Terremoto ai vertici di Fedecafé. Esce di scena, dopo quasi sei anni, il direttore generale della Federazione colombiana dei produttori di caffè, Luis Genaro Muñoz Ortega. La decisione in un comunicato stampa del comitato direttivo, diramato mercoledì e controfirmato dai rappresentanti dei 15 comitati dipartimentali.
La carica verrà assunta provvisoriamente, a partire dal 1° giugno, dall’attuale direttore amministrativo Luis Felipe Acero López, che avrà il compito di proseguire nell’attuazione del Piano strategico di sviluppo e sostenibilità, approvato dall’ottantesimo Congresso nazionale dei produttori di caffè (Congreso Cafetero), sino all’elezione del nuovo direttore esecutivo.
Un congedo amaro, anche se con l’onore delle armi. Il comunicato dà atto dei risultati raggiunti sotto la gestione Muñoz, che ha assunto la carica nell’agosto 2009, succedendo all’allora direttore generale Gabriel Silva Luján, dimissionario per la chiamata dell’allora presidente colombiano Álvaro Uribe, che lo nominò ministro della difesa. Riconosce inoltre l’impegno prodigato a favore del settore e per il benessere dei produttori di tutte le regioni e delle loro famiglie.
Né in questo comunicato, né nella lunga lettera di commiato che Muñoz ha indirizzato a tutti i produttori compaiono le parole “dimissioni” o “ritiro”.
Ma è chiaro che il passo indietro avviene a seguito di forti pressioni interne ed esterne, alle quali non è del tutto estraneo nemmeno il famoso Movimento nazionale per la difesa e la dignità del settore del caffè (chiamato anche Dignidad Cafetera), la realtà di base nata alcuni anni fa, da sempre molto critica nei confronti delle politiche della Federazione.
La leadership di Muñoz vacillò già nel dicembre 2012, quando – durante il 78° Congresso – i rappresentanti delle regioni di Antioquia, Caldas e Cundinamarca presentarono una mozione di sfiducia, che venne allora respinta.
Il malcontento dei produttori non si placò. Tra febbraio e marzo 2013, Dignidad Cafetera bloccò le principali arterie viarie nelle aree di produzione paralizzando il traffico per quasi due settimane. Fedecafé si dissociò da questa forma di protesta, pur condividendone, in parte, le rivendicazioni.
La vertenza si concluse con gli accordi dell’8 marzo, in virtù dei quali il governo si impegnò a elevare i sussidi a sostegno dei prezzi e varò un pacchetto di ulteriori misure a favore del settore.
Il risultato venne presentato come una vittoria dalla Federazione, ma Dignidad Cafetera rimase critica denunciando ritardi e complicazioni nell’erogazione dei sussidi.
La ripresa dei corsi della commodity, a partire dai primi mesi del 2014 ha, in parte, placato le ire dei produttori. Ma la flessione dei prezzi degli ultimi mesi ha portato nuovamente in primo piano i problemi del settore riattizzando il fuoco, mai spento, che covava sotto le ceneri.
I mali di pancia sono cresciuti anche all’interno della Federazione: alcuni comitati locali hanno cominciato (o ricominciato) a esprimere la loro insofferenza nei confronti della leadership di Fedecafé denunciando un deficit di rappresentatività presso le autorità politiche.
Le istanze dei “rottamatori” hanno trovato espressione già nel Congresso nazionale (Congreso Cafetero) del dicembre scorso, in un breve, ma vibrante discorso tenuto da Marcelo Salazar – membro del comitato di Caldas – pronunciato alla presenza del presidente colombiano Juan Manuel Santos. Il presidente Santos – a sua volta grande esperto di politiche caffearie essendo stato presidente della Federazione, a cavallo tra gli anni novanta e duemila – definiva il tema “esplosivo” e chiedeva tempo e pazienza per analizzare dettagliatamente la situazione.
La tensione è cresciuta ulteriormente nelle ultime settimane. Dignidad Cafetera ha snobbato le conclusioni (presentate lo scorso marzo) dell’indagine condotta da Misión Cafetera, la commissione di studio incaricata di formulare delle proposte per rilanciare la competitività del settore, esprimendosi in termini peggiorativi sulla personalità a capo della commissione, l’ex presidente del Banco de la Républica (la banca centrale colombiana, ndr.) Juan José Echavarría.
Il movimento ha quindi minacciato una nuova mobilitazione, con blocchi stradali in Armenia, in caso di mancato ascolto delle proprie istanze da parte del governo.
Contemporaneamente, cinque comitati dipartimentali della Federazione hanno indirizzato una lettera aperta alla Presidenza della repubblica sollecitando “la mediazione promessa nell’ultimo Congresso al fine di conseguire quell’unità unità di intenti all’interno del settore necessaria per affrontare i gravi problemi in cui esso si trova”.
La principale questione sul tavolo rimane la riattivazione del c.d. Programma di protezione dei redditi dei produttori di caffè (Pic), che garantisce un prezzo minimo per il caffè. Lo stesso Muñoz si era impegnato a reiterarne con forza l’urgenza ai rappresentanti del governo, in occasione della seduta del Comitato Nazionale della settimana scorsa.
Salazar insiste sul fatto che il nuovo numero uno della Federazione dovrà attivarsi per chiedere non soltanto il ripristino del Pic, ma anche di ulteriori misure di sostegno, quali la fornitura di fertilizzanti o la reintroduzione dei titoli TIC, vigenti sino ai primi anni novanta.
I TIC (Títulos de Ahorro Cafetero) era titoli di credito emessi a parziale pagamento del caffè depositato nei magazzini generali di deposito di Almacafé (il ramo logistico della Federazione, ndr.), trasferibili mediante girata e utilizzabili come collaterale.
Come già detto, il processo per l’elezione del 12° direttore esecutivo, nella quasi novantennale storia della Federazione si metterà in moto a partire da giugno.
Attraverso i comitati dipartimentali verrà selezionata una terna di candidati, che dovrà ottenere il via libera a maggioranza qualificata del Comitato nazionale e l’approvazione del Presidente della repubblica.
L’ultima parola spetterà al Congreso Cafetero, riunito in sessione straordinaria, che eleggerà il nuovo direttore.