra poveri».
Il settore, infatti, non è immune alla crisi economica che secondo le stime della Fipe, in città, rispetto allo scorso anno, «sta provocando un calo degli introiti pari al 20%»
Senza contare che «nei bilanci incide tantissimo l’erario e le tasse sui beni di consumo» fa notare Di Benedetto secondo il quale a pagare il prezzo più alto sono i locali in periferia. Un quadro che la Fipe attribuisce anche al venir meno del contingentamento delle concessioni comunali: «Questo – sostiene Di Benedetto – era l’unico modo per fare ordine». Adesso, continua sempre il rappresentante della Fipe, «uno apre accanto all’altro, c’è una concorrenza spietata sul prezzo e sul prodotto di fronte alla quale tanti gestori sono costretti a gettare la spugna».
Sulla stessa lunghezza d’onda il presidente di Confesercenti, Sergio Marini, secondo il quale «da quando hanno raddoppiato le licenze il comune di Udine è diventato un “bevodromo”»
Marini usa uno slogan per dire che sul fronte dei pubblici esercizi «c’è una contiguità troppo marcata». Anche la Confesercenti punta gli accenti contro «l’improvvisazione dei gestori costretti, alle volte, a chiudere prima di andare incontro a danni maggiori». A differenza della Confcommercio, però, Marini ritiene che il fenomeno delle chiusure sia più evidente all’interno della circonvallazione dei viali. Per quanto riguarda il commercio, invece, Marini invita a «non confondere il numero delle partite Iva con le attività aperte». Questo per dire che, soprattutto in centro, stanno nascendo negozi in franchising piuttosto che iniziative individuali focalizzate sulla qualità». Marini non nasconde la propria preoccupazione per una situazione che, a suo avviso, «è destinata a peggiorare. Lo scenario – conclude il presidente di Confesercenti – è molto avvilente anche perché manca un piano a lungo termine che dovrà per forza di cosa passare attraverso il progetto del centro commerciale naturale». Più ottimista il presidente del mandamento cittadino di Confcommercio, Giuseppe Pavan, convinto che il saldo in positivo tra chiusure e aperture dei negozi lascia ben sperare.
Soprattutto nelle zone di Udine a ridosso del centro come via Gemona e viale Volontari dove «in pochi mesi sono stati aperti quattro negozi». Pavan è convinto infatti che il futuro del commercio passa attraverso i negozi di quartiere, la maggior attenzione riservata a una clientela sempre più attenta su quello che acquista. Va detto, però, che nonostante il saldo resti sempre positivo, l’andamento delle aperture e delle chiusure dei negozi nell’ultimo anno è rallentato visto che nel 2010 in Comune agli 155 inizi di nuove attività si contrapponevano 80 cessioni. Fonte: Messaggero veneto.it