MILANO – Tutto il settore dell’espresso made in Italy è in fibrillazione, in attesa per la prossima apertura di settembre della catena statunitense di caffetteria, a Milano. E’ certo che l’Italia per Starbucks potrebbe rivelarsi un mercato più complicato di altri per via del tradizionale e diffusissimo uso di bere il caffè espresso. Non sarebbe comunque la prima volta che la catena si scontra con Paesi un po’ refrattari. Infatti, negli ultimi dieci anni, ha avuto molte difficoltà anche Starbucks Australia. Trattandosi di un paese che dal punto di vista del consumo di caffè sembra esser simile proprio all’Italia.
Starbucks Australia attiva dal 2000
Nei suoi primi sette anni nel paese la catena accumulò 105 milioni di dollari (quasi 90 milioni di euro) di perdite. Nel 2008, con la crisi economica mondiale, chiuse 61 dei suoi 84 locali australiani licenziando quasi 700 persone.
Dal 2008 a oggi il numero dei locali di Starbucks australiani è un po’ cresciuto, ma di poco: da 23 sono passati a 34. Quando la società annunciò le chiusure e i licenziamenti del 2008 le motivò dicendo che avevano fatto fatica a imporsi per via della «cultura del caffè molto sofisticata» presente in Australia.
Il parere di vari esperti intervistati
In un servizio di CNBC, sono stati evidenziati diversi motivi per cui Starbucks Australia ha avuto meno successo che in altri paesi. Il primo sarebbe che in Australia esisteva già una “cultura del caffè.”
L’abitudine di bere il caffè espresso è abbastanza diffusa per via dell’influenza dell’immigrazione di italiani e greci negli anni Cinquanta. Prima dell’arrivo di Starbucks in Australia, almeno dagli anni Ottanta, c’erano già moltissime caffetterie che si facevano concorrenza.
In confronto i locali della catena americana sono sembrati agli australiani posti dove andare a mangiare un dolce piuttosto che a bere un caffè.
Ci sono alcune differenze tra il caffè che si beve in Australia e quello che invece si beve negli Stati Uniti
Per qualcuno si tratta solo di differenze lessicali. (qualche mese fa, l’attore Will Smith aveva preso in giro gli australiani perché chiamano il caffè americano “long black”, cioè “lungo nero”) ma per gli australiani la differenza esiste.
Il tipo di bevanda con il caffè più diffuso è il cosiddetto “flat white“, praticamente un caffellatte. In generale le bevande molto dolci, come la maggior parte di quelle di Starbucks, non sono apprezzate.
Inoltre i caffè di Starbucks erano più costosi di quelli delle altre caffetterie. Anche per questo gli australiani non ci si sarebbero affezionati.
La terza ragione per cui Starbucks non è riuscita a imporsi sul mercato australiano
Secondo Thomas O’Connor, un analista della società di consulenza Gartner, è che ci si buttò troppo velocemente, aprendo troppi locali tutti insieme.
Senza dare così tempo ai clienti australiani di abituarsi ai propri prodotti e affezionarsi al proprio marchio. Starbucks fece questo errore pensando che il successo che aveva avuto in altri paesi si sarebbe replicato anche in Australia senza bisogno di cambiare strategia.
L’ultima motivazione citata dagli esperti
Potrebbe essere che già dagli anni Novanta in Australia c’era una catena di caffetterie americana, Gloria Jean’s Coffees. A differenza di Starbucks si è diffusa più lentamente adattandosi ai gusti degli australiani e proponendo vari tipi di espresso: oggi ha più di 400 locali in Australia.
In parte il merito di questo successo è dovuto al fatto che i primi locali di Gloria Jean’s Coffees erano gestiti in franchise da due australiani. Starbucks invece gestiva direttamente i propri locali nel paese – dal 2014 la gestione è passata a una società australiana.
Il primo locale italiano di Starbucks non sarà una delle sue più comuni caffetterie, ma una “roastery”
Cioè una specie di torrefazione arredata in modo più elegante, dove i clienti potranno vedere le varie fasi della lavorazione del caffè.
Sembrerebbe che l’idea di arrivare sul mercato italiano con un modello diverso dal solito sia dovuta anche all’esperienza con l’Australia.
Intanto in questo paese Starbucks sta cercando di cambiare strategia: si rivolge più ai turisti che conoscono il suo marchio dai loro paesi che agli australiani.