MILANO – “Oggi facciamo la storia del caffè, il caffè italiano va in Borsa”, ha dichiarato Massimo Zanetti, presidente e amministratore delegato dell’omonimo gruppo. “Spero di essere un apripista, tutta la mia vita l’ho giocata per arrivare a questa giornata”, ha spiegato con orgoglio Zanetti, esponente della terza generazione di una famiglia di commercianti di caffè.
“La Borsa non è un punto di arrivo, anzi oggi è il primo giorno – ha sottolineato il patron del gruppo – diventeremo ancora più globali”. “Vogliamo crescere – ha aggiunto – e per questo c’è anche la possibilità di effettuare acquisizioni”. L’imprenditore veneto ha sottolineato che si tratterà di operazioni “mirate da realizzare nei paesi dove già lavoriamo, ma dove non abbiamo piena soddisfazione e vogliamo aumentare la nostra penetrazione”.
Zanetti ha rivelato che il gruppo sta già pensando a due acquisizioni di torrefazioni importanti nei propri rispettivi paesi. “Penso che finanzieremo tali operazioni con il nostro cash flow – ha detto Zanetti – comunque se si presentassero occasioni di di maggiori dimensioni, sono disposto a scendere nel capitale rispetto alla quota che deterrò”.
Solo una minima parte dei proventi della quotazione servirà a sostenere la crescita: “in via prioritaria” la quota in aumento di capitale sarà destinata ad abbattere il debito nei confronti di Banca Intesa Sanpaolo (Banca Imi tra l’altro è coordinatore dell’offerta), mentre la quota restante verrà venduta dalla famiglia Zanetti.
L’imprenditore ha escluso l’acquisizione del brand francese Carte Noire, di cui l’antitrust europeo ha imposto la vendita a seguito dell’aggregazione tra i gruppi Master Blender e Mondelez.
“Non ci interessa Carte Noire come gli altri marchi che dovranno essere ceduti” spiega Zanetti, che invece prevede un recupero della proprio quota negli Stati Uniti “perché stiamo rilanciando le capsule”.
Su una eventuale fusione con altre società italiane, tra le quali anche Lavazza, Zanetti ha detto: “Ci avevamo pensato in passato con Lavazza. Il problema – ha sottolineato – è che nelle fusioni due più due non fa quattro, ma tre. Con il mondo della distribuzione, infatti, si riduce il potere contrattuale se abbiamo tanti marchi”.