giovedì 19 Dicembre 2024
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The Smoking Tiger, dopo 3 anni di specialty la tigre si riposa: “Rifarei tutto, ma con due avvertenze”

Il roaster: “Non so cosa succederà adesso. Qualche tempo fa ho realizzato una piccola serie di un podcast, Coffeelines, dedicato allo specialty. Vorrei continuare a portarlo avanti"

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MILANO – Di recente abbiamo condiviso la notizia sulla chiusura della micro roastery marchigiana, The Smoking Tiger: a Castelfidardo, in provincia di Ancona, Antonio Tombolini tre anni fa avviato questa attività con il preciso focus sullo specialty e adesso si è dovuto fermare. Per capire la storia dietro questa decisione, la parola allo stesso imprenditore.

The Smoking Tiger nasce tre anni fa con l’apertura e ora si arresta: come sono stati questi anni da micro roaster di specialty?

“Sono stati degli anni belli ma anche duri: questi sono i due aggettivi che guidano l’intera esperienza. Anticipo subito che lo rifarei anche sapendo dell’esito finale.

In questo arco di tempo ho potuto toccare con mano quella che era una mia sensazione: in Italia, il mercato del caffè è come quello del vino, ma 40 anni fa. In questo gap avevo intravisto un potenziale da sfruttare, perché c’era e c’è ancora tanto da fare per evolversi nella direzione di un consumo più consapevole.

Nonostante il fatto che io non sia riuscito a cavalcare questo trend, resta un fenomeno che si sta verificando.”

Ma quindi cosa è andato storto?

“Credo che il mio primo errore sia stato un po’ di peccare di presunzione, pensando che offrendo esclusivamente specialty contando sulle mie sole risorse, avrei potuto partecipare ad una crescita più veloce della tendenza: come detto prima, la realtà è che lo sviluppo di questo mercato esiste, ma è più lenta di ciò che avevo immaginato.

Un altro mio limite è stato quello di non appoggiarmi ad un coffee shop di The Smoking Tiger che potesse fare da traino, e che la torrefazione da sola fosse abbastanza. Probabilmente avrebbe avuto più senso avviare anche un flagship store parallelamente alla roastery.

Avrei dovuto anche preoccuparmi maggiormente della comunicazione social.

Quando siamo partiti, avevo come riferimento la SCA internazionale e con questa immagine nella mente, avevo creduto che SCA Italia avrebbe potuto rappresentare un sostegno maggiore per la mia azienda. Poi ho realizzato che in Italia la stessa associazione mi sembra poco attiva sul fare rete.

Per spiegare meglio questo concetto, farei un paragone: il ruolo che negli anni ’90 aveva avuto Slow Food nel mondo del cibo e del vino è stato importante e così pensavo che SCA Italia si ponesse come primo obiettivo quello di sensibilizzare e avvicinare il pubblico, le persone comuni, allo specialty.

Invece, pur organizzando cose molto belle, restano piuttosto autoreferenziali. Ho tentato in un paio di occasioni di sottolineare l’esigenza di un programma più ampio di comunicazione e sul campo orientato a spingere un vero e proprio movimento, ma non ci siamo ancora riusciti.”

Come mai non ha cercato di ampliare la tua offerta dal solo specialty e aprendo un flagship di The Smoking Tiger?

“Non sono riuscito a trovare la location giusta nei tempi necessari, quando mi sono accorto che c’era bisogno di aprire il coffee shop. Sul fatto di ampliare l’offerta e non fare soltanto specialty, non ho mai avuto dubbi dal principio e non ho mai cambiato idea: questa lentezza nel nostro Paese, è dovuta anche al fatto che il più delle volte chi fa specialty non fa soltanto specialty e resta un fiore all’occhiello da presentare nei giusti contesti.

Quando si pensa poi al pubblico e alla diffusione, si torna al caffè più o meno convenzionale. E questo rallenta il processo. Per me lo specialty più che essere una nicchia così come si sta posizionando in Italia, rappresenta il futuro di quello che sarà il caffè.

Questa è la strada che sta prendendo anche in altri Paesi dove l’espresso non è una tradizione: si parte proprio con lo specialty ed è vissuto come il prodotto in cui esiste la combinazione tra cultivar, terroir, lavorazione. Da noi il caffè non è plurale. Ci vogliono tempi lunghi per far passare un messaggio diverso. “

Però rifarebbe tutto

“Sì, ma con due avvertenze: fare meglio i conti sulle risorse disponibili e appoggiandomi ad un flagship store del marchio che possa fare da vetrina e in cui creare anche situazioni importanti.

Senza lo store fisico, ho potuto contare soprattutto sull’e-commerce, il canale che ha funzionato di più. Ho sperimentato – ed è una conferma che l’avere occasioni di contatto con i consumatori è fondamentale – che c’è un tasso di fedeltà commovente online.

Un cliente che inizia ad acquistare da noi non si perde mai e diventa un po’ un tifoso. Purtroppo però, senza contare su campagne pubblicitarie importanti, anche questo canale per fruttare al meglio, ha bisogno di tempi e risorse che io non avevo.”

Quali sono i numeri di The Smoking Tiger?

“L’ultimo dato che possiedo: chiudendo l’anno 2023 ci avvicineremo probabilmente ai 100mila euro di fatturato.

I numeri dipendono sempre da come li guardi: dallo 0 del 2020 con la pandemia di mezzo ed essendo un marchio nuovo, quella cifra non è male, ma non è sufficiente per continuare a stare in piedi senza la possibilità di immettere nuove risorse. All’inizio c’è stato un investimento importante che abbiamo fatto con le sole nostre forze, sperando che si potesse rientrare più velocemente.

Sono contento comunque perché in questi anni sono riuscito a creare una piccola rete composta da un bellissimo gruppo misto di baristi, ristoratori e appassionati, ed è quello che mi fa dire ancora oggi che questo cambiamento sta avvenendo. Basta a volte fare assaggiare i caffè per far capire la differenza, senza fare troppe prediche.

Si tratta di fidarsi dei sensi, più che di inondare tutti con nozioni e tecnicismi. Ho sentito spesso dire tra gli addetti ai lavori che lo specialty è difficile e che il pubblico non è pronto: non è vero.

Quando mi sono confrontato con le persone facendo assaggi senza scendere in troppi tecnicismi, il solo sentire una tazza non bruciata e con delle note diverse dal solito, è stato sufficiente. Partire dal gusto è la cosa più giusta da fare.”

The Smoking Tiger però non ha potuto contare su una rete commerciale

“Ho lavorato da solo, con il sostegno di due soci-amici, ma senza mettere in piedi una rete di distribuzione commerciale: quando ci ho provato, i primi tempi, ho visto che chi opera in questo settore, quando si parla di specialty vive una sorta di contraddizione.

Vivere soltanto di questa materia prima è complicato, così come vendere questo tipo di prodotto proponendo parallelamente un caffè commerciale: è un po’ un paradosso. Quindi non mi sono mosso più in questo senso.”

Come mai non ha voluto fare da consulente come molti suoi colleghi fanno per aumentare le entrate?

“Perché sono l’ultimo arrivato nello specialty e non mi sono sentito sufficientemente esperto per fare da consulente di fronte a dei grandi maestri della torrefazione che sono già attivi.”

E ora qual è il destino di The Smoking Tiger? Non c’è modo di risollevarsi?

“Non so cosa succederà adesso. Qualche tempo fa ho realizzato una piccola serie di un podcast, Coffeelines, dedicato allo specialty.

Vorrei continuare a portarlo avanti e sto progettando di fare una seconda stagione. Credo proprio che la divulgazione sia la chiave per andare avanti. Certo, questi tre anni
hanno creato relazioni con persone che stimo moltissimo e che potrò ancora frequentare.

Ho pensato anche ad aprire una campagna di crowdfunding, ma per farlo sul serio avrei voluto legarla agli investimenti necessari ad un’eventuale apertura di un locale e per allargarsi. Volevo prima trovarlo e partire con questo obiettivo, ma senza di quello non me la sono sentita di chiedere un sostegno economico.

Continuo comunque a guardare in giro delle location potenziali, chiedendo in giro se ci sono delle novità: quindi dico mai dire mai.

Certo poi ho un vincolo legato alla mia età: ho 63 anni e vivo a Loreto, luogo da cui non voglio allontanarmi troppo. Tanti mi dicono di cambiare città, ma io lo escludo. Nelle Marche abbiamo un posto unico, Senigallia, che potrebbe essere un punto ideale legato alla ristorazione, ma per il momento questa esperienza si prende un po’ di tempo per riposarsi.

Naturalmente resto aperto a tutte le idee e proposte che dovessero venirmi da chi ama il caffè come lo amo io, e per questo vorrei invitare chi vuole a scrivermi su antonio@tst.coffee”

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