MILANO – Alberto Trabatti, il torrefattore di Ferrara che da due giorni tiene banco con la sua battaglia alle capsule, non molla la presa e approfondisce la sua presa di posizione rispetto al consumo e alla produzione delle capsule. Il suo è un punto di vista d’eccezione, che non è un nostalgico ancorarsi ai metodi tradizionali per ignorare il progresso. Piuttosto una visione intelligente e obliqua di ciò che è ancora possibile fare nei confronti dell’ambiente e anche di una fruizione di qualità del caffè.
Ed è la posizione, nettissima, di un addetto ai lavori che ha una torrefazione e un locale a Ferrara da tre chicchi di caffè: il giudizio massimo, come le tre stelle Michelin per capirci. Che, come direbbe la guida rossa che pure il caffè di fine pasto lo ignora, è “Una delle migliori torrefazioni d’Italia, questa vale il viaggio. Vi si beve caffè sempre molto buono, a volte meraviglioso, indimenticabile”.
Un commento sul successo del suo intervento rispetto al furano nelle capsule
“Quando l’impostazione di un discorso nasce non solo dalla passione, ma è anche sostenuta da argomentazioni tecniche, i lettori aprono gli occhi. Spesso e volentieri le polemiche nascono anche sul niente. Ma in questo caso, ho esposto una soluzione ben precisa e chiara. Non rappresentata soltanto dalle macchine per espresso d’uso casalingo, che per altro io vendo ma non in maniera massiccia. E questo perché i torrefattori non possono esser competitive rispetto alle grandi catene come Mediaworld o market place Amazon.
Quando io pongo un problema e la soluzione è intelleggibile, allora l’utente apprezza. Soprattutto dato che spesso si invoca la praticità e la velocità delle capsule, io propongo una soluzione ancora più rapida. Nessuno forse ci aveva pensato, oppure non era nell’interesse di alcuna aziende proporre questa alternativa.
C’è un altro aspetto poi da considerare. A novembre ho partecipato alla trasmissione di Rai 3, Geo. Ho riscontrato da subito e poi in seguito alla replica, una serie di scambi e contatti tra social e web. Avvenuti con tante persone che mi hanno confermato che molti ancora non sanno preparare la moka. Risulta chiaro quindi che, di fronte a questa scarsa informazione condivisa, è necessario partire da zero nel diffondere un po’ di cultura rispetto agli strumenti della nostra tradizione. E’ davvero una questione di conoscenza, di un percorso formativo corretto.”
Mentre la napoletana?
“Diciamo che io valuto bene anche questo strumento. Tutto ciò che viene introdotto ora come trend, come il V60, in realtà risale ai primi del ‘900. Da un’invezione di Melitta Bentz in Germania. Quindi non si tratta di metodi davvero innovativi, ma piuttosto di tecniche diverse rispetto all’espresso. Per preparare un caffè con meno volume. Anch’io li utilizzo a volte. Ben vengano quindi tutte queste proposte che valorizzano la bevanda. A patto che il caffè sia di qualità.”
Cosa ne pensa dei commenti ricevuti?
“Il Caffè del Caravaggio è intervenuto, rivendicando la qualità dei loro prodotti. Io però, per quanto la tecnologia sia a servizio di chi vuole gustare un caffè pregiato senza competenze tecniche alle spalle, sono convinto che si tolga qualcosa così al caffè. Ciò che si cerca sempre di costruire, è un discorso sul miglioramento dello status quo del monoporzionato.
E questo mi fa solo pensare che questi moti di presa di coscienza, di protesta, derivino da un’insicurezza di fondo. Nel commercio ci si deve saper vendere, ovviamente. Ma questo sistema non è così apprezzato come spesso si crede. I miei clienti non amano le capsule e usano soltanto il macinato. ”
Il furano c’è ma il problema è l’inquinamento
“I problemi maggiori sono questi: l’inquinamento non solo come residuo del caffè (la capsula) e come incuria di chi utilizza questi sistemi, che getta nel contenitore sbagliato la capsula. Ma anche l’energia. La produzione infatti, necessita un dispendio energetico importante.
Sull’inquinamento mi ricordo dell’invasione delle capsule in Toscana, nel comune di Capannori. Che tenne un convegno sull’argomento del miliardo di capsule, tutte non riciclabili, usate solo nei dintorni. Nonostante adesso stiano comparendo le capsule compostabili, attualmente, quelle che non lo sono vanno ancora per la maggiore. I costi lo stesso, sono un problema: per sostenerli e mantenersi competitivi, vengono utilizzati materiali e tecnologie meno costosi. Con un grado di inquinamento maggiore.”
Il presupposto di Trabatti: disertare le capsule, non si può continuare ad ignorare il discorso della sostenibilità
“Anche per la cialda, che si può gettare nell’umido, il discorso è il medesimo. Infatti, non tutte sono davvero adatte a quel contenitore, a seconda della carta filtro e soprattutto della colla di cui sono composte. Tuttavia, molto spesso, l’involucro va nell’indefferenziato.
Io allora evito a monte la produzione, nonostante sia un po’ un’utopia, di questi due prodotti. Alla base dovrebbe esistere una cultura imprenditoriale nel formare i clienti a scegliere e preparare un prodotto come si deve. I consumatori non possono continuare a ingnorare la questione della sostenibilità, illuso dal fatto di bere un caffè di qualità.
Tra l’altro, alcune aziende si sono trovate in grande difficoltà proprio perché hanno esteso la linea di produzione dalle moka, alle macchine per cialde e capsule. Dando un colpo di grazia così alla produzione di caffettiere e al caffè macinato per esse. Sarebbe stato meglio non investire per mantenere la propria integrità.
Noi eravamo la patria della moka e della cuccuma, ora delle capsule.”
I problemi tecnici sulle capsule ecologiche, compostabili, degradabili
Parliamo della pressione: molte capsule infatti non sopportano i 90 gradi di pressione e delle 9 atmosfere.
“Io ancora ricordo una prova che venne fatta proprio per verificare un eventuale lancio dei prodotti, durante una Fiera di settore, effettuata su alcune capsule in materiale compostabile. Le ho testate io stesso con il sistema Nespresso. Una parte di queste capsule non riusciva ad esser preforata, in quanto la carta utilizzata offriva una resistenza maggiore, essendo di un materiale più morbido. Di conseguenza, l’estrazione non avveniva. Un handicap piuttosto importante per una linea di questo genere. Sei o sette capsule su 10, hanno dato questo malfunzionamento.”
Alcuni produttori importanti di capsule proprio per questo, non hanno ancora una linea di compostabili
“Ci sarebbe una soluzione alternativa: un mio cliente mi ha fatto conoscere delle capsule ricaricabili in acciaio di tipo Nespresso che riempimmo con la macinatura ad hoc del mio caffè. Abbiamo ottenuto un risultato decente, nonostante si trattasse di una bevanda prodotta con meno di 7 grammi e quindi non di un espresso italiano tradizionale. Nella riduzione o nell’eccesso della dose, come in Gran Bretagna che si usano 21 grammi, non si può parlare di espresso.
In ogni caso, questo genere di prodotto è poco consigliabile perché viene meno al presupposto per cui esiste la capsula: cioè essere veloci. Se si pensa che questi involucri vanno aperti, lavati, ricaricati dopo aver pesato la polvere e poi sigillati. Sono un ossimoro all’esistenza stessa delle capsule. Paradossalmente, per preparare un caffè biologico con le capsule, ci si impiega più tempo che con la moka. Tutte le alternative valide dal punto di vista della sostenibilità, non hanno senso rispetto alle tempistiche.”
L’inchiesta sulle capsule, realizzata dalla società Iri
Le vendite del 2017 hanno raggiunto dei livelli di 857 milioni per le capsule. Mentre i punti vendita specializzati, sono diventati 6.000, boutique comprese. Notando che questi punti rappresentano solo una piccola parte del parco vendite capsule, non considerando gli e-commerce.
Un quadro colossale dal punto di vista economico
“E’ responsabilità di chi ha prodotto caffè di bassa qualità in precedenza. Il consumatore che va al supermercato, trova purtroppo un prodotto di livello inferiore. Chi acquista poi non sa bene cosa sia piacevole e salubre. E quindi viene rapito dal discorso del marketing, sulla velocità, sull’assenza di sporco in cucina.
Perdiamo così tanto tempo in diverse attività, che cerchiamo di rifarci sull’attesa della moka. In realtà un metodo che si può utilizzare anche negli uffici.
Invece di utilizzare le capsule che, come diceva Gianni Frasi, sono prodotti del demonio. Sono infatti una scimmiottatura dell’espresso.” (nel video del link l’intervista a Gianni Frasi)
Le capsule sono in vendita anche a 5 centesimi l’una: che caffè c’è dentro?
“Al loro interno contengono una materia che non può essere di prima qualità. Mi viene in mente il parallelo tra chi acquista la macchina da caffè e decide di non dipendere dalle torrefazioni; che però poi acquista per il suo bar il caffè in grani nei discount a 3 o 5 euro al chilo. E dopo lo somministra anche al pubblico pagante, ignaro. Questo è un aspetto squalificante della nostra professione. Perché il contenitore non cambia molto alla fine dei conti.
Sfuggire al leader del mercato di riferimento, che già ha un prodotto spesso sopravvalutato, e poi comunque cercare l’alternativa compatibile è un controsenso. ”
Quindi cosa fare?
“Cambiare consapevolmente. Mi rendo conto che non è facile per tutti. Molti credono infatti, soprattutto i privati, che modificare sia ammettere un errore. Ma in realtà la responsabilità di chi ha fatto partire questa piaga. Quindi accodarsi, non è una vera e propria colpa. Non si può essere massimi esperti su ogni materia.
Se una persona che gestisce tante attività nella sua vita, acquista la macchina per le capsule per X motivi, esiste dietro un discorso di marketing efficiente. Tuttavia, noi abbiamo anche il dovere di gestire in maniera informata ciò che ingeriamo.
Ovviamente chiunque è libero di pensare ciò che vuole. Ma per buon senso, criticare il caffè artigianale dal punto di vista del prezzo, non ha senso quando si paga di più per un prodotto che di artigianale non ha niente.
Se uno vuole conoscere il prezzo al chilo del caffè, può moltiplicare per 200 il costo di una capsula che ne contengono 5 grammi, per capire quanto in realtà si paga. Così com’è il caffè al bar, che costa di più e per questo dovrebbe esser di più alta qualità. Consideriamo infatti che, in media con un chilo di caffè si preparano 120 espressi e quindi per un euro, 120 euro al chilo. Ma dovrebbe esser di qualità superiore. Il caffè artigianale costa di meno e ciò dovrebbe innescare la riflessione. Dimenticandosi dell’elemento della pigrizia.
La correttezza poi paga sempre. Inizialmente si viene superati dagli altri, ma a lungo termine viene premiata la massima trasparenza. Noi siamo riusciti ad aprire una torrefazione, con una nuova sede di fronte a un distributore di metano: giungono da noi clienti anziani e poco informati, che dopo un po’ guidati da noi, si sono formati un palato più allenato. E che non tornano più indietro su altri prodotti. Questo vorrà pur dire qualcosa. Lavorare con questa filosofia porta risultati.
Quando si esce da questi binari si ottiene qualcosa di diverso, non proprio positivo. Quando si crea una rete di conoscenza dandogli nuovi termini di confronto, il consumatore può scegliere consapevolmente. Uscendo fuori dall’omologazione del gusto.”
L’invito a assaggiare il caffè nella sua torrefazione, a Ferrara, dove
“In via Bongiovanni, 32. Vicino alla stazione. Dieci minuti a piedi di distanza. La mia torrefazione ha il giudizio massimo, i tre chicchi, sulla Guida dei Bar d’Italia del Gambero Rosso. Quindi anche un viaggio degustativo apposta potrebbe valerne la pena. È dal 2007 che abbiamo il massimo riconoscimento ogni anno. Questo non è soltanto uno stimolo ma anche un impegno.”
Ma non è necessario arrivare sino a Ferrara, perché domenica sarà nello stand dell’Elektra al Sigep di Rimini nel Padiglione 3
“Certo. Saremo nel Padiglione 3, e sarà tutto gratuito a disposizione del pubblico. Ho deciso di impiegare il mio tempo per dare la possibilità di conoscere quello che è una parte della mia produzione ai tantissimi che passeranno. Farò degustare dalle due alle tre specialità. La mia miscela da mastro torrefattore, esclusivamente di Arabica. E’ un po’ l’idea mia di caffè artigianale per chi ancora non ha conosciuto bene il mondo del caffè.
Poi ho adottato un nuovo Guatemala, una sorpresa anche per me, un Huehuetenango. Infine, probabilmente un altro caffè etiope. Per me l’essenziale è che le persone imparino a riconoscere il caffè.”
Un dato: cialde e capsule il mercato sta cambiando. I primi cali delle vendite
“Sì è un fenomeno legato a una possibile obscolescenza del prodotto. Che è un po’ fisiologico per qualsiasi articolo. Penso che poi anche tra i consumatori la percezione stia finalmente cambiando. Perché si sta tornando un po’ indietro alle piccole torrefazioni artigianali, che stanno svolgendo un ottimo lavoro. E’ ora di cambiare sia il tipo di prodotto che la qualità. Quando sono andato a visitare il The Milan Coffee Festival, speravo di trovare il caffè. Ma non l’ho trovato. Ho visto qualcosa di diverso. Per fortuna però, ho incontrato anche tanti professionisti che lavorano bene. Perchè un conto è tostare il caffè secondo il protocollo che varia da caffè a caffè, un conto è seguire la moda. Chi segue i trend è destinato ad avere una carriera redditizia, ma non esagerata. Tutt’altro accade se riesce poi a imporsi come modus operandi. E’ chiaro che bisogna lavorare sempre per essere preferiti dalle persone.
Ci vuole pazienza. La mia è stata una storia di destino e passione. E’ qualcosa che si perde nella mia infanzia, nel profumo del caffè che respiro dai 5 anni quando compravo il caffè con mia madre.”
Che macchina usa per tostare?
“Una Petroncini italiana. Avrò invece a disposizione un macinacaffè presumo istantaneo di Elektra in fiera. Non so se la Cup o la Indie. La mia prima macchina in assoluto che ho acquistato è proprio l’Elektra Belle Epoque. Me ne innamorai quando visitai il Salone del Caffè quando ancora non ero un torrefattore. Al di là della macchina comunque, la cosa essenziale è usare un caffè di qualità. Ci vuole un po’ più di sostanza e uniformare tutti i mezzi. Una macchina importante quindi, ma con una materia ottima. E viceversa. La formazione e la cultura del caffè, anche basilare, poi fa la differenza. ”