MILANO – La Svizzera è sempre più il Paese del caffè. Oltre i due terzi dei commerci mondiali passano – direttamente o indirettamente – attraverso aziende operanti nella Confederazione, secondo una stima fatta da Procafé, l’Associazione svizzera per la promozione del caffè.
Gli esperti della Dichiarazione di Berna (DB) – un’associazione indipendente di pubblica utilità, che conta oggi 23.500 membri – forniscono cifre ancora più elevate. Tra l’Arco Lemanico e Zurigo verrebbe negoziato tra il 60% e il 75% dei volumi trattati su scala globale – sostiene DB – per un valore pari al 3,5% del Pil svizzero.
In terra elvetica sono presenti big del calibro di Neumann, Ecom (che ha sede a Pully, nel cantone di Vaud), Olam, Volcafé (Winterthur), Louis-Dreyfus, Noble, senza dimenticare Sucafina (Ginevra).
A ciò vanno aggiunti alcuni tra i massimi competitor globali nel settore della torrefazione, che hanno posto in Svizzera le sedi dei loro rami caffè: da Starbucks, Mondelēz International, Strauss Group e MZBC a Keurig Green Mountain, che ha recentemente annunciato – è notizia di poche settimane fa – la delocalizzazione della sua divisione caffè verde a Losanna.
I motivi dell’appeal esercitato dalla Confederazione sono facilmente intuibili: vantaggi fiscali e legislazioni leggere, uniti alla qualità (e tradizionale riservatezza) dei servizi finanziari e bancari. Un mix vincente che spiega come le aziende con base in Svizzera accentrino tra il 15% e il 25% (a valore) del commercio mondiale delle commodity, secondo uno studio della già citata DB.
È interessante osservare, però, come anche il commercio fisico e l’industria di trasformazione abbiano fatto, in questi ultimi anni, passi da gigante.
A fronte di importazioni di verde per 663,28 milioni di franchi svizzeri, l’export di caffè torrefatto svizzero ha raggiunto nel 2013 (i dati 2014 non sono ancora disponibili) 2.034,7 milioni di franchi (1,69 miliardi di euro): un valore di oltre 10 volte maggiore a quello di una decina di anni fa e che supera ampiamente la somma dei fatturati registrati – sempre nel 2013 – dalle esportazioni di cioccolato (762 milioni di franchi svizzeri) e formaggio (570 milioni).
Artefici principali di questo exploit, oltre all’intramontabile solubile Nescafé, sono soprattutto le capsule di Nespresso. Va ricordato che nella Confederazione – oltre al colosso Nestlé – è operante un’ulteriore ottantina di torrefazioni, il cui export non superava comunque la cinquantina di milioni di franchi svizzeri nel 2012, secondo fonti dell’industria.
La fabbricazione delle capsule Nespresso avviene negli stabilimenti di Orbe e Avenches, ai quali si aggiungerà presto quello di Romont, nel cantone di Friburgo. Il valore delle vendite di Nespresso, nel 2014, è stimato in 5 miliardi di franchi svizzeri (4,16 di euro) e costituirebbe il 5% circa del fatturato Nestlé.
Sempre secondo stime recenti, il fatturato di Nespresso crescerebbe attualmente al ritmo di 500 milioni di franchi svizzeri (416 milioni di euro) all’anno. Il ceo di Nespresso Jean-Marc Duvoisin ha annunciato lo scorso autunno che l’azienda intende raddoppiare le vendite negli Usa nell’arco dei prossimi anni portandole a 500 milioni di euro.
Nessun contributo giunge invece dall’altro marchio per il caffè porzionato di casa Nestlé – Dolce Gusto – la cui produzione avviene integralmente all’estero, negli stabilimenti di Tutbury (Regno Unito), Girona (Spagna) e Schwerin (Germania), quest’ultimo inaugurato pochi mesi fa.
La multinazionale svizzera ha annunciato poche settimane or sono l’apertura del primo stabilimento extra europeo per le capsule Dolce Gusto, che sorgerà in Brasile, a Montes Claro, nello stato di Minas Gerais. L’investimento previsto è di 57 milioni di euro.