MILANO – Ucimac, l’Unione dei costruttori italiani macchine per caffè espresso ed attrezzature per bar, ha organizzato presso la Food-Technology Lounge Anima ad HostMilano, un incontro con gli addetti ai lavori e la stampa. Il presidente Ucimac Andrea Doglioni Majer e Michele Cannone, Lavazza global brand Director away from home, in prima fila con il microfono, hanno ricevuto i partecipanti per raccontare cos’è successo nel mondo delle macchine del caffè e delle torrefazioni a seguito della pandemia e così discutere insieme dei trend che si sono accelerati in conseguenza dei lockdown e dei cambi delle abitudini di consumo.
In Ucimac oggi ci sono 14 aziende associate, alle quali è data la possibilità di condividere informazioni su diversi livelli: analisi di mercato, statistiche di vendita, con alle spalle la confederazione Anima.
Le aziende associate ad Ucimac sono tutte produttori di macchine per caffè: l’ambizione futura è quella di far associare anche le aziende più spiccatamente produttrici di accessori importantissimi come i macinadosatori da banco. Insieme a quella di includere anche produttori di sistemi di infusione del caffè alternativi all’espresso.
Ucimac, l’analisi dei dati a breve termine
Majer: “Per noi fabbricanti di macchine di caffè la pandemia ha comportato una perdita nel 2020 del fatturato di circa il 23% e anche il turn-over è calato del 23%.
Per il 2021, alla luce della scarsità delle materie prime e le pressioni della supply chain, si prevede che sarà difficile recuperare il fatturato del 2019 già da quest’anno. Probabilmente ci si attesterà in un valore via di mezzo tra 2019 e 2020, sperando nel pieno ripristino nel 2022.”
Alcuni trend che si sono accelerati con il Covid
Continua il presidente Ucimac: “Sicuramente si parla di digitalizzazione e di sostenibilità. Le aziende investiranno sempre più su questi due temi. Si realizzerà una polarizzazione del mercato: o sui prodotti come le bevande di alto costo e alto contenuto, o bevande molto economiche. Questo discorso vale anche per le macchine: la fascia media degli strumenti per il caffè che fanno abbastanza bene il loro lavoro, ma non si collocano in una categoria di applicazioni, sta sparendo. Ci saranno quindi da una parte sempre più macchine belle e prodotti di qualità, e dall’altra macchine più economiche.
C’è poi il concetto visto nella pandemia del caffè espresso come lusso quotidiano: noi tutti prima del lockdown prendevamo il caffè sotto casa. In seguito alla pandemia, il trend che si è affermato è stato quello dei consumatori che volevano prepararsi gli stessi caffè di qualità che bevevano nelle caffetterie, ma a casa propria.
Da qui è nata la tendenza dei produttori verso le macchine da casa, particolarmente prestanti e in grado di mettere a disposizione del consumatore un prodotto che equivale a quello che si trova nei migliori bar. Tutti i fabbricanti hanno proposto macchine per l’uso domestico bellissime, di alta fascia per quanto riguarda il prezzo, capaci di erogare bevande eccezionali.
Concludendo: la digitalizzazione può avere due scopi. Uno è sicuramente la riduzione dei costi, e l’altro soprattutto interessante per questa industria, è la distribuzione di ricette per la preparazione di bevanda a base caffè in modo controllato e controllabile da chi fornisce il prodotto. Idealmente l’azienda può vendere a casa una certa miscela e un domani si potrà far sì che lo stesso blend venga estratto e restituisca gli aromi in maniera sempre costante grazie alla digitalizzazione e alla connettività della macchina.
A lungo termine invece, si può assistere a un cambio delle modalità di lavoro: la pandemia ha comportato che ad esempio come si è visto a Milano, il ridimensionamento degli uffici. Quindi l’Ocs (Office coffee service) viene sostituito dall’home service, per via dello smartworking. Ciò porta a nuovi modelli di business: abbinata con la digitalizzazione si può pensare che un utente paghi la macchina del caffè secondo l’uso che ne fa, abbinata alla tazza e al bicchiere dedicati.
Riparleremo di una ripresa dei consumi fuori casa ai livelli di prima, anche quando, come noi pensiamo, si tornerà a viaggiare verso la metà del 2022, nell’ottica che si tolgano le restrizioni nei viaggi verso Paesi attualmente chiusi come, per esempio, la Cina e l’Australia. Fino ad allora, la previsione è che il consumo che arriva dal turismo resterà sempre il più basso della storia.”
Michele Cannone: come un grande torrefattore vede il futuro
Intervenuto come relatore all’evento Ucimac Michele Cannone ha cominciato così: “Non sappiamo esattamente quale sarà la fine di questo gioco che osserviamo in tutto il mondo. Ci sono aspetti positivi: il caffè in realtà non sta soffrendo. Quest’anno l’industria chiuderà solo con un leggero decremento (nell’ordine di un milione/ due milioni di sacchi). Di fronte a un mercato del fuori casa che ha perso un 25-30%, queste sono buone notizie. Siamo quindi nel mercato giusto.
I trend che si riconfermano: i due segmenti che crescono maggiormente per ragioni diversi e comuni, sono le capsule e i grani. Per quanto riguarda il primo, ci si divide in due: le aree più mature che sono partite prima, rappresentano le geografie dove il segmento cresce ma inizia a dare segnali di deflazione. Il ritmo di crescita è inferiore e il prezzo è in decremento.
La pandemia chiaramente in parte ha drogato questi numeri: la gente ha consumato per forza il caffè in casa. Quindi il decremento naturale è stato interrotto da un “revump” di questo canale che sembrava esser arrivato a una fase di assestamento. Oggi è difficile capire che cosa rimarrà a casa e cosa tornerà fuori. Siamo ancora in una fase di transizione.
Quello che poi stiamo vedendo è un ritorno ai grani dentro casa: è un segmento dinamico che però vale dall’8% al10% del mercato a valore. Con un istantaneo che nell’Est rappresenta ancora la gran parte del mercato.
L’incognita è sempre sul post-Covid.
Quello che abbiamo visto tutti è che chiunque vuole rientrare nella normalità. Si sta tornando lentamente a consumare fuori casa. Le variabili che incidono sono diverse: l’allentamento delle misure, l’inevitabile crescita strutturale dello smartworking (dal 6 al 10% ci si aspetta nel 2025).
Cosa succede dentro casa: una forte crescita dei modelli domestici. E’ un tema che rimarrà, ma bisognerà capire quanto resterà sostenuto di fronte a una maggiore possibilità di fruire il caffè fuori casa.
I prossimi due anni saranno ancora complessi da decodificare e quindi pianificare puntualmente gli investimenti è difficile
Poi si deve considerare la congiuntura in sé dell’esplosione del prezzo del caffè, il costo della materia prima, che impatterà sulla ripresa dei consumi – continua Cannone alla conferenza Ucimac – Parliamo poi della polarizzazione: c’è, ma c’era anche prima.
L’Italia resta un Paese un po’ strano se pensiamo al caffè: c’è ancora bisogno di fare cultura su un rito che diamo per scontato ogni giorno. Con un limitato livello di consapevolezza rispetto alla bevanda. Ci vogliono anni per far penetrare realmente nella cultura quotidiana di tutti.
Il mio punto di vista sulle sfide del futuro del fuori casa? Nelle mura domestiche ci sarà un fenomeno di ribilanciamento ed è inevitabile che accada. È vero però che, se si viaggia di meno, si lavora da casa, le occasioni di consumo si ridurranno. Questo pone problemi innanzitutto per la sostenibilità economica del punto vendita.
E a questo si aggiunga un altro fenomeno: gli italiani nel fuori casa, bevono sempre meno caffè. Con Lavazza abbiamo analizzato sulla profilazione del consumatore medio nel fuori casa ed è stato evidenziato che negli ultimi dieci anni c’è stata una regressione degli ordini di caffè al bar. Una delle ragioni è che ci sono meno giovani e l’altra è data dall’influenza del modello dei consumi dentro casa. Dove le capsule hanno una qualità media del caffè erogato migliore di tanti espressi bevuti al bar.
Per questo ci sarà probabilmente di più la tendenza a trasformare le location in destination: il caffè si va a prenderlo in quel determinato posto, perché si sa che è buono. Si dovrà per cui riformulare l’offerta dei punti vendita. Dall’altra parte ci sarà un’accessibilità di prodotti a prezzo più basso, di esperienze più alla portata di tutti. Sarà un mercato più di valore che di volume.
Quanto tempo ci si impiegherà? Secondo me anni. Siamo in un mercato ancora non così in tensione. La filiera italiana è ancora solida. E il caffè ancora una volta si conferma un ever green. Questa pianta non perde mai le foglie. Ci sono sì state delle chiusure ma bisogna sempre ricordare che ogni anno c’era già un turnover dei punti vendita che normalmente si attestava attorno al 15% prima del Covid.
Che succederà quindi a casa: dal nostro punto di vista la gente cercherà un’esperienzialità diversa e migliore di quella attuale. Quello che però è il fenomeno che ora vediamo nei paesi anglosassoni, difficilmente lo vedremo anche in Italia, rispetto all’acquisto delle macchine di uso domestico super costose. Ma in quella zona è forte il concetto di coffee shop, cosa che manca nel nostro Paese.
Dall’altra parte il fuori casa è un problema più grosso: in un mondo in cui i volumi sono minori, la macchina non serve più. O si ritrovano dei meccanismi di valore e si aumenta in maniera proporzionale il costo del caffè, o sarà complicato. Nel mercato c’è il ritorno a una sana pragmaticità: tutti i coffee shop duri e puri della prima era, stanno diventando dei bistrot, con eccellenti caffè, certo, ma tutta l’esperienzialità della bevanda come protagonista, non c’è più.
Di contro in Italia sono ancora tanti i gestori che non sanno usare il macinino. Su questo si dovrebbe concentrare la vera innovazione: anche chi deve far tornare i conti con delle operation più efficienti, possano contare sugli strumenti tecnologici adatti. E lascino le opere d’arte a quei pochi che riescono ad utilizzarle a fondo. ”
All’evento Ucimac, è intervenuto a commento anche Maurizio Giuli, Simonelli Group:
“In questa fase siamo tutti confusi. Vediamo fenomeni e non riusciamo a differenziare tra quello strutturale e quello contingente. L’analisi fatta da Majer e Cannone rispecchia tutti nel settore.
Guardando lo scenario proiettato, andiamo verso un calo dei consumi non legato a un aspetto di minor interesse della domanda, ma delle modalità di fruizione. c’è un consumatore più esperto, che ha iniziato a concepire il caffè in evoluzione verso un livello di qualità più alto. Le sofisticherie tecnologiche o “narcisismi da tazzina” (così le ha definite Michele Cannone durante il dibattito) sono scomparse oggi. Vedo molto più concretezza ora. La macchina a un gruppo torna dopo il periodo del Covid. Stiamo in piena bolla del fenomeno della macchina da uso domestico: bisogna capire quale sarà il livello una volta finita l’onda.
Sul discorso Italia, Cannone ha detto: noi italiani lo viviamo come un rito. In realtà lo viviamo più come abitudine e dobbiamo portarlo a diventare un rito. Oggi è ancora qualcosa un luogo comune, un gesto fatto senza attenzione che ora si sta spostando verso qualcosa di più sofisticato. E’ un percorso lungo.
Da un punto di vista di consumi il fuori casa avrà una sua ricontestualizzazione, perché stanno cambiando i protagonisti di questo scenario, in cui il piccolo indipendente era stato al centro e ora deve confrontarsi ulteriormente con dei contesti critici. Sempre più grandi aziende stanno quasi monopolizzando questo mercato, con logiche diverse: come produttori, dobbiamo trovare soluzioni a questo nuovo contesto. Quindi l’input qual è? Creare macchine più economiche?.”
Michele Cannone risponde: “Ben venga il mondo dello specialty coffee, perché più si alza la cultura più si migliora insieme. Si deve capire innanzitutto però cos’è lo specialty coffee e chi è il pubblico.
Rispetto alle macchine, il mio punto di vista è questo: ne faccio un tema di osservazione. Se c’è un mercato che si sta riducendo, da qualche parte qualcuno dovrà pagare questo processo. Il primo scenario è dato dall’aumento del prezzo del caffè (non si sa se questo verrà accompagnato dalla crescita di valore dell’offerta). L’altro è il tipo di macchina e tecnologia prodotta: negli ultimi dieci anni si è andati verso un concetto di open technology, mettendo in condizioni di agire liberamente il barista più o meno bravo. Non entro nel merito del giusto e sbagliato, ma i risultati li abbiamo visti come consumatori: sono andato da diversi coffee shop di specialty e non mi è mai capitato che mi chiedessero come volessi il caffè.
Questo mondo ha portato alla sofisticazione dei modelli e dell’aumento del prezzo, che non so quanto abbia portato a una crescita economica. Le macchine non dovrebbero costare di meno, ma dovrebbero permettere a chi oggi fa male il caffè, di erogare qualcosa di decente.
Oggi credo che 6 baristi su 10 non siano in grado di pulire i macinini. L’80% dei macinini oggi in Italia, richiedono una pulizia di almeno mezzora, se uno è bravo. Un’operazione che spesso avviene a fine servizio, svolta da chi fa questo lavoro sottopagato, in maniera obbligata e non per vocazione: per questo, la qualità deve esser supportata dalla tecnologia. Si potrebbe pensare di portare avanti una tecnologia che ha già 50 anni. ”
Creare un claim di come sarà la macchina del futuro quindi? Chiede e risponde il presidente Ucimac Majer: sicuramente una macchina più facile, con meno variabili, o sotto controllo ma nascoste
Michele Cannone: “Questa è una traiettoria interessante.”
E Maurizio Giuli aggiunge, concludendo l’incontro Ucimac: “E che è già in campo. Per quanto riguarda di nuovo la polarizzazione, certo esiste, ma nell’ambito del caffè vedo paradossalmente una democratizzazione. Prima esistevano i due poli non comunicanti tra specialty e main stream. In prospettiva li vedo più vicini. Verosimilmente questi due mondi si avvicineranno sempre più e questo sarà una bella evoluzione sia dal punto di vista delle macchine che per la qualità finale.”
Ucimac è l’associazione Costruttori macchine per caffè espresso e attrezzature per bar aderente ad Assofoodtec, federata ad Anima Confindustria.
Anima Confindustria è l’organizzazione industriale di categoria che, all’interno di Confindustria, rappresenta le aziende della meccanica varia e affine, un settore che occupa 223.960 addetti per un fatturato di 52,02 miliardi di euro e una quota export/fatturato del 57,1% (previsioni 2021 Ufficio Studi Anima). I macrosettori rappresentati da Anima sono: edilizia e infrastrutture; movimentazione e logistica; produzione alimentare; produzione di energia; produzione industriale; sicurezza e ambiente.