MILANO – La recente presentazione di capsule realizzate in plastica compostabile di origine vegetale ha suscitato qualche polemica sulla effettiva sostenibilità delle capsule.
In particolare della plastiche pubblicizzate come biodegradabili che non sempre si dissolvono come dovrebbero nell’ambiente.
Lo afferma uno studio della Michigan State University (MSU), secondo cui alcuni additivi che affermano di scomporre il polietilene (noto anche come PE) e il polietilene tereftalato (PET) non sempre funzionano nelle situazioni di smaltimento comuni, come le discariche o il compostaggio.
La ricerca, pubblicata su Environmental Science and Technology, si è concentrata su 5 additivi; i ricercatori hanno messo in atto una serie di esperimenti per simulare quello che avviene in tre scenari differenti: una situazione anaerobica o con poco ossigeno (come avviene nei rifiuti sul fondo della discarica); uno scenario con l’ossigeno (quello che accade nel compostaggio); nel terzo test gli scienziati hanno semplicemente seppellito la plastica.
Dopo tre anni di studio, hanno scoperto che in tutte queste condizioni la plastica trattata con additivi non si è comportata meglio di quella cui non sono stati aggiunte queste sostanze chimiche.
In pratica, secondo gli autori, non c’è stata nessuna evidenza di quello che questi additivi dicono di fare.
“L’affermazione – ha spiegato Rafael Auras, docente a MSU e co-autore della ricerca – è che, con gli additivi, la plastica si scompone ad un livello in cui i microrganismi possono utilizzare il materiale decomposto come cibo. Ma questo non è avvenuto”.