MILANO – Niente caffè americano. Ma una semplice e antica tazza di tè. È il cavallo di Troia sul quale Starbucks scommette per conquistare il promettente quanto immenso mercato cinese. In un anno la multinazionale di Seattle ha già aperto 500 store nel Paese più popolato al mondo.
Entro il 2019 punta ad arrivare a 3.400 Starbucks Coffee China – non è dato sapere se nel logo della società e nelle sue insegne verdi resterà la parola “Coffee” visto il diverso posizionamento di prodotto.
Le stime di fatturato nel business globale del tè, Starbucks – con il brand controllato Teavana – parlano di tre miliardi di dollari che entreranno in cassa nei prossimi cinque anni.
Attraverso una linea di nuovi tè pensati ad hoc per i consumatori cinesi, per soddisfare la domanda crescente diprodotti healty: sembra che i cinesi siano i più sensibili in assoluto alle tendenze salutistiche.
Starbucks ha acquisito Teavana, una linea di tè e Case da tè nel 2012. Nei negozi monomarca negli Stati Uniti i tè a marchio Teavana funzionano bene con una crescita del venduto a doppia cifra: il best seller è un tè freddo che ha avuto un incremento delle vendite del 29 per cento.
Ora la prossima frontiera è la Cina che è il primo mercato al mondo per i consumi di tè, con una crescita media del 6% annuo, un settore che è 10 volte più forte rispetto a quello del caffè.
Starbucks cercherà di inventarsi dei nuovi drink a base di tè, caldi e freddi, con combinazioni ricercate per catturare i consumatori cinesi che oggi hanno capacità di spesa e sono in cerca di un’alternativa più salutare alla loro bevanda tradizionale.
Come Totò
Così gli americani che sono riusciti a esportare la pizza nel mondo – prodotto made in Italy in assoluto – con le loro catene di fast-food , ora cercheranno di vendere il tè ai cinesi che pure questa bevanda – di cui si parla per la prima volta nella loro storia millenaria nel III secolo – hanno inventato. Non è troppo lontana dalla storia di Totò che cercava di vendere a un turista la Fontana di Trevi.
Riccardo Barlaam