MILANO – Il motore della sostenibilità mette in movimento l’intero settore dei macchinari per il packaging. Si va sempre più verso un impatto minore sull’ambiente e si parla spesso di tecnologia 4.0. L’obiettivo resta quello di salvaguardare il futuro, con soluzioni più sostenibili.
Tecnologia 4.0: in cosa consiste
Innanzitutto, le macchine ormai dovrebbero richiedere sempre meno energia e, al contempo, essere più efficienti. Siamo già a una nuova frontiera.
Infatti, la ricerca e l’innovazione sono mirate a soluzioni che minimizzino il consumo di materiali per il confezionamento e l’imballaggio.
Allo stesso tempo devono conservare al meglio il contenuto e la sua fruibilità. L’obiettivo è rendere ecosostenibile l’intera filiera che permette al prodotto di arrivare al consumatore finale nelle condizioni ottimali».
Così, i costruttori di macchinari per il packaging aderenti a Ucima-Confindustria rispondono all’unisono.
Qual è la traiettoria delle strategie green del settore
Un ambiente che con le sue 600 industrie, 30mila addetti e oltre 7 miliardi di euro di giro d’affari (per l’80% export) contende alla Germania la leadership mondiale. In più è benchmark internazionale per una tecnologia 4.0 flessibile e “amica” dell’ecosistema.
Tecnologie come quelle di Robopac-Aetna Group
Presente nel nuovo quartier generale di Castel San Pietro (l’ex fabbrica Malaguti) – nel cuore della packaging valley emiliana.
E’ proprio qui che si concentrano i due terzi della produzione nazionale di macchine per confezionamento e imballaggio.
Il Gruppo ha realizzato il più avanzato centro R&S e test del comparto. «Sono molte le aziende che vengono nei nostri laboratori a testare gli imballaggi. – Racconta Glauco Mosca Moschini. Sales & marketing director di Robopac, leader nelle soluzioni di fine linea come avvolgitrici e fardellatrici.
– E i numeri ci dicono che la nostra “Cube technology” permette un risparmio medio di film (la pellicola con cui si avvolgono grandi volumi) del 30-40% rispetto alla media.
Questo significa minor consumo di derivati del petrolio. Ma non ci interessa una riduzione dei consumi fine a se stessa. Ovvero una che non faccia il paio con un’aumentata stabilità del pallet e quindi con la sicurezza del carico durante il trasporto, per evitare perdite di prodotto e incidenti anche mortali se il camion perde le merci mentre viaggia.
C’è un tema di impatto sociale, non più solo energetico e ambientale, al centro delle strategie. Tanto che “safety first” è diventato il nostro claim».
Il colosso svedese del confezionamento TetraPak
Conta ben 24mila dipendenti di cui 800 a Modena. Dove ha il centro mondiale di R&S sui contenitori asettici. E’ stato il primo a introdurre la Valutazione del ciclo di vita (Lca) per analizzare l’impronta sull’ambiente dalla produzione delle materie prime fino al riciclo del contenitore dopo l’uso.
La casa madre di Lund
Ha ora firmato con Bruxelles un programma per ridurre le emissioni di gas serra del 42% (rispetto al 2015) entro il 2030. Così da arrivare al 58% entro il 2040.
«TetraPak è uno degli esempi più avanzati nel settore. Ma certificare l’impatto ambientale anche solo del ciclo di vita della singola macchina (dalla costruzione allo smaltimento) è molto complicato e perciò poco diffuso.» Precisa Luciano Sottile. Il vicepresidente Ucima e direttore divisione Macchine della varesina Goglio Spa, leader nell’imballaggio flessibile.
«Credo che oggi il concetto di sostenibilità per il packaging – aggiunge Sottile – si avvicini molto a quello di tecnologia 4.0 di servitization del prodotto.
Perché, al momento non conta più il prezzo dell’impianto. Il “total cost of ownership” della tecnologia e il costruttore risponde dell’efficiente funzionamento della macchina presso il cliente per tutta la vita utile. Questo poi si traduce in minor impatto ambientale ed economico».
C’è poi un tema di sostenibilità declinato sul materiale utilizzato per confezionare il prodotto
Su questo, sono al lavoro i costruttori di macchine per packaging. Come Goglio, ma anche il colosso cooperativo imolese Sacmi. Il numero uno al mondo nelle macchine per i tappi di bottiglia.
L’esempio più attuale è quello delle capsule per caffè
Un mercato in crescita esponenziale che ha reso urgente il tema della riciclabilità della capsula stessa. Con nuovi brevetti per involucri in alluminio o in materiali compostabili.
«Limitare il più possibile l’uso della plastica è il driver dell’innovazione sostenibile anche nel nostro settore. Sulla scia non solo della legislazione ma di consumatori sempre più sensibili» rimarca Vezio Bernardi.
Il direttore business closures & containers di Sacmi, che totalizza 11 milioni di investimenti in R&S ogni anno. «Le soluzioni che noi stiamo adottando – spiega – sono due.
Da un lato tecnologie di compressione per lavorare la plastica a temperature più basse per renderla riciclabile più a lungo. Oggi abbiamo macchine in grado di fondere e rilavorare la plastica 5 volte. Arriveremo in futuro a riciclarla 10 volte.
Dall’altro lato stiamo studiando tappi e capsule in materiali riciclabili. C’è un ritorno di domanda per l’alluminio (Sacmi nasce con i tappi a corona, ndr). Stiamo sperimentando bioplastiche compostabili che non si degradino con l’umidità e non rilascino sostanze al contenuto. Si tratta di soluzioni multilayer, con vari strati di film interni per creare l’effetto barriera».