MILANO – Andrea Giorgiutti, direttore del Servizio valorizzazione qualità delle produzioni – Direzione centrale risorse agroalimentari, forestali e ittiche Regione Fvg: “La bioeconomia in Friuli Venezia Giulia: un meta-settore in evoluzione” ha fatto luce su un tema particolarmente attuale per la filiera attenta alle prossime strategie di economia circolare.
Introduce così l’argomento: “La bioeconomia è quella branca dell’economia che trae origine da tutti i prodotti biologici: il grosso proviene dall’agroalimentare (il 60%) e poi dalla filiera forestale, del legno, dai materiali ricavati da prodotti biologici rinnovabili; dai biocarburanti, biofuel e biogas. Che non è un problema originato dalla guerra con l’Ucraina, anche se l’invasione l’ha amplificato notevolmente.
Ecco la definizione più tecnica della commissione Europea: la bioeconomia è sostenibile e circolare.
Bio economia, quali sono i suoi obiettivi? Cinque quelli europei:
– garantire la sicurezza alimentare e nutrizionale
– gestire le risorse in modo sostenibile
– ridurre la dipendenza dalle risorse non rinnovabili e sostenibili, puntando a ridurre ciò che è di origine fossile a favore della rinnovabile
– mitigare i cambiamenti climatici e adattarsi ad essi
– rafforzare la competitività europea e creare posti di lavoro
Questo si riallaccia a uno degli obiettivi dell’Italia che è quello di aumentare per il 2030 del 15% il fatturato e l’occupazione in ambito dell’economia circolare. La bioeconomia si interfaccia con questi settori.
Un po’ di numeri
Il fatturato in Europa della bioeconomia è di 2300 miliardi, in Italia per il 2020 è di 327 miliardi di euro. L’occupazione vede poco meno di due milioni. Il valore della produzione per la bioeconomia, fa da padrone l’alimentare e anche in termini di occupazione che è il settore primario.
Il valore aggiunto al Friuli Venezia Giulia sul 2022: è il 6-4% su base regionale e come occupazione 39mila posti di lavoro, presi dal report di Intesa San Paolo. Il gruppo bancario che si interessa da 7 anni dedica una divisione per lo sviluppo di questo report annuale con focus sulla bioeconomia in Italia, analizzando tutti i numeri, la crescita, gli occupati, le potenziali di espansione.
La bioeconomia abbraccia tanti campi: il settore primario è quello alimentare (60%), tra cui la filiera del caffè, ma rientra sotto questa categoria anche il tessile e l’abbigliamento biobased. Ci sono casi di tessuti originati anche dallo scarto di caffè. C’è anche la farmaceutica bio-based, settore molto grande e poi i biocarburanti e l’energia, oggi sotto gli occhi di tutti.
Non è un mistero, per quanto riguarda tessuti e materiali, che anche gli interni delle nostre automobili e le scocche sono di origine bio-biased. Rifiuti della soia, della canapa, del granoturco e del caffè, dei fondi, degli scarti di torrefazione come la silver skin.
L’Unione Europea ha un piano strategico. La prima è stata messa in atto nel 2012. L’Italia è il primo paese in Europa per la bioeconomia e l’economia circolare. Dieci stati, tra cui noi, hanno sviluppato una propria strategia, 180 regioni ne hanno previste di rilevanti, e il Friuli Venezia Giulia nel 2020 ha adottato un primo documento di posizionamento sulla bioeconomia regionale, ora in fase di aggiornamento.
In sede nazionale c’è il coordinamento della bioeconomia insediato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e io con il collega qui della Lombardia, rappresentiamo le regioni in questo tavolo per la prima volta dall’anno scorso. Sono momenti di incontro e valutazione molto importanti.
Nella nostra Regione è stato creato un gruppo di coordinamento proprio perché la bioeconomia è trasversale
Ha origine dal settore primario e poi abbraccia l’industria, l’ambiente, il turismo. Dal primo gennaio di quest’anno è attiva anche una Fondazione partecipata dalla Regione, socio fondatore insieme alle 11 bande del territorio che ha preso il posto del precedente cluster dell’agroalimentare regionale e si chiama Fondazione Agrifood bioeconomy Friuli Venezia Giulia.
Ci sono molti progetti ora in fase di rodaggio e che contiamo di sviluppare come strumento attraverso la Fondazione, che siano efficaci.
Esistono anche le varie piattaforme europee, alle quali Friuli Venezia Giulia partecipa e poi i due cluster nazionali: C.L.A.N Cluster Agrifood Nazionale e Spring della chimica verde, originata anche dall’esperienza Novamont sui prodotti in cui la bioeconomia è nata e si sta amplificando.
Cosa c’entra il caffè?
E’ un prodotto del settore agroalimentare e gli scarti residuali e i fondi possono portare a molti vantaggi. C’è un campo vastissimo da studiare: esistono esperienze già compiute ma il grosso è ancora da fare. Se puntiamo all’aumento del fatturato e di posti di lavoro nel 2030 al 15%, il campo è davvero apertissimo.
Per chiudere, riprendo la definizione che ha dato il commissario europeo nel Congresso sulla bioeconomia a Bruxelles: è uno dei principali settori economici innovativi europei e nel momento di crisi che stiamo attraversando c’è bisogno di innovazione per trasformare l’economia lineare a base di combustibili fossili in una dinamica, circolare e sostenibile.”