MILANO – Stefano Laghi è un maestro indiscusso della lavorazione del cioccolato, inserendolo poi all’interno delle logiche della pasticceria in modo da poter fare riflessioni attorno ad una più efficiente impostazione del business: lo studio e la ricerca, oltre a coinvolgere la materia prima e le sue origini, si riflette anche nella gestione dei prodotti all’interno del proprio locale.
Stefano Laghi è due professionisti in una sola persona, pasticcere e cioccolatiere: dove finisce una e inizia l’altra e come convivono insieme?
“La cioccolateria è una branca della pasticceria che si è staccata ed è poi diventata una vera e propria professione, ma naturalmente la prima è quella che comanda e che poi apre a diverse soluzioni con il cioccolato.
Quindi, non saprei dire dove finisce il pasticcere e inizia il cioccolatiere, perché sono due figure unite dentro di me e sono ben salde.
Nel tempo mi sono specializzato nel cioccolato perché ho trovato in questo uno sfogo di alcuni miei progetti che riguardavano soltanto questo prodotto.
Ho persino gestito una cioccolateria per diversi anni, lasciando un po’ da parte la pasticceria in termini di business, sempre continuando a lavorare come consulente da pasticcere.
Oggi ho una pasticceria con annessa una cioccolateria.
Sono stato conquistato pian piano dal cioccolato ancora prima di concentrarmi sulle praline, da quando ho avuto la fortuna all’età di 20 anni di lavorare in una pasticceria che trattava molto il cioccolato.
La vera e propria passione poi è arrivata quando ho scoperto la soggettistica, una specializzazione più creativa dal punto di vista visivo. Produrre soggetti come le uova di Pasqua, mi ha rapito e allora ho approfondito questo campo, facendo procedere in parallelo la pralineria.
L’ultima metà degli anni ‘90 mi sono avvicinato a questa branca e ci ho investito. Mi sono formato, sono stato il primo direttore di una scuola che ha dato la svolta al cioccolato e alla pasticceria in Itaila, l’Etoile in Veneto, e lì ho sviluppato queste altre competenze.
Indubbiamente per chi vuole soltanto vendere il cioccolato, la creatività e lo studio devono andare avanti di pari passo, e quando si decide di intraprendere la strada della formazione si deve fare ricerca per capire cosa si può fare e come lo si può proporre, in modo da comunicare ai pasticceri gli strumenti giusti a rendere fruibile nel loro business.
La soggettistica riguarda appunto la parte creativa del cioccolato, quando non ha ripieno ma soltanto la forma.
Funziona molto durante i due picchi più importanti del calendario, Natale e Pasqua, che sono l’apoteosi del cioccolato. Su questo campo bisognerebbe spingere tanto e fare divulgazione, perché qualsiasi pasticcere in quel periodo deve occuparsene.
La soggettistica può avere quindi un ruolo importante per poter fare cultura. Soprattutto con le uova, più che nei coniglietti, si sta cercando da un po’ di tempo di riprendere il discorso attorno alla qualità, con delle soluzioni gourmet composte da un cioccolato di alto livello e anche dalle nocciole, dai cremini, dai pralinati che mantengono sempre il principio della forma, ma creano un’esperienza più completa.
Si deve fare cultura perché non è possibile che il consumatore si lamenti del costo delle uova in pasticceria, perché abituato agli ovetti Kinder. È un cioccolato industriale che costa 50-60 euro al chilo: non è meglio andare in pasticceria e acquistare un prodotto artigianale ad un costo uguale o a un pochino di più?”
È più difficile trattare il cioccolato come ingrediente all’interno di una ricetta in pasticceria, oppure lavorarlo in purezza?
“Sono due cose diverse. Basta conoscere bene tutte le vie che portano al risultato desiderato.
Comunque lavorare il cioccolato come ingrediente è più impegnativo che farlo in purezza e questo perché quando si unisce alle uova, alla panna, viene diluito molto.
Nei dolci, incontrando l’aria, si disperdono ulteriormente il profumo e l’aroma e quindi si deve gestire molto sapientemente per continuare a valorizzarlo. Altrimenti risulterà un dolce finale un po’ anonimo.”
Un cioccolatiere trasforma il cacao nel prodotto finito, ma quanto sa e dovrebbe sapere realmente della materia prima coltivata in origine?
“Il cioccolatiere dev’essere completo e deve conoscere benissimo la sua materia prima: come e dove è stata prodotta, tutti i processi che hanno determinato il cioccolato che sta lavorando. Ogni prodotto ha un’anima, un terroir, un processo di produzione e fermentazione che ne hanno determinato le caratteristiche.
Faccio il paragone con la cucina: la stessa carne fornita a 10 cuochi sarà esaltata al massimo da quelli che conoscono tutto dell’animale da cui è stata ricavata, mentre gli altri la bruceranno. La materia prima non basta, se il professionista non è altamente preparato su vita morte e miracolo dell’ingrediente.
Conta per me molto guardare la storia del prodotto. Solo così si riesce a entrare nell’anima della materia prima.
Per ora purtroppo, molto pochi nel settore conoscono il valore delle origini, alcuni procedono selezionando seguendo i marchi. Non si preoccupano neppure di dedicarci attenzione.
Innanzitutto ci deve esser un’offerta culturale: nel momento in cui ci sarà attorno al cioccolato e sarà a disposizione di chi è interessato, allora le cose cambieranno. Rendere fruibile il materiale informativo e un filo logico e chiaro per fare rete, stimolerà un bisogno di qualità.
Fin qui c’è stata poca curiosità, perché il cioccolato è stato considerato come ingrediente secondario e di poco valore. È stato usato molto in Italia dall’industria e la gente comune non ha dato il valore giusto a questo prodotto.
Moltissimi chiamano il cioccolato cioccolata. Le uniche pubblicità su larga scala arrivano dalla televisione ed è per lo più questo messaggio che viene diffuso. Nel supermercato le tavolette sugli scaffali hanno prezzi totalmente diversi dalla pasticceria: l’approccio alla qualità è differente.
Ora sta accadendo un cambiamento con i panettoni: il consumatore è sempre più attento alla qualità e il pasticcere reagisce di conseguenza.
Tant’è che il volume d’affari dei panettoni artigianali ha equilibrato quelli industriali, che sono molto più alti ma venduti a meno. Questo significa che la gran massa si sta spostando verso l’artigianale. Speriamo che avvenga questo fenomeno anche con il cioccolato.”
Dalla sua esperienza di imprenditore in Antonella Dolci, ha imparato a gestire al meglio il locale pasticceria: ci racconta come mai è consigliabile scegliere le praline a lunga conservazione, anidre?
“Guardando le vendite del cioccolato, quando avevo la vetrina dedicata, mi sono accorto che le vendite erano molto limitate.
Di solito il pasticcere propende ad allestire la vetrina del cioccolato come quella della piccola pasticceria: il problema del cioccolatino è che in Italia è sempre stato visto come oggetto di regalo e non destinato all’autoconsumo. Per questo non si vendeva in grandi quantità.
Altra cosa che ho notato: dai registri, il genere maschile non si avvicinava alla vetrina, era molto restio nell’acquisto del cioccolato.
Ho intrapreso quindi un discorso differente, valutando diverse strade: in primis, provare a fare un prodotto che potesse stare fuori vetrina a temperatura ambiente, senza rovinarsi e mantenendo l’alta qualità.
Di solito quando si parla di lunga conservazione si pensa a qualcosa di più industriale e quindi io le chiamerei praline anidre, senz’acqua – che provoca degli scompensi nella conservazione che riducono i tempi di shelf life -.
Sono passato da una pralina ricoperta – ci sono due famiglie: quelle che escono dallo stampo e quelle che vengono ricoperte sul ripieno – allo stampo, cercando di realizzare qualcosa di accattivante nelle forme, con dei ripieni anidri che non avessero problemi di temperatura.
Poi, ho creato delle scatole già pronte, con un packaging attraente e di diversi colori, inserendo i gianduiotti, i cremini, i misti: ho pensato a diverse soluzioni e così le vendite si sono impennate. Questo perché l’italiano è predisposto a regalare il cioccolatino.
Se poi è di qualità, con un packaging che incuriosisce e una storia bella del brand (noi ad Alessandria siamo considerati blasonati) intriga ancora di più.
Ora il primo acquirente a comprarne di più, è proprio rappresentato dal genere maschile.
Ho utilizzato il sistema che usa l’industria: la scatola negli scaffali già confezionata e perfetta, pronta da regalare.
Siamo sempre più abituati a comprare e a pagare da soli mi son detto: questo è il modo giusto per portare la gente all’acquisto. Quelle da 5 cioccolatini vanno tantissimo. Questo aiuta molto le vendite.
Poi abbiamo realizzato anche dei piccoli vassoi per creare le scatole personalizzate, ma una su cento viene acquistata, perché gli altri comprano direttamente il pacchetto esposto.
Il mondo è diventato più frettoloso e comporre una confezione di cioccolatini richiede tempo. In negozio bisogna essere pieni ma avere anche modo di comunicare, dando quel tocco di cultura e informazione in più con poche parole ed efficaci, attorno al prodotto e alla qualità. Così il cliente entra già fiducioso.”
Sempre pensando alla sua pasticceria: com’è la vostra?
“La colazione è cambiata dopo il fermo del Covid. Riaprendo ho cercato di mettere a disposizione dei miei clienti delle monoporzioni lievitate. Le ho migliorate, glassate, spolverate, cambiando loro faccia.
Questo perché volevo far capire la differenza tra la mia offerta rispetto alle altre pasticcerie. Volevo comunicare al cliente il fatto che utilizzavo le migliori materie prime, attraverso un’estetica unica. Così ho rivoluzionato l’aspetto di preparazioni già al massimo delle mie possibilità. Le vendite sono aumentate considerevolmente.
È stata apprezzata la varietà, la decorazione, la cura. Ho iniziato a usare allora i fiori edibili come decorazione, che costano molto, ma danno un tocco di eleganza che i miei colleghi non hanno.
Serve poi un buonissimo caffè. Abbiamo una miscela della torrefazione Boasi composta da pregiate arabiche lavate provenienti da Brasile e centro America e dalle migliori robuste indiane per dare corpo e rotondità creando insieme una nota agrumata per un’intensa esperienza gustativa. Alessandria poi è la patria del marocchino: da noi praticamente su 10 ordinazioni, 5 sono per il marocchino e 5 si dividono tra caffè e cappuccino.
Io posso contare sul maestro barista Enrico che fa tutto a regola d’arte.
Da noi l’espresso costa un euro e trenta, in linea con il resto dei nostri prezzi: puntiamo sempre ad allinearci con il massimo che si trova in città.
Abbiamo una 4 gruppi LaCimbali e un macinino automatico con pressino automatico che comunica perfettamente con la macchina e garantisce il macinato fresco.
Il locale dice già tutto di quello che sta dietro ai prezzi: con un solo caffè si offre anche lo zucchero gratuito, l’atmosfera, lo spazio, la pulizia, il bagno e non si paga il servizio al tavolo.
Facciamo un vassoio come da Starbucks, con cui si può andare al tavolo a consumare allo stesso costo della consumazione al banco. C’è la possibilità di scegliere per tutti: partiamo da un cornetto vuoto a 1.60 sino ad una brioche glassata a 4 euro.”
Capitolo formazione: lei è responsabile del progetto worldfoodtraining.it. Com’è oggi insegnare online?
C’è molta richiesta? È uno stimolo anche per l’insegnante sperimentare questo tipo di didattica, soprattutto considerato il vostro mestiere che richiede molta manualità e attrezzature? Come funziona
“Il progetto era nato già prima del Covid ed era quindi pronto quando abbiamo dovuto chiudere per la pandemia: ha avuto subito un grande successo, soprattutto tra gli appassionati della pasticceria.
Poi la concorrenza non si è fatta attendere e sono partite tante altre scuole online. Quindi è successo che la formazione vera e propria per professionisti è rimasta chiusa nei meandri dei corsi fatte in presenza nelle pasticcerie o nelle scuole fisiche.
Online i costi sono scesi man mano, considerato che poi qualsiasi personaggio con un minimo di fama ha promosso il suo corso: questo canale si è così ridotto dal punto di vista della qualità didattica e dell’offerta.
Fare tanta fatica per realizzare un corso online e poi stare sul mercato a un prezzo troppo basso, mi ha portato a chiudere la scuola online e concentrarmi sull’offline, con corsi per poche persone e in presenza.
Preferisco fare così per il momento, magari concentrandomi sulla stesura di ebook per continuare ad essere presente sul web.”
Di fronte alle tendenze free from, come pensa si stia evolvendo il cioccolato?
“Ci dev’essere un altro ritorno al cioccolato. Abbiamo avuto nei primi anni duemila un’escalation incredibile: i pasticceri parlavano soltanto di questo, c’erano associazioni ed eventi come Eurochocolate che spopolavano.
L’Italia però non era ancora pronta per capire che quello era un fenomeno che poteva durare: le vendite facili hanno attirato i non professionisti e i mercati si sono svuotati dei veri cioccolatieri.
Ora c’è da mettere in moto la cultura, offrire più prodotti offerti dagli artigiani per avvicinare di più il consumatore.
Si può arrivare a raggiungere grandissimi livelli e numeri e a toglierlo dal limbo in cui è imprigionato attualmente.
Per quanto riguarda invece il discorso del free-from, si tratta di nicchie limitate che seguono tendenze più ampie e quindi sarebbero le prime a seguire la riscoperta del cioccolato. Da noi c’è comunque una piccola richiesta di cioccolatini senza zucchero o della cioccolata calda con l’acqua, zuccheri e fecola per addensare (abbiamo della polvere che produciamo noi con del cacao molto pregiato) che noi soddisfiamo sempre.”
Inoltre produciamo tutti i giorni delle torte da forno vendute a fette con una particolare attenzione alle intolleranze alimentari.”