MILANO – Ucimac, l’associazione che riunisce tutti i costruttori di macchine per caffè professionali italiani. Ha presentato ieri il libro bianco sul settore realizzato dall’ufficio studi dell’Anima (la Federazione delle associazioni nazionali dell’industria meccanica di cui l’Ucimac è parte). Dedicato proprio al comparto industriale delle macchine per caffè espresso e attrezzature per bar.
Ucimac espone il suo manuale delle macchine per caffè
Un lavoro che era stato svelato in anteprima a Host 2015. Ora ha raggiunto la compiutezza di un libro di economia dedicato ad un solo settore, quello delle macchine per il caffè professionali.
Un grande studio a cui hanno collaborato docenti della Bocconi, dell’Università Cattolica di Milano e del Politecnico sempre del capoluogo lombardo. Hanno portato alla luce una grande eccellenza italiana. L’indagine, riunita in un libro bianco, mostra un comparto in piena espansione.
Da notare che l‘analisi è stata condotta su 39 aziende delle quali 23 produttrici.
La ricerca è stata illustrata dal presidente dell’Ucimac Maurizio Giuli. «Basandoci sul fatturato 2009 del settore a livello aggregato – ha precisato Giuli -, nel 2014 abbiamo raggiunto il 220 per cento, cioè più che raddoppiato i ricavi.»
«Le tecnologie utilizzate dal settore dimostrano il primato a livello mondiale di un comparto che pure è di nicchia» ha aggiunto Giuli.
L’industria delle macchine del caffè è in espansione
È seguito un lungo intervento del professor Jacopo Mattei analista finanziario e docente dell’Università Bocconi di Milano. Partendo dai burocratici “Codici ATECO”, categoria 28.93, ha vivisezionato il settore. Rileggendo l’enorme mole di dati raccolta dai ricercatori che hanno condotto il lavoro di reperimento dei dati analitici.
Un’esame avvincente dal quale è uscita un’immagine lusinghiera del settore delle macchine professionali per il caffè. Sia sul piano tecnico – siamo all’avanguardia nel mondo ed esportiamo quasi l’80 per cento – sia sul piano finanziario. Perché le industrie godono di ottima salute sul fronte dei conti, con pochissimi debiti nei confronti delle banche e crediti dai clienti. «Un settore – ha detto il professor Mattei -, che è formato da aziende solide nonostante la crisi».
Il 40 per cento dei costruttori è in Lombardia
Le aziende produttrici di macchine per il caffè italiane hanno la maggiore concentrazione nel centro-nord Italia. In Lombardia si tocca il 40% del totale. Il Veneto 30%, ben tre regioni – Friuli, Emilia Romagna e Toscana – valgono il 7% ciascuna mentre le Marche si fermano al 3%.
A parte il più che raddoppiato fatturato dal 2009 al 2014, il settore registra nel suo complesso ricavi per 472 milioni, di cui le aziende associate a Ucimac rappresentano l’89%.
Durante la presentazione è stato anche chiarito che dai dati emerge accanto alla crescita della produzione anche quella dell’esportazione dei prodotti. Così che nel quinquennio 2010-2015. I dati raccolti dalla ricerca mostrano una marcata propensione all’export delle aziende del settore. Pari al 72% della produzione totale.
Molto sottolineata l’ottima liquidità delle imprese. Così come la crescente capacità di sostenere il debito .Questo grazie all’efficiente utilizzo della leva finanziaria per incrementare la redditività degli azionisti.
«L’estero chiede tecnologie sempre più sofisticate»
Ha concluso il presidente Giuli: «Le aziende stanno investendo. Lavorano alacremente per consolidare la loro leadership. L’alta tecnologia viene sempre più spesso richiesta dai mercati esteri. Soprattutto in quei Paesi dove l’espresso non è un’abitudine ma un modo alternativo di consumare il caffè. Dov’è visto come un prodotto di lusso».
Aggiungendo, prima di salutare. «All’estero la clientela è più sofisticata. Si ricercano sempre aspetti qualitativi superiori rispetto ai caffè preparati secondo la tradizione o l’uso locali. Di qui la necessità dei costruttori italiani di fare crescere ancora il livello qualitativo delle loro macchine. Già oggi contribuiscono alle esportazioni del nostro sistema Italia. Rappresentando un’eccellenza su cui la politica industriale del nostro Paese deve puntare».