TRIESTE – E’ vero che l’arancione è un colore meno severo del rosso, soprattutto quando si tratta di misure restrittive da parte del Governo, ma sono tanti gli esercenti che giocano d’anticipo e chiudono ugualmente. Il motivo? Spesso rimanere aperti non vale la pena (e i costi): una storia che abbiamo già raccontato durante il primo lockdown e che ora torna a farsi viva nella seconda ondata. Leggiamo cosa succede a Trieste, da ansa.it.
Trieste si ferma quasi come se fosse zona rossa
Il maltempo non aiuta l’avvio della settimana lavorativa a Trieste, la prima in zona ‘arancione’, con bar e ristoranti chiusi e servizio solo per asporto. A causa anche della pioggia sono poche, a differenza di ieri, le persone per strada che si fermano al bar a ordinare una consumazione da asporto.
“Oggi abbiamo venduto meno del 10% dei caffè, sarebbe stato meglio chiudere tutto”, ammette il titolare di un bar di piazza Sant’Antonio. “La merce verrà buttata, le bollette però bisogna pagarle e lo Stato non aiuta”.
“A quest’ora in qualsiasi altro giorno ci sarebbe stato il pienone – spiegano da un bar-panetteria di viale Venti Settembre – abbiamo fatto qualche caffè da asporto, ma pochissimi. speriamo che questo momento passi in fretta”.
Non si arrendono al momento i ristoranti
“Stiamo provando a tenere aperto ma sappiamo già che chiuderemo – spiega una delle titolari di una pizzeria di piazza Sant’Antonio, Anna Procentese – abbiamo deciso di restare aperti il lunedì, giorno in cui solitamente siamo chiusi, e stiamo contattando gli alberghi per offrire il nostro servizio da asporto. Stiamo andando avanti di prova in prova, ma le prove costano. Lavoriamo con due dipendenti, gli altri sono in cig”.
Meglio va ai locali che servono uffici e banche. “Continuiamo a offrire il servizio per asporto – spiega Roberto Pirina, responsabile di un bar-pasticceria – ma difficilmente riusciremo a vendere i pranzi e qualche prodotto questa sera avanzerà. Noi teniamo duro, non abbiamo alternativa. I negozi aperti e il via vai delle persone aiuteranno”.