MILANO – Tradizione contro globalizzazione. Anche il Giappone sta facendo i conti con la colonizzazione di massa del colosso americano dei caffè. Il marchio Starbucks (nella FOTO il locale numero 1.000), è entrato nell’impero del Sol levante nel 1996, ed è stato il primo mercato fuori dai confini statunitensi. La catena di bar che vende bibitoni di varia composizione a base di caffè continua ad attrarre nuovi clienti.
Starbucks è un punto di ritrovo, dove ci si vede, si naviga su Internet, si bevono bevande originali.
“Io arrivo, prendo un caffè e mi metto a lavorare sul mio ipad o con lo smartphone, è comodo perchè c’è il wi-fi gratuito” dice un giovane cliente.
Ma accanto al gigante delle colazioni, sopravvivono alcuni caffè tradizionali, dove si ascolta la musica, si può leggere e viene offerta una selezione di caffè di alta qualità.
“E’ sbagliato il modo in cui Starbucks offre il caffè. La gente passa il tempo davanti al computer e invece dovrebbe essere un momento di relax, una pausa di riflessione in cui ascoltare musica classica” dice Muneo Ishihara, che lavora nel suo storico Cafè Lion.
In Italia sono anni che si parla di un ingresso di Starbucks, ma nella patria dell’espresso e dei bar diffusi su tutto il territorio non sembra esserci spazio per questo tipo di ristorazione.