MILANO – Oltre a osservare la lunga e complicata filiera del caffè, facciamo un salto all’interno del percorso produttivo del cioccolato, che parte dalle fave di cacao e comprende anch’esso un passaggio di torrefazione. Leggiamo le origini e gli sviluppi di questo dolce che arriva da lontano, dall’articolo di Laura Bernardi Locatelli su larassegna.it.
Torrefazione delle fave di cacao: un ritorno alla tradizione
Se la pressoché totalità del cioccolato – sia industriale che artigianale – in commercio parte da un semilavorato, una massa che viene plasmata dal singolo scioglitore, negli ultimi anni un piccolo gruppo di cioccolatieri avventurosi ha deciso di opporsi all’omologazione del gusto e di tornare alle origini del cacao. La ricerca della qualità inizia dal campo: dal terreno alla pianta, dalle cabosse (il meraviglioso frutto del Theobroma cacao) alle preziose fave, fino al momento in cui in grandi sacchi di juta prendono la via del mare.
Dalla selezione delle fave si passa alla tostatura e torrefazione, procedura fondamentale per esaltare gli aromi del cacao e infondere carattere, la vera firma di ogni cioccolatiere. Ma c’è anche chi, come Claudio Corallo, propone cioccolato crudo, per esaltare al massimo il prodotto e trasforma in loco, in tavolette, il cacao, oltre a proporre sul mercato le favas de cacao torrado, le fave semplicemente tostate.
La lavorazione artigianale sovverte i tempi dell’industria per ripiegarli a quelli naturali
Solo così, senza fretta né compromessi, si restituiscono al gusto le sensazioni catturate nelle foreste equatoriali, unitamente alla gratitudine per chi cura piantagioni e fincas. Piccole imprese e piccoli produttori sono a fianco in questa battaglia per un cioccolato migliore e anche più equo. Sono diversi i progetti di cooperazione che offrono ai cioccolatieri la possibilità di sviluppare un rapporto diretto con i produttori, tagliando un anello della catena dell’importazione, dai broker alle multinazionali, e riconoscendo agli agricoltori un prezzo superiore. La piccola impresa può arrivare così a controllare tutta la filiera e a disporre di un prodotto di origine certa e qualità eccellente.
Il cacao funzionale e nutraceutico di Silvio Bessone
Il cibo degli dei è più che un alimento per Silvio Bessone (www.silviobessone.it), cioccolatiere per vocazione e scienziato etico per scelta, responsabile scientifico del Fine Cocoa Research Institute degli Stati Uniti. A solide conoscenze – laurea alla Jean Monnet di Bruxelles e collaborazioni universitarie, a partire dall’insegnamento di microbiologia all’Università di Caracas– Silvio Bessone intreccia la cultura naturalistica ayurvedica, incontrata in Sri Lanka, e l’antroposofia steineriana.
«Il cioccolato del futuro oltre a piacere farà anche bene, a patto che si inverta la marcia dai principi di iperproduzione e sfruttamento delle risorse ambientali e manodopera, a partire da quella infantile. Dietro al sorriso di un bimbo che gusta una tavoletta di cioccolato, non ci possono essere le lacrime di un suo coetaneo privato del diritto all’infanzia. Sono cinque i cardini che ispirano Five, l’organismo internazionale che ho fondato: Buono, Sano, Sicuro, Giusto e Sostenibile» racconta dal suo laboratorio di Santuario di Vicoforte (Cuneo), dove produce tutto, perfino il latte in polvere con vacche piemontesi.
Qui si lavorano fave provenienti da piantagioni avviate dall’altra parte del mondo, dalla selvaggia foresta pluviale della Mata Atlantica (dove è coltivato in cabruca per evitare la deforestazione) al Perù, alla Tanzania. Quanto al movimento “from beans to bar” (dalle fave alla tavoletta), Bessone ha fatto da pioniere, allestendo nel 2004 in Piazza Castello a Torino una vera e propria “fabbrica di cioccolato”, ispirazione per una generazione di tostatori e torrefattori di cacao, che in realtà in Italia sono una decina. «I macchinari per la torrefazione sono costosi, le spese di trasporto delle fave anche e la lavorazione richiede pazienza e cura, ma solo così si fa il cioccolato, controllando ogni fase, dalla raccolta alle cabosse, dalle fave alle barrette.
E’ un investimento in coerenza e in differenziazione, perché ci sono comunque ottimi prodotti sul mercato e i processi di lavorazione sono lunghi e sinceramente non sempre ben riusciti- spiega Bessone- . Cresce la voglia di lavorare il cacao ma ci sono ahimè tentativi artigianali che arrecano più difetti di quanti ne fa l’industria, che però, a differenza dell’artigiano, riesce a coprire con additivi e trattamenti, a scapito ovviamente di aromi e profumi naturalmente presenti».
In Ecuador a Babahoyo lo scienziato del cioccolato ha messo a punto con un pool di ingegneri il “Bessone Method Patent” per un cacao biodinamico
«I metodi di coltivazione rispettano la natura, le persone e l’ambiente e producono cacao nutraceutico, con valori biochimici interessanti alla lavorazione di un cacao funzionale». Nel 2021 si appresta a lanciare una vera e propria linea della salute: barrette da 12 grammi e mezzo, messe a punto con un medico esperto in preparazioni galeniche, promettono di tenere sotto controllo, in diverse versioni, ipertensione, stress, insonnia e cali energetici.
Claudio Corallo, dalla piantagione alla tavoletta nell’isola Principe (Sao Tomè)
E’ l’unico produttore al mondo ad accompagnare il suo cioccolato dalla piantagione, a Terreiro Velho nell’isola paradisiaca di Principe nel Golfo di Guinea, alla tavoletta (from soil to bar, dal terreno alla barretta), con un processo di produzione effettuato interamente a mano. Il suo cioccolato -definito il migliore al mondo- sprigiona al meglio i suoi aromi a temperature tropicali, dai 27 ai 29 gradi.
Claudio Corallo (www.claudiocorallo.com), fiorentino, con una specializzazione in agronomia tropicale in tasca, ha preso la via dell’Africa a 23 anni, quasi 50 anni fa, iniziando a lavorare come broker di caffè in Zaire prima di diventarne produttore, avviando una piantagione nella zona fluviale selvaggia vicino al parco Salonga, dove ha esportato la robusta più ricercata (e costosa, pagata il doppio dell’arabica) del globo. Le rivolte degli anni Novanta, l’hanno spinto a trasferirsi, mettendo in sicurezza la famiglia, a Sao Tomè, dove ha avviato piantagioni di caffè, cacao (sull’isola di Principe) e pepe.
«Il cacao Forastero Amelonado venne introdotto sull’isola dal re portoghese nell’Ottocento, che vedeva avvicinarsi la fine della colonia in Brasile- spiega Claudio Corallo, bloccato in lockdown forzato nel Chianti-. Coltivarlo è stato naturale: la pianta del cacao è meravigliosa e la sua potatura mi ricorda quella dell’ulivo, anche se confesso di non avere mai avuto una grande passione per il cioccolato, almeno prima di produrre il mio».
Il cacao viene raccolto da maggio a gennaio, lavorato subito, fermentato, accuratamente stoccato ed essiccato in modo lento e progressivo, poi tostato o lavorato a crudo. La fava di cacao viene macinata cruda per andare all’essenza di un prodotto eccezionale, privo naturalmente di asperità e amarezza:« E’ il migliore modo per assaporare, dal 75% al 100%, il lavoro fatto dal momento della raccolta allo stoccaggio, con la complicità di un clima ideale- continua Corallo-. Il cacao sprigiona così un’esplosione di sapori e aromi». Da provare le fave di cacao tostate per fare un viIl cioccolato slow e naturale
“From beans to bar”
E’ lo slogan che accompagna ogni creazione della fabbrica di cioccolato di Guido Castagna (www.guidocastagna.it), a Giaveno (To), che ha conquistato l’oro all’Italian Med Chocolate Awards per l’Italia e il Mediterraneo quest’anno con la crema “+55”, i “Giuinott”(sei volte oro agli International Chocolate Awards) e le praline menta e liquirizia, argento per le praline Cardamomo e Malva, Cannella e Calendula e Pistacchio. Per vedere le fave trasformarsi in tavolette, giuinott e praline secondo il “Metodo Naturale Guido Castagna”, codificato punto per punto dal cioccolatiere, bisogna avere un anno di pazienza.
Le fave di cacao fine provenienti da cooperative selezionate dal Madagascar all’Ecuador al Venezuela, vengono lasciate fermentare all’80% circa e riposano per tre mesi in laboratorio. «La torrefazione avviene a bassa temperatura, a 110 gradi per un’ora per ottenere una perfetta tostatura e non a 200 gradi come avviene nell’industria» spiega Guido Castagna.
Al bando sali o altri additivi derivanti dalla potassatura o alcalinizzazione del cioccolato
«È il tempo, attraverso l’affinamento delle tavolette, con una maturazione di almeno sei mesi, a smussare le asperità e favorire lo sviluppo di aromi pregiati» continua. L’idea di tostare direttamente le fave di cacao, segue il progetto di ritorno alle origini, con la lavorazione della nocciola Piemonte Igp direttamente dalla pianta. «A Trieste e a Genova trovavo solo cacao industriale di bassa qualità- spiega-.
Così ho iniziato a visitare piantagioni in Repubblica Domenicana, Venezuela, Honduras, Salvador e Guatemala e grazie anche a una piccola molassa che infilo sempre in valigia, oltre a prendere accordi con i produttori, abbiamo avviato in loco la lavorazione».
All’etica e al rispetto per il cacao e chi lo lavora si abbina l’eco-sostenibilità, con l’utilizzo degli scarti di lavorazione, dalla produzione di birre al compost per agricoltura e dai sacchi nascono originali borse in juta. aggio ideale, dopo aver rotto e gettato il tegumento, a Terreiro Velho.
Tutta la produzione di cioccolato di Claudio Corallo, affiancato dalla figlia Ricciarda, avviene dietro ordinativi e su misura, anche se al momento è bloccata dallo stop ai cargo imposto all’aeroporto di Sao Tomè per il mancato rispetto dei protocolli internazionali di sicurezza. «Un danno enorme- commenta, sconsolato-. Siamo riusciti a imporci sul mercato mondiale con un prodotto nato e trasformato nella sua terra d’origine, ma ora paghiamo lo scotto dell’insularità e dell’isolamento dal resto del mondo».