domenica 22 Dicembre 2024
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La col­ti­va­zio­ne del tè in Si­ci­lia: dai Ci­ne­si agli Ara­bi, una tra­di­zio­ne secolare

Quando si beve il tè, si va subito con la mente a terre esotiche verso l'Oriente. Tuttavia, in pochi sanno che anche la Sicilia è stata storicamente una terra produttrice di questa pianta

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MILANO – Attraversiamo un po’ la storia lunga secoli del , attraverso il viaggio che lo ha visto migrare dall’Asia sino a noi. Un percorso che intraprendiamo assieme alla firma di Antonio Gagliano.

Tè: i luoghi di origine

Par­lan­do di tè, mol­ti, sen­za dub­bio, pen­se­ran­no a pae­si asia­ti­ci come Cina o Giap­po­ne qua­li luo­ghi di pro­du­zio­ne. Im­ma­gi­nan­do­lo innanzitutto, come una be­van­da d’im­por­ta­zio­ne.

No­no­stan­te la tra­di­zio­ne veda la Cina come ma­dre pa­tria del­la Ca­mel­lia Si­nen­sis (nome scien­ti­fi­co del­la pian­ta da tè, ndr), però, gli stu­di di Sal­vo Pel­le­gri­no vo­glio­no la Si­ci­lia qua­le se­con­da ter­ra con la pro­du­zio­ne più an­ti­ca.

Pel­le­gri­no, col­ti­va­to­re di Rad­du­sa

Spie­ga in­fat­ti come nel 950 d.C. la no­stra iso­la rap­pre­sen­tas­se la por­ta d’in­gres­so per le in­no­va­zio­ni pro­ve­nien­ti dal­l’o­rien­te. «Fu pro­prio in quel pe­rio­do – rac­con­ta Sal­vo – che, gra­zie al­l’a­mi­ci­zia di un emi­ro ara­bo con l’im­pe­ra­to­re ci­ne­se, la pian­ta del tè ar­ri­vò sul­la no­stra iso­la».

Non solo il tè è made in Italy

Dalla bevanda infatti, si passa alla seta: pare che le piante cinesi crescano meglio in Sicilia. La col­ti­va­zio­ne del tè, sep­pur meno re­mu­ne­ra­ti­va e più osti­ca, ad esem­pio, de­gli agru­mi, pro­se­guì per mol­ti se­co­li fa­vo­ri­ta dal­le con­di­zio­ni cli­ma­ti­che of­fer­te dal­l’i­so­la.

«Ad­di­rit­tu­ra, nel 1600 – spie­ga Sal­vo – la Cina man­dò in Si­ci­lia una de­le­ga­zio­ne di stu­dio­si. Que­sti vis­se­ro qui per ven­t’an­ni. Cer­can­do di ca­pi­re per­ché al­cu­ne del­le loro pian­te cre­sces­se­ro me­glio nel­la no­stra ter­ra piut­to­sto che nel loro Pae­se».

Tra le col­ti­va­zio­ni, ol­tre a quel­la del tè, fi­gu­ra­va an­che il gelso.  Ali­men­to es­sen­zia­le per i ba­chi da seta. «La Si­ci­lia, in­fat­ti – pre­ci­sa il col­ti­va­to­re rad­du­sa­no – era an­che il pri­mo for­ni­to­re di seta per i si­gno­ri d’Eu­ro­pa».

Alimento e pianta officinale

Fino a non mol­to tem­po fa, inol­tre, la tra­di­zio­ne vo­le­va che il tè ve­nis­se man­gia­to piut­to­sto che be­vu­to. «Se ne nu­tri­va­no i viag­gia­to­ri per non ad­dor­men­tar­si du­ran­te il viag­gio. – rac­con­ta ancora Pel­le­gri­no

– Al­l’e­po­ca si te­me­va­no, in­fat­ti, gli at­tac­chi dei ban­di­ti du­ran­te la not­te. Gra­zie alle pian­te da tè – ag­giun­ge – era pos­si­bi­le ri­ma­ne­re sve­gli an­che 5 o 6 not­ti».

So­prat­tut­to però, le fo­glie del tè ve­ni­va­no uti­liz­za­te come pian­te of­fi­ci­na­li per cu­ra­re le in­fe­zio­ni in­te­sti­na­li.

La be­van­da che tut­ti co­no­scia­mo oggi, in­ve­ce, ver­rà crea­ta solo in se­gui­to

E an­co­ra oggi, però, un Pae­se man­tie­ne la tra­di­zio­ne ori­gi­na­le: «La Bir­ma­nia è l’u­ni­co po­sto dove il tè vie­ne tut­t’o­ra man­gia­to e non be­vu­to. – spie­ga poi Sal­vo.

– Vie­ne in­vec­chia­to nel­le can­ne di bam­bù. Dopo che sono state pres­sa­te le fo­glie. Poi, ap­pe­na la can­na si spac­ca, il tè è pron­to. E vie­ne ser­vi­to nel­l’an­ti­pa­stie­re.

Quan­do in Bir­ma­nia vi in­vi­ta­no a pren­de­re un tè non si beve, – af­fer­ma sor­ri­den­te – si man­gia. Nel­le stra­de del­la Bir­ma­nia, però, gli im­mi­gra­ti in­dia­ni lo ven­do­no come be­van­da cal­da».

La scomparsa dopo la fine della dominazione araba

Agli ara­bi, in Si­ci­lia, si suc­ce­det­te­ro i Fran­ce­si e gli In­gle­si. «Que­sto se­gnò la fine del­le pian­ta­gio­ni si­ci­lia­ne. – am­met­te Sal­vo.

– Per­ché en­tram­bi si di­sin­te­res­sa­ro­no di que­sta pian­ta, ab­ban­do­nan­do­ne la col­ti­va­zio­ne». No­no­stan­te tut­to, però, al­cu­ne pian­te so­prav­vis­se­ro in con­di­zio­ni di au­to­no­mia.

Testimone del­l’ab­ban­do­no della variante sicialiana, poi, fu an­che Goe­the

«Goe­the, nel 1787, in vi­si­ta al prin­ci­pe di Gra­vi­na, ven­ne ac­com­pa­gna­to a vi­si­ta­re l’Et­na. Men­tre sa­li­va­no – rac­con­ta Sal­vo – in­con­trò de­gli in­gle­si che ave­va­no con loro del­le teie­re con­te­nen­ti il loro tè.

Al­lo­ra li rim­pro­ve­rò: “Per­ché, es­sen­do in Si­ci­lia, non pro­va­te il tè che han­no qui? Per­ché do­ve­te fare sem­pre gli in­gle­si?”

Su que­sto ha scrit­to an­che una poe­sia che si stu­dia in Ger­ma­nia al clas­si­co».

Va sot­to­li­nea­to come, a ca­val­lo tra il ‘700 e l’800, un no­bi­le si­ci­lia­no, gra­zie al fra­tel­lo am­ba­scia­to­re in Giap­po­ne, riu­scì a far giun­ge­re a Mes­si­na un ca­ri­co di semi.

Con l’in­ten­zio­ne di pro­dur­re la pian­ta per poi ven­der­la agli in­gle­si. An­che que­sto ten­ta­ti­vo, però, ven­ne sop­pres­so dopo l’u­ni­tà d’I­ta­lia.

Una pri­ma svol­ta, in­ve­ce, si ebbe du­ran­te il ven­ten­nio fa­sci­sta

Quan­do Mus­so­li­ni ban­dì il caf­fè, fa­vo­ren­do la dif­fu­sio­ne del tè. Nel 1929, in­fat­ti, ven­ne crea­ta l’Ati (As­so­cia­zio­ne Tea­ria Ita­lia­na), che ave­va il com­pi­to di ge­sti­re il tè im­por­ta­to e smi­star­lo dal por­to di Ge­no­va in tut­ta Ita­lia.

La ripresa nel XXI secolo

Oggi, in Si­ci­lia, al­cu­ni pic­co­li col­ti­va­to­ri han­no ri­pre­so la pro­du­zio­ne del­le pian­te da tè. An­che Sal­vo Pel­le­gri­no, nel­la sua “Casa del Tè” di Rad­du­sa, è riu­sci­to a crea­re la sua pic­co­la pian­ta­gio­ne.

«Le ti­po­lo­gie prin­ci­pa­li della bevanda sono sei. – spie­ga. – Si va da quello nero a quel­lo bian­co. Pas­san­do per il gial­lo, il pu’er e l’oo­long. Ognu­no con un di­ver­so gra­do di fer­men­ta­zio­ne.

In­ve­ce, nel mio ter­re­no, pro­du­cia­mo quello ver­de, poco fer­men­ta­to e su­bi­to pron­to alla la­vo­ra­zio­ne». Nel cor­so de­gli anni, poi, Pel­le­gri­no ha spe­ri­men­ta­to ed ac­cop­pia­to la sua variante ver­de, con una gran­de va­rie­tà di pro­dot­ti. Tut­ti of­fer­ti dal­la no­stra ter­ra.

Si va dal man­da­ri­no al ver­del­lo di Giar­re; pas­san­do per il pi­stac­chio di Bron­te e lo zen­ze­ro ho­me­ma­de che Pel­le­gri­no pro­du­ce nel­lo stes­so ter­re­no.

«Le pos­si­bi­li­tà sono in­fi­ni­te – spie­ga il col­ti­va­to­re – ba­sta dare spa­zio alla fan­ta­sia».

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