MILANO – Per l’inchiesta che mette al centro della sua indagine il mondo della gestione dei bar, abbiamo parlato con Alberto Trabatti. L’imprenditore che si era già pronunciato sull’argomento e che ora approfondisce ulteriormente il suo punto di vista.
Trabatti, fondatore e torrefattore di Artlife Caffè e del brand principale Caffè Penazzi
Un marchio storico di Ferrara che Alberto Trabatti ha ritrovato senza saperlo: ha ripreso l’attività laboratoriale proprio dove per primo l’aveva intrapresa il Signor Penazzi, 80 anni prima. Tutto nasce dalla passione già nutrita in tenera età per il caffè. Da 15 anni, diventata una professione.
Sulla gestione del locale, il punto di vista di Trabatti: gestore e torrefattore
“Per otto anni ho esercitato la professione di gestore di bar. Per l’esattezza del locale con cui ormai non lavoro più, neppure a livello commerciale, ovvero quello aperto dove risiedeva la storica torrefazione Penazzi.
Al suo interno tostavamo il caffè e poi lo somministravamo insieme ad altri prodotti artigianali. Avevamo circa 400 referenze: un’attività piuttosto impegnativa.
Posso dire che, leggendo i dati della Fipe, ci sono degli aspetti principali da considerare sempre: innanzitutto quello economico attraverso la creazione di un business plan. Questo può aiutare a immaginare gli incassi, senza però avere una certezza, in quanto prospetto steso in precedenza all’apertura.
Ma di sicuro può esser affidabile per quanto riguarda la stima dei costi da sostenere, compresi gli imprevisti. Come la necessità di sostituire l’attrezzatura. Dà modo di pianificare per chi apre i locali da zero. Chi invece lo prende in gestione, deve valutare altre cose, come lo stesso discorso di alcune spese.
Spesso e volentieri si tende ad eliminare proprio gli aspetti che andrebbero invece mantenuti come valore aggiunto. Io sono un torrefattore, quindi il caffè che preparavo era lo stesso che fornivo nel mio locale. Ma se fossi un gestore, dovrei basarmi su un costo molto importante quanto ignorato, ovvero l’acquisto delle macchine del caffè piuttosto che prenderle in comodato d’uso.”
“Comodato d’uso: una pratica che ha solamente lati negativi”
Continua Alberto Trabatti. “Innanzitutto perché il prezzo del caffè è più alto. Generalmente, al caffè di prezzo alto, non corrisponde una qualità sempre eccelsa.
C’è anche il discorso della manutenzione, che spesso viene compresa nel costo del caffè. Ma non è detto che sia necessaria farla così di frequente. Diventa una spesa nascosta. Il barista oggi deve esser in grado di curare la propria attrezzatura, senza dover chiamare un tecnico solo per regolare la macinatura.
Le basi vorrebbero che l’operatore debba saper quotidianamente macinare il caffè. Non ha senso che non si conosca il mestiere. Bisogna esser capaci di fare da soli.”
Trabatti: avviare un’attività prevede quindi un’analisi precisa dei costi e l’indipendenza dalle torrefazioni
“Assolutamente sì. Il comodato d’uso è una spesa, non un investimento. L’acquisto delle attrezzature è il vero investimento per la propria attività. Aggiungiamo che, acquistare il caffè a un prezzo eccessivo senza che dietro ci sia una qualità garantita, significa restare vincolati per lungo tempo con la torrefazione di riferimento.
L’imprenditore invece, è colui il quale, oltre chiaramente ad avere un’azienda, si rende indipendente da tutti i fornitori. Può sganciarsi così da chi non soddisfa le sue necessità.”
La libertà: un pro e un contro
Ancora Alberto Trabatti. “Chi si mette in proprio perché è stanco di dipendere da un datore di lavoro, e poi sceglie il comodato d’uso apparentemente gratuito, decide di stare sotto a un altro padrone. Quindi, non è un imprenditore. E’ un dipendente mascherato da business man. Non ha la possibilità di scegliere la materia prima, perché legato dalle attrezzature messe a disposizione.”
La differenziazione dell’offerta per Trabatti è una soluzione
“Bisogna adottare dei prodotti davvero differenti qualitativamente e distributivamente. Se in una via ben 10 bar hanno gli stessi prodotti, magari di una marca diversa, ma dello stesso livello qualitativo, allora non è impossibile fare la differenza.
Invece, se nella stessa via c’è un bar che in mezzo agli altri, vende il nostro caffè, senza esser presuntuosi, attirerà i clienti da tutti gli altri locali identici uno all’altro.
Le persone, quando assaggiano un prodotto valido, un caffè buono, lo riconoscono. Bisogna quindi amare quello che si fa. Se si apre un’attività con l’intenzione di preparare panini e Spritz per guadagnare, allora l’idea giusta di imprenditoria fallisce. E squalifica agli occhi dei consumatori.
L’idea di studiare i format di successo all’estero e in Italia
Precisa Trabatti. “Sì, è una buona idea. Ma poi bisogna aggiungere qualcosa di sè. Visitare le fiere di settore e informarsi sulle realtà della propria zona, anche collaborando, funziona. Magari trovando una forma di scambio che possa valorizzare reciprocamente le aziende.
Io lo vedo: vendiamo il caffè a delle macellerie, gelaterie e a un’azienda di cioccolato di Ferrara. Ed io compro i loro prodotti. Questo circolo virtuoso aumenta il prestigio delle attività regionali, attirando il cliente fuori dal supermercato.
Tutto ciò che è reperabile nella grande distribuzione ed è confrontabile nel prezzo, non deve esser considerato nell’offerta di un locale. Il cliente sceglierà di acquistarlo al supermercato. Io ho smesso di avere contatti con dei fornitori che offrivano prodotti presenti nella Gdo.
Queste realtà si fanno pagare un prezzo diverso, nonostante il prodotto è identico. Per me non ha senso confrontarmi con questa logica. –
continua Trabatti – Lo stesso discorso naturalmente lo applico ai prodotti disponibili online. Le modalità sono diverse e vanno studiate: se la differenza è minima sul prezzo, ci si può ragionare. Ma è anche vero una cosa: una parte di distribuzione come Amazon funziona bene. Ma non tutti i prodotti sono acquistabili su Amazon.
E’ chiaro che noi cerchiamo di spedire il più presto possibile il caffè appena tostato. Ci sono alcuni che magari raccolgono gli ordini ma non sono organizzati bene con i corrieri.
Ci sono aziende che possiedono il prodotto buono, anche a un prezzo maggiorato, che vengono premiate se in quella zona e nel settore non ci sono concorrenti eccellenti nella distribuzione.”
Un altro aspetto sottolineato da Trabatti: il costo del personale
“Ancor prima dell’affitto, il personale è la spesa più importante. Io al momento, gioco da solo. Ho però avuto due collaboratori part-time, ma effettivamente, hanno rappresentato un costo considerevole, non sostenibile in confronto alla resa.
Bisogna valutare attentamente. E’ vero che l’imprenditore spesso si prende la responsabilità della propria libertà: il dipendente, ti permette di averne di più. Ma ne vale la pena? Può esser un’idea quella di avvalersi di tirocinanti, che però devono esser animati da una certa passione.
Il dipendente comunque, una volta assunto, deve essere formato. Non si risparmia su questo aspetto. Resta un costo e, quindi, è bene ottimizzare affidandosi a un consulente del lavoro. E’ lui che, in base alla situazione individuale, può consigliare la giusta soluzione al problema.
E’ chiaro che, sì: il dipendente rappresenta un costo. Ma è anche una grande risorsa.-
Ancora Trabatti – Al di là della libertà dell’imprenditore, è chiaro che quando si apre un’azienda, i primi 4 anni sono un periodo di sacrificio. I soldi in cassa, vanno tenuti da parte. Si deve investire nella propria attività. Altrimenti, è vanificato il principio entro il quale entro 3 anni un’impresa deve riuscire ad avere un utile positivo.
I guadagni a fine giornata, sono dei fornitori, della banca e anche dello Stato. All’imprenditore resta poco. Che deve impiegarli per la stessa azienda. Bisogna esser parsimoniosi, soprattutto nel caso delle piccole imprese.
Partiamo da una realtà che apre le porte con la domanda: perché apro questa attività? Qual è il valore aggiunto a un mercato già saturo?
Se si riesce a dare una risposta vera a queste domande, allora si può procedere con l’apertura. Ma oltre al business plan, deve esser chiaro un progetto iniziale. Dal cibo biologico ai prodotti artigianali. Qualsiasi sia la filosofia di partenza, deve essere una ragione sociale che vada oltre la ditta.”
Aprire una partita iva in Italia costa
“Al di là della costituzione industriale. Il punto è che cosa è da considerare come fondamento: il progetto deve esser solido. In Italia abbiamo una stirpe atipica di imprenditori. Ci sono molti che dicono: io apro e la gente arriverà. Sembra che esista il cliente di cittadinanza.”
Il design e la location
“Va bene anche organizzare un locale semplice, invece che rivolgersi a una torrefazione per poter arredare come un bar hollywoodiano. Invece è sufficiente acquistare i mobili dall’Ikea e fare delle scelte di gusto.
Un’altra cosa essenziale è il garbo: l’aspetto che il cliente sta a guardare di più. Se il gestore tratta con fastidio il consumatore, allora lui cambierà locale. Come suol dire il cinese: se non sai sorridere, non aprire bottega. Il contatto con il pubblico in questo mestiere è grande. Anche nei momenti di maggior traffico, bisogna salutare con attenzione il cliente.”
Ciò che manca è anche questa cura del cliente
Continua Trabatti: “Ci sono tanti gestori che passano il tempo al telefono, oppure fuori a fumare. Sembra quasi di disturbarli per esser serviti. Se capita una volta, bisogna subito scusarsi. Durante le ore lavorative, il gestore è una persona a disposizione degli altri. Senza, chiaramente, prescindere dalla giusta dose di rispetto: ma dev’essere una cosa reciproca tra cliente e operatore. La domanda giusta da porre non è “mi dica”, ma ” come posso esserle utile?”.
Il problema della liberalizzazione della licenza
“Ora è un costo ridotto. E’ un investimento che poi si tramuta in un costo piuttosto basso. Questo per quanto riguarda la mia esperienza personale. Certo: aprire il classico bar con i prodotti tutti uguali, anonimo, allora equivale a chiudere subito.
Vincerà il locale che dà un’offerta differente. Non bisogna, ripeto, improvvisare. Qualunque sia il numero di locali e la loro attività principale, oggi il mercato è penalizzante per chi non opera le giuste scelte.”
Nel famoso business plan, conterebbe anche l’investimento nelle strategie di comunicazione sui social?
“Certo che sì. Bisogna affidarsi, quando se ne ha la possibilità, a dei professionisti seri. Oppure formarsi da soli: io lavoro mediamente 10 ore al giorno e, una volta chiuso, torno a casa e comincio a studiare.
Ci si può affidare alle agenzie di marketing, ma prima di tutto devi capire cosa comunicare a questi professionisti. Proporsi a loro con un’idea poco chiara in partenza, comporta il rischio di spendere soldi in una comunicazione che non sarà efficace. E’ necessario per l’imprenditore avere una minima conoscenza.
Anche il tipo di comunicazione deve esser curata: alcuni colleghi la conducono in maniera davvero improvvisata. Gestiscono male il medium e fa addirittura una cattiva pubblicità. Sui social tutto è pubblico: bisogna fare attenzione a cosa far comparire sulle piattaforme.
Anche prendendo posizioni precise, come per esempio faccio io con le cialde e le capsule, si deve controllare il modo di risposta e di esposizione. Senza mai trascendere i toni civili. Il mio è un discorso morale: bisogna esser ciò che si è e farlo vedere. Ci vuole criterio e integrità, per far emergere la propria attività e attirare i clienti. Non è facile, ma è necessario fare formazione e informazione al proprio pubblico.
Fa parte della vita lavorativa del libero professionista di qualsiasi tipo. Per non esser riducibile a un numero.
Può esser importante avere in mente un tipo di clientela di riferimento?
“Certo. Bisognerebbe specializzarsi. Poi, ovviamente, la clientela si screma da sola di fronte alle scelte del gestore. Ma è necessario esser determinati ad esser coerenti sul proprio discorso. Anche a costo di risultare un marziano per la maggioranza degli utenti. Arriveranno solo i clienti che si riconoscono nella tua particolarità e nell’attenzione alla qualità.
Racconto un aneddoto personale. Qualche tempo fa è arrivato da noi un cliente che, pur ammettendo di non saper niente di caffè, ha voluto assaggiarne due per regalarli a degli amici stranieri. Nessuna delle proposte che ho offerto, lo ha convinto.
Quando ha scartato il primo perché troppo delicato, io avevo già intuito che il cliente desiderava proprio un caffè carbonizzato. Io allora gli ho detto: sa quando fallisco nella mia attività? Quando il cliente desidera un prodotto scarso e io non riesco ad accontentarlo.
Al di là della sua ritrosia di fronte al racconto della materia prima, con la presunzione di conoscere il prodotto, un cliente del genere non può rientrare nel mio target. Come imprenditore, sono pronto a lasciare andare chi non sente la differenza. Tante persone non percepiscono queste sfumature, perché pensano di aver ragione solo in quanto clienti.
Io ho il rispetto per il consumatore, ma voglio lo stesso da chi si rivolge a me. Dobbiamo difendere la nostra attività e le nostre regole. Molti, pur di non perdere i clienti, preparebbero il caffè con una fetta di salame dentro. La verità è che non si può andare bene per tutti.”
Perché molti chiudono nell’arco di un anno dall’apertura?
Perché pensavano fosse amore e invece era un calesse. E’ il discorso dell'”aprire un bar tanto è facile“. Oppure perché, spesso, le prassi giuste vengono svolte ma si scelgono le zone sbagliate rispetto all’obiettivo che ci si era posti all’inizio
Un mio cliente si sta trasferendo dalla via attuale in cui ha aperto, perché il suo locale ha bisogno di un altro tipo di clientela. Bisogna quindi avere anche la prontezza e la lucidità di correggere il tiro già durante il primo anno di apertura, chiudendo e riaprendo in una zona strategica.
Chi chiude totalmente, deve valutare il fatto di non aver fatto le corrette analisi in precedenza.
Per cui il messaggio è: studiate, studiate studiate. Perché l’azienda è vostra. Il filosofo Ludwig Feuerbach ha detto: noi siamo ciò che mangiamo. Io aggiungo: siamo anche il caffè che beviamo e, l’azienda che gestiamo.
Mi è capitato che un barista titolare di una gelateria storica di Ferrara, venisse da me. Perché incuriosito dal mio caffè, che più volte ha ottenuto la menzione del Gambero Rosso come il migliore di Ferrara.
Io gli chiesi: che caffè usi? E lui mi detto il nome dell’azienda. Ma quale caffè? La risposta è stata eloquente: la miscela migliore
Continua Trabatti: “Ma cosa contiene? Non lo sapeva. Gli ho fatto presente che spendeva una cifra folle, senza sapere cosa ci fosse effettivamente dentro. Non ha pensato però di fare ulteriori domande per capire il mio prodotto. E’ solo restato sconsolato per l’aver constatato di spendere soldi per un caffè che non era il migliore della zona.
Distruggere le certezze apparenti di un altro professionista con una sola tazzina di caffè, senza parole, è un mio obiettivo. La curiosità però non deve mancare. Tornando al discorso dei costi per l’acquisto delle attrezzature: ci sono baristi che sono indipendenti, e comprano le macchine da soli, che però risparmiano sul caffè acquistandolo nei discount. Ritenendosi furbi. Una pratica che fanno persino quando optano per il comodato d’uso, mischiando il caffè del supermercato con quello della torrefazione.
Il risparmio deve avvenire ricontrattando l’affitto quando possibile. E poi un confronto con i fornitori generici, ovvero di gas, telefono e energia elettrica. Sui prodotti alimentari, caffè in primis, non si può lesinare.
Il cliente paga volentieri un prodotto più costoso ma anche più buono, una volta spiegato. Va bene risparmiare, ma non su ciò che viene offerto a chi entra. Giustificando con un racconto, l’aumento del prezzo della tazzina.
Il barista o il collaboratore, deve saper comunicare la bevanda per guidare il consumatore. La professionalità passa anche nella cura dei cartelli esplicativi del prodotto. Fa parte del mestiere. Non dico niente di rivoluzionario: è solo la giusta modalità di aprire un’azienda.”