MILANO – Parlando con Emiliano David, responsabile di uno dei 5 punti Trecaffè Roma, appare subito chiaro come la via per la caffetteria di qualità è possibile senza fare troppi estremismi. Gli ingredienti per una ricetta che funziona: specialty sì, ma con criterio, studio del mercato di riferimento e adattamento alle diverse location.
Ma cominciamo proprio dal nome: perché Trecaffè?
“Perché mediamente sono i caffè che si bevono in un giorno. E’ stata una decisione voluta dai soci fondatori che è rimasta poi nel tempo nell’espansione negli altri locali, il Trecaffè in Via dei due Macelli, quello in Roma Centro, il Vaticano in via Leone e poi il piccolo bistrot a due passi da Piazza Spagna, il Piazza Augusto imperatore e il Portuense vicino all’ospedale Spallanzani.
Soltanto il primo locale ha chiuso. Per il resto, possiamo considerarci una catena di specialty data la nostra crescita avvenuta attraverso un’accelerazione di acquisizioni a cavallo e subito dopo il Covid. Questo a dimostrazione del fatto che la proprietà ha sempre creduto nella potenzialità di questo progetto al punto che alla conclusione della pandemia ha continuato a cogliere le opportunità per nuove aperture.
Uno dei nostri obiettivi resta quello di servire un’ottima miscela e degli ottimi specialty, rendendoli accessibili un po’ a tutti. A Roma non siamo i primi e forse non siamo neppure i migliori, anche perché c’è molto integralismo sullo specialty e i blend 100% Arabica: noi piuttosto vogliamo accompagnare alla caffetteria per tutti offrendo un prodotto di buon livello che sia fruibile per il consumatore medio. Per fare questo, abbiamo costruito un ambiente rilassato, attraente.
Nel punto vendita che gestisco, di fronte alla Rinascente, riceviamo una clientela in maggioranza giovanile. Teniamo molto al rapporto che si crea con loro: cerchiamo di coccolare il più possibile chi entra anche velocemente e più volte al giorno.
Senza troppo spingerci nel purismo: la caffetteria con l’avvento degli specialty, per quanto sia stato un cambio positivo, risulta spesso troppo estrema. Invece, pretendere di cambiare le abitudini radicate da tanti anni in maniera repentina può essere controproducente, così come proporre soltanto specialty. Da Trecaffè indirizziamo pian piano verso le monorigini e specialty.”
Com’è la vostra offerta di caffè quindi?
“Innanzitutto abbiamo scelto di non servire gli specialty in tutte le nostre location: in alcune caffetterie abbiamo una miscela 75% Arabica e 25% e Robusta e una miscela 100% Arabica del Centenario Marziali Caffè 1922 (Brasile, Etiopia, Perù, India e Nicaragua), con anche un decaffeinato. Siamo legati umanamente alla storica torrefazione romana Marziali, che ci tosta entrambi i blend.
Queste opzioni ci permettono di avvicinare sia il cliente internazionale, già abituato a soluzioni soltanto composte da Arabica, sia quello italiano che invece è più abituato alla Robusta. Abbiamo voluto offrire una tazzina corposa e una più fruttata, con sentori più europei e in questo modo siamo riusciti a soddisfare tutti.
Con gli italiani ovviamente stiamo portando avanti un percorso di educazione e conoscenza attorno alla bevanda: ancora mediamente ci si aspetta la cremosità della Robusta e noi gradualmente vogliamo abituare innanzitutto i palati all’altra miscela di sola Arabica e poi alla monorigine specialty.
Quest’ultima l’abbiamo posizionata solo in alcuni dei nostri locali, cioè nei Trecaffè dotati di uno spazio più ampio e frequentati maggiormente dai turisti, che per questo offrono la possibilità di gustare seduti lo specialty. Nel bistrot di Via dei due Macelli e in Via Leone 4 bar, si può acquistare anche per uso domestico in grani o appena macinato.
Qui abbiamo costruito un’esperienza gastronomica diversa: oltre al coffee shop è un bistrot, con un menù che prende spunto dal caffè e dalla cucina del territorio romano, con rivisitazioni di piatti classici in chiave moderna.
In via Leone 4 è capitato anche di organizzare delle degustazioni con dei piatti basati sul caffè: sono state prove interessanti, come ad esempio una Gricia con polveri di caffè e degli arrosti, che hanno riscosso un buon successo.
Da noi le miscele restano quelle che spingono di più, insieme al decaffeinato sempre 75-25. L’espresso con la miscela con la percentuale di Robusta, al banco lo vendiamo a un euro e venti, mentre il blend soltanto Arabica ad un euro e 50.
Gli specialty partono invece dai due/due-50 e arrivano fino ai tre. È un prezzo che non ci ha portato lamentele: è una cifra media a cui ci siamo già abituati a Roma. C’è persino qualcuno che chiede il double, ma sono tendenzialmente gli stranieri ad ordinarlo sul 100% arabica.
Abbiamo inserito un protocollo di caffetteria per spiegare alcune scelte al consumatore medio: per quanto riguarda l’espresso lungo ad esempio, serviamo un espresso a 25 secondi con un bricchetto di acqua calda a parte, per cercare di comunicare questa ricetta non si ottiene con l’allungamento dell’acqua in estrazione per 40 secondi (che la renderebbe amaro e più carico di caffeina).
È un concetto però molto complicato da far capire al cliente italiano, che vuole il caffè lungo erogato direttamente dalla macchina. Va da sé che vendere specialty con una preparazione così scarsa di base, è quasi impossibile. Ci vuole pazienza e tempo, modulando il servizio.”
Che macchine utilizzate da Trecaffè?
“Abbiamo scelto in tre locali su 5, macchine della stessa marca e modello, anche seguendo il fattore estetico. Abbiamo quindi tre Faema Teorema WOOD VA, con gruppo alto e il cassettino che permette di vendere caffè medi e large, nel bistrot Cento una E71e di nuova generazione più scenografica ed infine una Faema President a 4 gruppi, nel Trecaffè di Via Leone IV.
E’ un’attrezzatura che si adatta maggiormente all’arredamento ed è più performante rispetto allo specialty: sui tre gruppi, uno sicuramente è tarato per una tipologia di caffè con temperature apposite.
I macinadosatori usati in tutti i cinque locali sono Mazzer. Per i macinacaffè abbiamo sia i volumetrici che quelli automatici. Per le miscele 80-20 preferiamo usare i primi e per gli specialty i secondi. Dove ci sono volumi molto elevati per le miscele, il volumetrico con
macine coniche non scalda il macinato. Mentre per 100% Arabica e gli specialty che hanno un consumo minore, conviene l’on demand, in modo da servire un prodotto sempre freschissimo.”
Quanti siete e avete problemi con il personale?
“Siamo tanti, dovendo contare tutti i locali. Certo resta un’impresa trovare professionalità e delle persone che vengano a lavorare per passione, perché il contratto collettivo prevede uno stipendio molto basso.
Parliamo poi di un mestiere durissimo sia mentalmente che fisicamente: avere contatto con il pubblico per tutte quelle ore, con un flusso costante e rapido, è sfiancante. Duecento, quattrocento contatti giornalieri in sei ore, possono spaventare. Questa è una professione che ha bisogno di passione per il prodotto e per il servizio quotidiano.
In passato, anche se ora meno, anche da parte di alcuni esercenti non ci sono stati comportamenti limpidi e di supporto nei confronti dei dipendenti e questo ha creato un precedente che coinvolge anche chi propone invece condizioni virtuose. Viceversa ci sono dei collaboratori che pensano che lavorare in nero convenga.
Tutto questo è un retaggio passato, che è obsoleto e non più applicabile da entrambe le parti. Bisogna puntare ad essere corretti per non far collassare il sistema.
Deve partire però tutto dallo Stato che deve mettere nelle condizioni ideali le aziende per essere virtuose e a loro volta queste dovranno essere corrette con i dipendenti.”
A Roma lo specialty non è più una nicchia?
“Da quello che vedo nella nostra realtà, cioè un gruppo di 5 locali su Roma che comunque è già notevole in un contesto molto frazionato, lo specialty mi sembra ancora una nicchia.
Se dopo così tanti anni è ancora una cerchia ristretta, vorrà dire qualcosa: si chiama specialty per un motivo. Non si può fare soltanto quello. Ho imparato questa lezione nel mio lungo percorso professionale.
Certo noi crediamo nello specialty, ma abbiamo studiato l’offerta modulandola a seconda dei nostri punti vendita. Non è il nostro core business e lo proponiamo dove la struttura lo concede. La passione comunque resta la nostra strada maestra, dai responsabili ai titolari sino a chi lavora in sala. Non abbiamo neppure voluto licenziare nessuno durante la pandemia e al contrario ci siamo ampliati come squadra, perché ci crediamo fortemente.”