MILANO – I ricercatori dell’Istituto Mario Negri stanno ora conducendo uno studio per valutare la correlazione tra attività fisica e insorgenza della SLA, che si concluderà nei primi mesi del 2011. Secondo i risultati dello studio sembra che i traumi, indipendentemente dalla sede colpita, siano un forte fattore di rischio per l’insorgenza della SLA. Maggiore sarebbe il rischio se il trauma è ripetuto e se induce disabilità.
La correlazione tra attività fisica e SLA
Questa associazione sembra essere significativa soprattutto nel genere maschile e nei pazienti dove la SLA aveva un esordio nei muscoli degli arti. Non sembra esserci alcuna correlazione invece tra la sede di insorgenza della SLA e il sito del trauma. Effettuando analisi risulta ché il caffè, ad esempio, è fattore protettivo.
L’Istituto Mario Negri, in collaborazione con il Consorzio EURALS, negli anni’90 ha iniziato a coordinare registri di popolazione per valutare l’incidenza della SLA in alcuni Paesi europei (Italia – con Piemonte, Puglia, Liguria, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia e Lombardia – Gran Bretagna, Francia, Irlanda, Scozia, Paesi Bassi).
La registrazione dei pazienti è tuttora in corso e i ricercatori del Mario Negri, coordinati da Ettore Beghi, capo del Laboratorio di Malattie Neurologiche, utilizzano i dati raccolti per portare avanti studi mirati, come quello concluso nell’aprile 2010 per valutare la correlazione fra i traumi fisici e l’insorgenza della SLA.
Dal settembre 2007 all’aprile 2010 sono stati intervistati 377 pazienti e 754 controlli, abbinati per sesso ed età, appartenenti al registro di popolazione del consorzio EURALS. Ad oggi l’incidenza della SLA, che viene considerata una malattia rara e che insorge nell’ adulto con un picco in età avanzata, è di circa 2 su 100.000 individui. In Italia si stima che oggi siano colpite da SLA circa 3000/4000 persone. Il 5% dei casi di SLA è ereditario e in una parte di questi la causa sembra essere la mutazione di un gene specifico (SOD1).
La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è una malattia neurodegenerativa caratterizzata dalla perdita progressiva di specifici neuroni, chiamati motoneuroni, localizzati nel cervello, nel tronco encefalico e nel midollo spinale. Essi controllano i muscoli che consentono i movimenti volontari, comprese la deglutizione e l’articolazione del linguaggio. La SLA porta a debolezza muscolare, alla paralisi progressiva dei soggetti colpiti e alla morte nel giro di 3/5 anni, lasciando però intatte nella maggior parte dei casi le loro funzioni intellettive e quindi la loro consapevolezza.
Il decorso della malattia è del tutto imprevedibile e diverso da soggetto a soggetto. Attualmente le ipotesi più accreditate per spiegare la degenerazione neuronale sono due: un danno di tipo eccitotossico (cioè sostanze che svolgono unì’azione tossica nei confronti della cellula) e un danno di tipo ossidativo.
Anche se la causa della SLA è ancora sconosciuta, si suppone che siano numerosi i fattori di rischio che concorrono all’espressione di questa malattia. Ecco alcuni dei fattori di rischio più studiati negli ultimi anni: esposizione a metalli, attività fisica, sport, traumi, shock elettrici, residenza in aree rurali, fumo, dieta, pregressa poliomelite, lavori manuali.
L’attività fisica estrema potrebbe alterare il bilanciamento nelle presenza di radicali liberi non eliminati nell’organismo, inducendo allo stress ossidativo e potrebbe inoltre condurre a un aumento della degenerazione dei motoneuroni.
Sebbene non sia completamente noto il meccanismo attraverso cui la mutazione del gene SOD1 possa condurre alla degenerazione dei motoneuroni, è stato ipotizzato che l’accumulo dei radicali liberi, da cui il gene protegge l’organismo, all’interno delle cellule sia riconducibile al funzionamento difettoso di questo gene. Nessuna terapia specifica è ad oggi disponibile per il trattamento della SLA, esiste solo un farmaco in grado di prolungare la sopravvivenza dei pazienti da tre a sei mesi.