MILANO – Tata Starbucks – la JV al 50% con il colosso Tata Consumer Products, grazie alla quale la catena di caffetterie più grande del mondo è sbarcata in India nel lontano 2012 – taglia un traguardo simbolico: quello dei 10 miliardi di rupie di fatturato: oltre 110 milioni di euro. Una somma lontana da quelle che la multinazionale di Seattle realizza in altri paesi esteri.
A cominciare dalla Cina – il suo secondo mercato dopo gli Usa – dove Starbucks conta oltre 6 mila locali, per un fatturato che si è attestato, a fine esercizio 2022, a circa 3 miliardi di dollari.
Ma il dato indiano va contestualizzato. Bisogna innanzitutto tenere conto delle difficoltà di accesso a questo mercato. E del ginepraio della legislazione societaria sulle partecipazioni straniere. A ciò vanno aggiunti poi i dazi elevatissimi sulle importazioni di caffè.
L’India, non dimentichiamolo, è il terzo produttore di caffè dell’Asia, con un raccolto stimato, per quest’anno, in 6 milioni e mezzo di sacchi.
Ma sull’altro piatto della bilancia c’è l’enorme potenziale di quello che è ormai il paese più popoloso del mondo, con 1,4 miliardi di abitanti.
E con un ceto medio (reddito tra i 5.500 e i 33 mila euro), che conta ormai per quasi un terzo della popolazione.
Non dimentichiamo, infine, che il nuovo ceo di Starbucks, Laxman Narasimhan, è indiano.
Tornando a Tata Starbucks, il fatturato dell’anno fiscale 2023 (aprile – marzo) ha raggiunto i 10,87 miliardi di rupie o 120,4 milioni di euro. Un dato in crescita del 71% rispetto al 2022.
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