TORINO – Non c’è gesto più globale che bere una tazzina di caffè. Che sia in Italia o negli Stati Uniti, che sia in Turchia o in Etiopia; che sia al bancone di un bar, in mezzo a una strada o seduto in un bistrot, è una delle bevande più apprezzate al mondo ed è la più diffusa, dopo l’acqua.
Eppure non esiste bevanda che, in ciascun paese e in ciascuna cultura, abbia metodi di preparazione più diversi e abitudini di consumo così antiche: rituali che, ancora oggi, si sono conservati.
A ben pensare, però, non deve sorprendere: il caffè ha una storia che ha radici lontane e, nel tempo, le bacche rosse hanno intrapreso un lungo viaggio, attraverso i continenti.
Tutto ha avuto inizio in Etiopia nel IX secolo, nella provincia di Kaffa, dove secondo la leggenda le capre dei pascoli locali non riuscivano a dormire la notte, ed erano irrequiete e nervose per via delle foglie e dei chicchi della pianta, che regolarmente brucavano.
Da qui le bacche raggiunsero l’Arabia attraverso il Mar Rosso; in Yemen ne iniziò la coltivazione, dal consumo crudo si passò al decotto, e successivamente alla tostatura.
Con l’espansione dell’Impero Ottomano nel XVI secolo il caffè si diffuse in Asia Minore, Siria, Egitto, in Europa e nelle sue colonie. Oggi è il Brasile il principale coltivatore.
Tutto questo viaggiare ha lasciato tradizioni e gusti diversi che Slow Food e Lavazza portano a Terra Madre Salone del Gusto 2016 con il Laboratorio del Gusto IL CAFFÈ IN TUTTE LE LINGUE DEL MONDO, un appuntamento che ti farà toccare con mano tutti i segreti della preparazione (e della degustazione) delle più celebri varietà di caffè.
Partendo dal continente africano, la prima tappa sarà il Senegal, dove il caffè è touba e profuma di pepe e chiodi di garofano. La ricetta infatti – nata a fine ‘800 da uno sceicco, importante leader spirituale – prevede che chicchi di caffè, pepe e chiodi di garofano siano tostati insieme, quindi macinati e infine filtrati. A ogni angolo delle strade delle principali città del paese si trovano i tangana dove è possibile gustarlo per pochi centesimi e si pensa che abbia proprietà medicinali.
Quindi ci si sposta più a sud, in Etiopia, paese di origine della varietà arabica. Qui bere caffè è ancora un rito familiare soprattutto per l’etnia oromo. I chicchi sono tostati in casa, macinati all’interno di un mortaio e infine portati in infusione nella jebena, la tipica caffeteria in terracotta. Al suo interno il composto è fatto bollire con acqua e aromatizzato a seconda della regione con baccelli di cardamomo nero, radici di zenzero o canella, con aggiunta di sale o burro.
In Turchia, così come in Grecia e nei Balcani, invece, il caffè ha colore scuro, sapore concentrato e consistenza molto densa: prima di berlo occorre attendere, per evitare di bere il fondo.
I chicchi di caffè sono ridotti in polvere in un macinino quindi – insieme ad acqua e zucchero (e senza spezie o aromi) – vengono bolliti velocemente all’interno dell’ibrik. Arrivato intorno al 1500 grazie a una comunità di mistici islamici (dervisci) che lo usavano nei propri riti religiosi, si diffuse rapidamente e si moltiplicarono le caffetterie che divennero luoghi di incontro e, talvolta, centri di cultura.
Altre tappe saranno il Brasile – dove resiste una tipica preparazione con la calza – e l’Europa, dove il caffè è espresso, in Italia, o lungo, soprattutto nei paesi del nord.
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Eleonora Giannini
e.giannini@slowfood.it