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giovedì 21 Novembre 2024
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TuttoFood, convegno Iri sulla ripresa del retail

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Cavalcare l’onda della ripresa. Si, ma come? È stato questo il tema dell’incontro organizzato da Iri nell’ultima giornata di Tuttofood (nella FOTO in alto da sinistra, Gilberto Cappellin, Ceo Emmi Holding Italia; 
Mario Gasbarrino, Amministratore Delegato Unes; Ivo Ferrario, giornalista; 
Roberto Gheritti, direttore commerciale Italia Alimentari; 
Giorgio Santambrogio, amministratore delegato Gruppo VéGé)

E in effetti di fronte alla crescita delle vendite in valore del 3,7% e in volume del 3,2% a marzo, il retail alimentare italiana non può pensare di essere uscito dalle secche, anche se una boccata d’ossigeno è innegabile, dopo quattro anni di apnea, durante i quali ne sono successe di ogni, con cessioni, uscite dal mercato, nuove alleanze, fino ad arrivare all’unione delle tre Coop emiliane.

La realtà è che questi quattro anni consegnano a Idm e Gdo un’eredità che è fatta di non certezze e di una buona dose di confusione.

Lo dimostra il fatto che il brand, la grande marca non è più intoccabile: dal 2011 le top 25 aziende alimentari che valgono più di un terzo delle vendite hanno perso circa 800 milioni, quanto cioè hanno guadagnato le Pmi, le quali, però, non solo hanno registrato aumenti delle promozioni, ma non hanno intaccato le vendite regolari (Iri).

E i casi di eccellenza nelle Pmi non sono forse il risultato del grande lavoro fatto insieme alla distribuzione, che nello stesso quadriennio ha aumentato le vendite dei prodotti Mdd di oltre 500 milioni?

Ma anche qui qualcosa sta cominciando a incrinarsi, anche se la realtà non è univoca e le medie danno sempre un quadro non veritiero della realtà. Ancora confusione, quindi.

Perché confusione? Perché nonostante se ne parli da sempre, le promozioni continuano ad aumentare e nonostante si parli da tempo di razionalizzazione degli assortimenti, Iri certifica che questi sono cresciuti, che l’industria sta rispondendo alla crisi con nuovi lanci (e Tuttofood ne è stato un esempio concreto).

Perché? Perché di fronte a categorie che crescono e che vanno meglio di altre si verifica un repentino affollamento, con il rischio – abbastanza probabile – che tra non molto avremo per esempio una mezza dozzina di yogurt greci sugli scaffali che faranno fatica a mantenere tassi di crescita come quelli registrati nell’ultimo quadriennio (+264% a valore) o nell’ultimo anno (+79%).

Ma di quanto potrà crescere l’attuale valore di 97 milioni di euro? Come spiegare questo ipertrofismo assortimentale?

Per l’amministratore delegato di Unes Mario Gasbarrino, la risposta è nel fatto che volendo intercettare quelle aree di nuovi consumi che sono i più dinamici, dal senza glutine al vegano, al salutistico, all’etnico, ai food lovers, si inseriscono prodotti nuovi senza però volere-potere abbandonare il core business.

«Però – segnala Gasbarrino – la numerosità delle referenze in sé non dice niente, non dà ragione delle cose, perché dietro questo movimento bisogna leggere il tentativo dei distributori di scegliere come vogliono collocarsi sulla scacchiera. Tutto ciò avviene lentamente, perché non si ha il coraggio di prendere una strada e quindi si aumentano le referenze per intercettare un certo tipo di domanda, senza voler perdere il resto. Ma non potrà durare all’infinito».

In questo contesto va anche letto il fato che se vi sono categorie che crescono e insegne che vanno bene è perché sono state fatte scelte precise.

Eppure, di fronte allo stato delle cose, qualcuno torna a percorrere la strada del prodotto a marchio del distributore di fantasia, «non troppo impegnativo», come ha riferito Roberto Gheritti, direttore commerciale di Italia Alimentari.

Scelta meditata o ulteriore conferma di questa mancanza di coraggio a volere “decidere che cosa voler fare da grandi”?

E ancora (sempre Gasbarrino) sono pronti i 9000 supermercati italiani a contrastare gli attacchi portati non solo dagli specializzati (cura persona e cura casa, petfood e i vari non food) ma anche da quella nuova generazione di category killer che sono i negozi di prodotti biologici, i diversi formati distributivi di prossimità che stano nascendo un po’ dovunque, fino ai monomarca tipo Nespresso?

«Non dimentichiamo che il 30% dei supermercati ha una redditività inferiore ai 3.000 euro al metro quadrato e che in Italia abbiamo più di 2000 supermercati che sarebbero da chiudere. La verità è che stiamo vivendo una crisi di formati distributivi. Per questo la diversità è un grande vantaggio».

E il vantaggio è nel consumatore che cerca qualcosa di diverso, che non si accontenta più di avere lo stesso tipo di proposta commerciale.

Un concetto fatto proprio da Gheritti quando esorta da un lato a guardare con attenzione ai trend di consumo ma anche a ricordare che la ancora eccessiva frammentazione distributiva frena i processi di innovazione, e differenziazione primo tra tutti quello dei prodotti a Mdd.

Del resto però Giorgio Santambrogio, amministratore delegato di Gruppo VéGé sottolinea che in generale non ha senso avere come obiettivo un numero smisurato di prodotti Mdd.

«Il ruolo del punto vendita è fare Ebit e non lo fa certo ampliando indefinitamente la marca del distributore. Lo deve però fare in quelle categorie dove è strumentale all’aumento della redditività. Per le altre l’industria assolve egregiamente al compito. Piuttosto, si guardi al consumatore, o meglio ai milioni di consumatori diversi: oggi la tecnologia ce lo consente e dobbiamo incamminarci lungo quella strada», ha detto Santambrogio.

Secondo il quale sulla base di questo ragionamento occorrerebbe abolire il listing fee così come è sempre stato, ma cominciare a pensare di correlarlo alle performance a scaffale del prodotto su una base variabile.

«Purché sia in percentuale», ha risposto Gilberto Cappellin, Ceo Emmi Holding Italia. «E che lasci prevalere il buonsenso, perché interesse comune è inserire un prodotto che si venda», gli fa eco Gheritti.

Una provocazione o il cambiamento delle relazioni tra industria e distribuzione passerà anche da qui?

Vero è che probabilmente il vero fattore di cambiamento sarà abbandonare i riti e le modalità di confronto del passato e rifocalizzarsi sul consumatore (sull’individuo, meglio ancora, come dice Santambrogio) e fare le cose utili per lui: «Fargli risparmiare tempo, denaro o risorse per l’ambiente», spiega Gasbarrino.

Intanto però dietro l’onda da cavalcare si profilano ancora dei marosi, che hanno il nome dei dieci miliardi di euro da recuperare per le pensioni e, soprattutto, la spada di Damocle dell’aumento dell’iva. In altre parole minore potere d’acquisto e minori risorse nelle tasche degli italiani.

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