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venerdì 22 Novembre 2024
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La tazzulella napoletana: dietro questo rito, una storia antica e attuale

L’ evoluzione della tazzina di caffè a Napoli e l’origine della frase “cumm’cazz’coce”. La usiamo tutti i giorni ma pochi si interrogano sul perché abbia questa forma o sia fatta di questo materiale. Stiamo parlando della tazzina di caffè, a Napoli detta “a’tazzulella”

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NAPOLI – Sono in tanti a ritenere il caffè napoletano come un rito e una bevanda a parte rispetto al resto d’Italia, al punto di aver presentato un dossier per esser riconosciuto dall’Unesco e ad aver fondato un’Accademia napoletana del caffè. Insomma, la tazzulella è un contenitore sui generis che si è modificato nel tempo: leggiamo la storia dietro questo tratto culturale partenopeo dall’articolo di Michele Sergio su ilroma.net.

Tazzulella: un racconto che si perde nel tempo

L’ evoluzione della tazzina di caffè a Napoli e l’origine della frase “cumm’cazz’coce”. La usiamo tutti i giorni ma pochi si interrogano sul perché abbia questa forma o sia fatta di questo materiale. Stiamo parlando della tazzina di caffè, a Napoli detta “a’tazzulella”.

Le prime furono realizzate nei Paesi Arabi durante il Basso Medioevo. Forse l’etimologia della parola deriva dall’arabo “tassah” che significa contenitore di bevande (calde). I primi materiali erano legno o metallo. Poi nel XVII e XVIII secolo in Europa con la diffusione del caffè arrivarono di conseguenza anche le tazzine. Le prime versioni probabilmente non avevano il manico né la tazzina veniva servita su di un piattino.

Con il passare degli anni però ci furono persone e aziende che diedero un contributo fondamentale per il miglioramento della stessa. L’evoluzione e il perfezionamento fu dovuto anche al fatto che il caffè era una bevanda esclusiva a uso e consumo nella nobiltà e dell’alta borghesia. Ricordiamo nel ‘700 la manifattura del britannico Josiah Wedgwood che riuscì a immettere sul mercato grazie ad una nuova tecnica di lavorazione tazzine fatte da un materiale facile da lavorare ma al tempo stesso resistente, nell’800 le porcellane di Capodimonte utilizzate anche dalla famiglia Reale Borbone e nel ’900 le tazzine realizzate dalla società di Ceramica toscana Richard-Ginori.

I primi modelli

Con l’invenzione e la diffusione della macchina da caffè espresso agli inizi del XX secolo ci fu una evoluzione della forma della tazzina. I primi modelli di macchine avevano ai lati opposti della stessa due sporgenze dove c’erano due piattaforme rotonde dove si allocava la tazzina di caffè per l’estrazione. Per questo motivo le tazzine dovevano essere più stabili e si predilesse l’uso di una tazza in opalina di vetro dal profilo irregolare, come scalini all’inverso, caratterizzata da rientranze laterali che andavano a restringersi verso la base.

Oltre che nei bar il caffè si beveva anche nelle case. Negli anni ‘50 e ‘60 a Napoli quando si riceveva un ospite si accoglieva servendo il caffè con il servizio di tazze migliore. Ogni famiglia aveva, infatti, un set di tazze di porcellana coordinato da una caffettiera, lattiera e zuccheriera. Indimenticabile e immancabile in tutte le case era la ciotola del latte che si beveva anche con il caffè. Il famoso “zuppone” di “eduardiana memoria”.

Oggi Esistono infinite versioni di tazzine, di tutti i materiali, di tutte le forme e di tutte le dimensioni. Ma qual è la migliora tazza? Non esiste una visione univoca. Le scuole di pensiero sono tante e divise. Possiamo dire, però, che le più diffuse ed utilizzate sono quelle dalla forma troncoconica e quella a forma di “fiaschettino”.

È importante anche soffermarsi su altri dettagli: lo spessore delle pareti della tazza, il materiale che di solito è porcellana feldspatica (maggiore brillantezza e resistenza), il diametro della stessa (non troppo ampio perché potrebbe non mantenere la crema), la capacità (la quantità di caffè che può ospitare è di circa 60-80 ml anche se la quantità di espresso è di circa 30 cl).

I consigli sulla tazzulella perfetta

Importante è anche a che temperatura deve essere servita la tazza. Le scuole e le associazioni di caffè consigliano di preriscaldare la tazza a circa 40 gradi centigradi. Napoli come sempre si distingue. Negli anni ‘70, anche a seguito dell’epidemia di colera, si diffuse l’usanza nei bar napoletani di mettere le tazzine in uno scaldino contenente acqua calda. Era un modo per combattere e distruggere il batterio del colera. Questa usanza è ancora mantenuta nelle caffetterie partenopee: le tazzine vengono riposte nello “scaldino” contenete acqua calda. La temperatura può arrivare anche a superare i 60-70 gradi centigradi.

I baristi più “anziani” spiegano che la tazzina è come una “culla”. Il caffè deve essere “coccolato” da una tazza calda e confortante. Inoltre non dimentichiamo che si deve evitare lo “shock termico”. Il caffè estratto dalla macchina ha una temperatura molto alta (solo la temperatura dell’acqua è di 93 gradi mentre quella di estrazione dai beccucci è di circa 80 gradi). La prossima volta che assaggerete il caffè al bar saprete che uno dei segreti della sua bontà è anche dovuto alla sua tazzina

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