Dopo la pandemia la caffetteria all’interno degli uffici giudiziari non ha mai riaperto. Ora un progetto di riscatto sociale che include persone vulnerabili, ex detenuti o detenuti con permesso di lavoro esterno, migranti e richiedenti asilo, riporta la colazione tra le aule di giustizia. Leggiamo di seguito l’articolo di Irene Famà pubblicato sul quotidiano La Stampa.
Il chiosco mobile gestito da Pausa Caffè
TORINO – Pausa caffè in tribunale. La caffetteria è chiusa da due anni, dopo svariate vicissitudini giudiziarie e questioni economiche. Arriva, invece, un piccolo chiosco mobile gestito dalla cooperativa Pausa Caffè. Un progetto di Street Coffee per l’inclusione sociale finanziato dal Comune di Torino grazie a fondi europei che vede la collaborazione di Enaip, l’ente formativo delle Acli, ministero della Giustizia, Dap, Ufficio pastorale migranti, fondazione Operti, Eataly e l’ordine avvocati.
“È la prima delle caffetterie mobili che allestiamo nella città”, spiega il presidente della cooperativa Marco Ferrero. Gestite da persone vulnerabili, ex detenuti o detenuti con permesso di lavoro esterno, migranti e richiedenti asilo, rappresentano una scommessa di riscatto e reinserimento sociale.
Riscatto sociale
“Una prima formazione è stata fatta alla Torrefazione del carcere Lorusso e Cutugno, poi ci sono stati i tirocini in alcune caffetterie, come quella di Eataly”. E ancora. “Tramite la fondazione Operti chi lavora nelle caffetterie mobili potrà acquistarle. Diventare imprenditore in un’ottica di franchising sociale”.
E stamattina, a Palazzo di Giustizia, in tanti si sono fermati per una pausa caffè al chiosco mobile nel corridoio esterno, davanti agli ascensori della scala D.
Resta, però, l’affaire caffetteria.
Un pasticcio all’italiana, impossibile definirlo altrimenti. I primi gestori sono finiti a processo per aver truccato l’appalto assegnato nel 2015. E il tutto si era concluso con condanne e assoluzioni. Poi, nel 2018, la Caffetteria è stata rilevata dalla cooperativa Liberamensa, con un progetto di reinserimento per i detenuti che preparavano piatti e caffè a chi frequentava il tribunale. Magistrati e avvocati compresi.
Il canone, così si era detto, “era troppo alto”. I ritardi nei pagamenti si sono accumulati e i debiti avevano raggiunto i 130mila euro.
Con la pandemia, il bar di Palazzo di giustizia ha chiuso. E non è mai stato riaperto.
Adesso serve un bando. In consiglio comunale hanno assicurato che lo stanno predisponendo e lo pubblicheranno a breve. Work in progress, dunque.
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