di MAURIZIO GIULI
Il 5 dicembre 2014 potrebbe essere ricordato come un punto di svolta nello scenario competitivo del caffè. Dal New York Times, al US Today, dal Washington Post al Daily Coffee News, da Sprudge a … Comunicaffè, tutti hanno dedicato articoli ed articoli relativi all’apertura da parte di Starbucks del Reverse Roastery in Seattle.
Perché tanto interesse per una nuova apertura da parte di una catena che conta già oltre 21.000?
Semplicemente perché non è stato aperto un nuovo Starbucks, ma un locale che non ha nulla in comune con gli altri 21.000 e che per le sue peculiarità lancia un segnale forte al mondo del caffè. Scopriamo il perché.
A chi ha avuto l’opportunità di leggere il libro curato insieme alla professoressa Federica Pascucci (“Il ritorno alla competitività dell’espresso italiano”, Franco Angeli Editore), termini come “first wave”, “second wave”, “Latte revolution”, “Third wave” e “Fourth wave” hanno un chiaro significato ed esprimono un determinato stadio evolutivo del mercato del caffè.
Ognuno di questi stadi è contraddistinto da alcune peculiarità che, se da un lato ne delineano i contorni, dall’altro ne impediscono la contaminazione. Ogni wave ha proprie regole del gioco, un proprio modello di business e per questo hanno protagonisti diversi sia dal punto di vista dimensionale, sia strutturale e sia di approccio al mercato.
Ne consegue che anche le leve marketing utilizzate risultano essere alternative e nessun leader di una wave è riuscito a confermarsi leader anche nelle successive.
Probabilmente questa situazione sarà diversa dal 5 dicembre 2014; l’operazione portata avanti da Starbucks con l’apertura del primo Reverse Roastery (altri 100 arriveranno nel giro di qualche anno) ha tutte le sembianze di un tentativo da parte del leader della “Latte revolution” di fronteggiare a viso aperto l’avanzamento della “Third wave”.
Facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire di cosa stiamo parlando; nell’ultimo decennio in molti Paesi del mondo si è registrata una forte crescita del fenomeno delle piccole caffetterie artigianali. Esse più che rallentare l’espansione delle catene della Latte revolution (come Starbucks, Costa, Mc Cafè, …), che in realtà non c’è mai stata, hanno generato un ridimensionamento d’immagine di queste catene agli occhi dei consumatori facendole apparire come dei freddi giganti dai prodotti standardizzati a base di latte o di donuts (più che di caffè) e più attenti alla location che alla qualità del prodotto servito.
La ricerca maniacale della qualità dei third waves, con i loro piccoli lotti di caffè provenienti da singole piantagioni selezionate e con un’offerta di variegati profili sensoriali ha finito per educare il consumatore a interpretare il caffè in un modo nuovo; non più un prodotto standard ed indistinto, ma un prodotto dalle mille sfaccettature e con una forte identità.
In altri termini le piccole caffetterie artigianali hanno alzato l’asticella competitiva, imponendo anche ai colossi che operavano nelle altre waves di apportare sostanziali cambiamenti alla loro offerta. Ne sono un esempio la gamma di “gran cru” introdotta da Nespresso, o i single origins proposti da Illy, o Lavazza o … o dall’ampliamento della gamma di “blonde coffee” serviti e/o venduti negli stessi Starbucks.
Questi cambiamenti tuttavia erano solo dei tentativi di adeguamento dell’offerta alle mutate esigenze della domanda, senza per questo uscire dallo schema delle waves.
Il Reverse Roastery esce da questa dinamica; con esso Starbucks cerca di mettere un piede pesante nell’arena della Third wave.
In che termini? Innanzitutto proponendo una gamma di caffè speciali senza eguali, che per la prima volta vengono tostati all’interno del locale (e non in stabilimenti industriali) con due tostatrici a vista.
Il caffè viene servito con tutti i metodi che accomunano le caffetterie third wave: oltre al caffè espresso ed i suoi derivati, vengono proposti i vari siphon, cold brew, french press, clover, chemex … Per preparare e servire queste bevande non vengono impiegati baristi alle prime armi, ma baristi qualificati e master roasters competenti, che non si limitano a servire, ma anche a illustrare e descrivere il prodotto al cliente.
L’offerta non si limita alle bevande standard, ma comprende anche i “signature drinks” (termine noto a chi conosce il mondo delle competizioni). Tutto è coerente con il rigore della qualità, dai caffè verde selezionati, alle attrezzature, che sono il non plus ultra della tecnologia: cosi ad esempio, per la macchina per caffè espresso è stata scelta la nuovissima Black Eagle della Victoria Arduino, recentemente scelta dal WBC come la macchina ufficiale dei campionati mondiali baristi. Ad essa sono stati abbinati tre Mythos One della Nuova Simonelli, che secondo il parere della comunità di baristi professionisti costituiscono il nuovo punto di riferimento per la macinatura.
Come macchine tostatrici sono state scelte due Probat di ultimissima generazione e così via per le altre apparecchiature. Anche l’arredo è curato nei minimi particolari per offrire al cliente un’esperienza coinvolgente ed incentrata sull’essenza del caffè. Più che una caffetteria essa è una sorta anfiteatro del caffè.
Qualche dato ci aiuta a comprendere la portata dell’operazione: il locale si sviluppa su 1500 mq di superficie disposta su due piani, ognuno con una propria ambientazione: l’espresso bar al piano principale e il pour-over bar al piano inferiore.
All’interno vi lavorano 30-35 baristi di diversa etnia; le due tostatrici hanno una capacità di 120 Kg e di 25 Kg, che lavoreranno verosimilmente a pieno regime. I silos del caffè tostato sono posizionati al centro del locale con dei fori per inebriare il locale della ricchezza dei profumi dei caffè appena tostati.
Per offrire al cliente un’esperienza completa, il Reverse Roastery è anche una libreria (rigorosamente sul caffè), una pizzeria (chiamata “Serious Pie”) guidata dallo chef Tom Douglas ed una pasticceria. In altri termini è una vera caffetteria third wave, ma con le dimensioni e l’imprinting della grande scala.
E’ proprio questa la sfida che lancia Starbucks; anziché presentarsi sul mercato con locali fotocopia delle microroastery che popolano la third wave, essa si presenta con l’imponenza della sua taglia.
Ora occorrerà vedere come reagirà il consumatore purista del caffè: esso potrebbe apprezzarla perché la considera la formula ideale alle sue esigenze, oppure snobbarla perché lontana dai canoni della micro artigianalità. Dalla reazione del consumatore dipenderà anche il futuro del mercato del caffè.
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