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sabato 02 Novembre 2024
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Tazzulella: più di un rito. La memoria conservata del caffè

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NAPOLI – Cerco tra le mie carte le notizie sui pinoli delle pinete vesuviane. Agli inizi del ‘900  la famiglia Di Prisco di San Giuseppe li vendeva a due  Caffè napoletani, il “Targiani” al Museo e “ I Mannesi”. In quei locali i pinoli “tostati” facevano parte dell’aperitivo, e trovo, nella stessa cartella, un fascio di documenti sul caffè. E quando si parla di caffè napoletano, una parola sola viene in mente. ‘na Tazzulella.

Tazzulella: non una semplice tazzina

Tazzulella: una parola che per un milanese significa poco. Ma, se si tratta di caffè, è da qua che partirei.

Una storia sull’alimentazione  nel Vesuviano e nella Campania Felice deve comprendere, obbligatoriamente, un capitolo sull’argomento.

Tra l’altro,  poiché da cosa nasce cosa,  è intenzione del nostro giornale dedicare, nella pagina delle “ Vie del gusto”, un ampio spazio alle “vie del caffè vesuviano”. Ai costumi, alle abitudini e alle storie che si intrecciano, lungo la giornata, nei bar del nostro territorio.

La Tazzulella fa parte della tradizione

Ci sono “recite” sfiziose di attori straordinari: e mi riferisco non solo ai clienti. Parlo dei caffettieri, dei ragazze, delle ragazze addetti al banco.

Il mio rapporto con il caffè è stato complicato. Incominciai a farne un uso abituale solo quando iniziò la mia attività di insegnante:  non si poteva dire di no al bidello che si presentava, prima dell’inizio delle lezioni e nell’intervallo, “armato” di guantiera e bicchierini.

Il rito della Tazzulella

L’assunzione mattutina di caffè divenne subito un rito, che veniva svolto solo con gli amici veri, e negli anni la cerimonia non ha subito modifiche, sono cambiati solo i “santuari” e i confratelli.

Ho scoperto poi che molti hanno, come me, l’abitudine di prendere il caffè mattutino  in bar lontani da casa. Forse perché non vogliamo aprire la giornata  con incontri tra soliti noti. Non vogliamo disturbare e essere disturbati:. Come me, parecchi non sopportano che il primo caffè venga pagato da un conoscente qualsiasi.

E’ divertente, però, osservare la tattica di quei tipi che si piazzano poco lontano da un bar e aspettano che arrivi e che entri nel locale la vittima prescelta, il “pagatore” del giorno: pochi attimi dopo lo seguono, e alla domanda, quasi sempre moscia, “ Prendi il caffè?”, gli rispondono, per pura cortesia, “  l’ho preso già, ma non ti posso dire di no.”

La memoria del caffè

Mi diverto a sfogliare e a leggere le carte. Una “memoria” sulla scarsa attenzione che i pittori napoletani dell’Ottocento hanno dedicato ai Caffè e al caffè. Ho per questo scelto a corredo dell’articolo il capolavoro veneziano di Alessandro Milesi. Aforismi e battute di intellettuali e di artisti.Un lungo elenco di appunti sul ruolo del caffè nella canzone napoletana, nei film, nei “gialli”.  Le lezioni di Eduardo, di Viviani e di Matilde Serao. Sottolineata con forza, la “sentenza” di  Georges Courteline che “si cambia più facilmente religione che caffè” . Per tutto questo, prendere il caffè è un rito. Lo ha scritto Francesco Battistini: è come recitare una preghiera.

Tazzulella e Belle Epoque napoletana

Nella cartella con i documenti sulla “Belle ‘Epoque” napoletana trovo le notizie sulla “Crema di moka”. Il liquore con cui Andrea  Galliano vinse la medaglia d’oro all’ Esposizione Universale di Parigi. Trovo un appunto con la riflessione profonda di Alberto Consiglio sul passaggio dal Caffè al bar.

“..la società del caffè, la Belle ‘Epoque, non è stata soppressa e mutata dai cataclismi, dalle guerre, dalle rivoluzioni, dalle alluvioni economiche e sociali.

Uomini del bar vs uomini del caffè

Tutto il guasto, tutta la mutazione è venuta da un cambio di velocità: gli uomini del Caffè andavano a trenta, a cinquanta all’ora, gli uomini del bar vanno a duecento, a cinquecento, a mille all’ora. “.

Consiglio l’ha scritto nel 196. Quaranta anni dopo Marino Niola è arrivato alle stesse conclusioni. In un pezzo (la Repubblica, 28/8/2008), che si intitola “ Vite veloci al banco del bar”. Sottolinea  il ruolo del  banco, destinato a favorire l’avvicendarsi continuo dei clienti.

La tazzulella rivendica la cultura della degustazione

Un bar che voglia essere importante deve rallentare la velocità di cui parlava Consiglio, e impedire che il banco diventi una “barra”. Ciò riesce anche al Bar Romolo, sulla Circonvallazione di Palma Campania, una strada ricca di bar.

E riesce, il “prodigio”, per l’ampio spazio esterno, che allontana il banco dalla strada. Il gioco dei cristalli, delle lunghe, ordinate sequenze di bottiglie colorate. Quelle che ricordano i Caffè dei quadri di Manet e di  Renoir..

Il caffè come quello di una volta

Nei quali si costruisce un’atmosfera  di luci calde e di morbida penombra. Poi l’eleganza delle signore sedute ai tavolini, come la signora del quadro. Si sussurrano tutto ciò che è accaduto dall’ultimo incontro e dall’ultima telefonata. Sorseggiano con grazia dalle tazze e dai bicchieri. Poi, le ragazze del banco che con loro il vivo sorriso riescono a “cancellare” la “barra”. Infine, la concentrazione assoluta di Stefano, il “pilota” della macchina del caffè. Lui conosce e ricorda i gusti dei  clienti. Riesce a preparare una crema che ferma, per lunghi attimi, il tempo, e in cui anch’io,  un dilettante, sono capace di cogliere le note del miele intorno a una nota di agrumi: i segni del caffè perfetto. Una tazzulella che racchiude in sè un mondo intero e antico.

Carmine Cimmino

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