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domenica 17 Novembre 2024
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«Starbucks deve aggiornarsi. La cultura del free Wi-Fi e del long-coffee è già superata»

E' vero che Starbucks ha intercettato un bisogno culturale che ha reso riconoscibili le proprie caffetterie avessero e, quindi un forte posizionamento di mercato. Come si è giunti allora alla situazion attuale di crisi?

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MILANO – Per prepararsi all’approdo di Starbucks a Milano e poi in tutta Italia, è bene comprendere la cultura che ha determinato il successo del colosso americano. A questo scopo, diffondiamo l’articolo commento pubblicato sul sito di arttribune, firmato da Stefano Monti.

Starbucks: una vicenda culturale

La vicenda di Starbucks, che ha visto il colosso internazionale del settore “coffee&bar” chiudere 150 caffetterie, sembrerebbe, lontana dai temi della cultura e della creatività. E’ invece, strettamente legata a queste tematiche.

Ma procediamo con ordine

E’ di questi giorni la notizia che vede la famosa caffetteria verde protagonista di un flusso decrescente sulle vendite. Quindi sui ricavi, che ha fatto tremare un po’ gli investitori.

Ora, senza entrare nel dettaglio di operazioni finanziarie, quando un’impresa raggiunge certe dimensioni, il suo effettivo successo o insuccesso dipende soltanto parzialmente dalle sue performance reali.

Quindi quanto di seguito verrà espresso non riguarda affatto l’andamento societario. Ma semplicemente la sua base nell’economia reale, vale a dire le caffetterie.

E qui entra il rapporto tra Starbucks e cultura

Perché ciò che ha determinato il successo negli anni del modello Starbucks è stato il fatto che tale format è riuscito a essere “rappresentativo” di un determinato tipo di cultura: free Wi-Fi, long-coffee, ecc.

Nel far ciò, la catena ha intercettato un bisogno culturale che ha fatto sì che le proprie caffetterie avessero una grande riconoscibilità e un forte posizionamento di mercato.

Starbucks ha rappresentato un esempio perfetto di quella tensione culturale “globalizzante” che ha contraddistinto gran parte della storia dell’ultimo decennio dello scorso millennio.

Un concept che ha rappresentato una generazione

“Il successo negli anni del modello Starbucks è stato il fatto che tale format è riuscito a essere “rappresentativo” di un determinato tipo di cultura: free Wi-Fi, long-coffee, ecc.”.
È questa evidenza che ne ha segnato il successo.

Ed è la stessa evidenza che ne segnerebbe, al netto di altri fattori e di ripensamenti, anche il declino: perché nel frattempo la cultura è cambiata. I competitor sono diventati sempre più “competitivi” riducendo di molto i fattori critici di successo specifici.

Da un lato, infatti, il format Starbucks è stato ormai adottato ovunque, da chiunque

Altre catene che ambiscono a competere direttamente sui mercati, piccoli esercenti che cercano di adottare le esigenze del mercato, ecc.

Oggi tutti i bar offrono connessione Internet e hanno più o meno prodotti che possono soddisfare le esigenze di chi entra in una caffetteria Starbucks.

Dall’altro, sono cambiate le esigenze dei consumatori

Questi ultimi ormai, ambiscono a trovare prodotti e servizi in grado di coniugare gli standard omologati tipici delle multinazionali del comparto food&beverage con elementi specifici territoriali. (qualcuno definisce questo aspetto glocal, sebbene tale espressione non sia proprio bellissima).

Se Starbucks vuole continuare a crescere, “nella sua economia reale”, dovrà, seppur lentamente, iniziare ad accorgersi di questo processo. Altrimenti potrà semplicemente lottare per mantenere una propria posizione.

“Senza la capacità di intercettare un bisogno culturale, anche un “mito” come Starbucks si riduce a una cattiva caffetteria”.

Due considerazioni

Da questa vicenda si evince un elemento fondamentale per comprendere il ruolo che il fattore culturale gioca nelle nostre vite e nella nostra economia. Anzi due.

Il primo è che senza la capacità di intercettare un bisogno culturale, anche un “mito” come Starbucks si riduce a una cattiva caffetteria.

Il secondo, che è un corollario, è che ormai non c’è più un singolo settore dell’economia, cosiddetta tradizionale, che non abbia realmente bisogno di una sua dimensione più prettamente culturale e creativa.

Senza un’affiliazione culturale, la maggior parte dei grandi brand fallirebbe. Eppure, nonostante un’espressione di potenza così evidente, il settore culturale e creativo non riesce ancora ad avere una propria identità.

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