MILANO – Starbucks Italia arriva a Milano, che ci piaccia o meno. È la polemica più up-to-date del momento. Palme sì o palme no? Omologazione o torrefazione?
Starbucks Italia: il bene o il male?
Starbucks Italia è prossima alla sua apertura vicino al Duomo di Milano. Sarà positivo? Sarà deleterio? Non esiste una sola risposta, ma non è una buona ragione per non tranciare giudizi un tanto al chilo.
Andrea Ballarini prova a rispondere
Proponiamo un tagliente articolo a firma di Andrea Ballarini. Tratta dall’edizione on line de Il Foglio, una divertente raccolta dei luoghi comuni che stanno accompagnando l’annunciato arrivo di Starbucks in Italia.
Con relativi annessi e connessi.
Starbucks Italia: i clichè in cui cadono gli italiani
- Tuonare contro l’omologazione culturale. (Vedi seguente)
- Trovare umiliante che in Italia si debba bere il caffè all’americana.
- Pensare di scrivere sdegnati articoli su importanti quotidiani, quindi autocassarsi l’idea in uno sprazzo di lucidità. (Vedi seguente)
- Scrivere articoli che irridono gli articoli sdegnati.
- Suggerisce uno stile di vita internazionale affermare che il caffè di Starbucks di New York è migliore di quello di Londra. Fare paralleli con le differenze di gusto tra la Coca-Cola americana e quelle europee.
- Ridicolizzare la scelta di piantare delle palme in piazza Duomo a Milano. Menarla per settimane su Facebook.
- Stroncare quelli che hanno da ridire sull’apertura di Strabuck in Italia, rinfacciandogli di essersi lamentati per anni che da noi non c’era un posto dove fosse possibile lavorare con il proprio personal computer per tutto il pomeriggio ordinando solo un caffè, senza che il proprietario ti guardasse malissimo.
- Stigmatizzare i fighetti che ci vanno con il loro Mac a scrivere una sceneggiatura che non diventerà mai un film per non sentirsi disoccupati bensì cittadini del mondo. Rimproverargli il trash.
Invidia e venerazione per il lifestyle americano
- Andarci soprattutto per il wi-fi.
- Durante il vostro soggiorno negli States averne frequentato uno per mesi solo per broccolare le ragazze americane.
- È uno dei principali totem dell’immaginario dei trentenni di tutto il mondo.
- Recarcisi soprattutto per discutere con amici/amiche dei propri guai esistenziali/sentimentali, come fanno nelle commedie romantiche anglosassoni. Convenirne.
- Ci si qualifica come rigorosi intellettuali lasciando cadere con nonchalance che il nome deriva dal primo ufficiale del Pequod. Sperare che qualcuno chieda che cosa sia il Pequod per sgranare gli occhi e stupirsi: “Ma come, non hai letto Moby Dick?”
Le reazioni patriottico-sociologiche
- Ma vuoi mettere la sfogliatella o il maritozzo col cappuccino? Arabescare sul tema. (Vedi seguente)
- Con piglio fintamente sociologico sostenere che all’estero Starbuck ha avuto successo perché mica hanno una prima colazione come la nostra.
- Pretendere che i 350 nuovi assunti che lavoreranno nel negozio di Milano siano milanesi e non immigrati. Cavalcare la deriva populista.
- Ma quanto rompono i coglioni quelli che polemizzano sulle palme di Piazza del Duomo a Milano? Domandarlo con fastidio.
- Ci si qualifica come vigili coscienze critiche ricordando che Starbucks nel 2014 ha fatto un accordo con la Monsanto. Paventare l’uso di prodotti geneticamente modificati. Se il contesto lo consente far partire un pippone su come lo stile di vita americano stia creando problemi all’intero pianeta.
- Prendersela con Starbucks in nome del caffè all’italiana sarebbe come prendersela con l’Ikea perché ha tolto il lavoro a tanti bravi mobilieri brianzoli. Moltiplicare i paragoni. Tuonare contro il luddismo.
- Dire che l’Italia in questo momento ha problemi ben più gravi che decidere se le palme di Starbucks in Piazza del Duomo a Milano siano il segno della ritrovata anima della città o della decadenza culturale del Paese.
- Se qualcuno dice che Starbucks sta per aprire a Roma, ricordare che Clemente VII aveva definito il caffè la bevanda del diavolo e che, guarda caso, poco dopo i lanzichenecchi gli hanno saccheggiato la città. Di seguito ricordare che l’amministratore delegato di Starbucks si chiama Schultz. Istituire spericolati parallelismi.
- Se qualcuno tuona contro l’imperialismo di Starbucks proporgli di fondare al più presto anche il movimento irredentista della pizza, per liberare il prodotto italiano dall’ananas e dalle altre puttanate che ci mettono gli americani.
Andrea Ballarini