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martedì 05 Novembre 2024
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STORIA E CAFFE’ – Al tempo di Newton, quando le caffetterie erano i nostri social network. Considerati il luogo prediletto per le discussioni politiche, culturali e mondane, erano accusati anche di far perder tempo

I social network non sono un'invenzione recente. Il loro antenato erano i caffè

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MILANO – I social network oggi vengono additati come nemici della produttività. Almeno secondo un popolare quanto discutibile infografico che gira in rete.

L’uso di Facebook, Twitter e altri siti del genere durante l’orario di lavoro costa all’economia americana 650 miliardi di dollari all’anno.

Social Network contro l’evoluzione

I nostri intervalli di attenzione si stanno atrofizzando, i nostri punteggi ai test sono in calo. Tutto a causa di queste “armi di distrazione di massa“.

Ma non è la prima volta che si sentono lanciare allarmi di questo genere. In Inghilterra, alla fine dei Seicento, c’erano timori simili su un altro ambiente di condivisione dell’informazione.

Uno che esercitava un’attrattiva tale da minare, apparentemente, la capacità dei giovani di concentrarsi sugli studi o sul lavoro.

I caffè, il social network dell’epoca

Come il caffè stesso, anche il caffè inteso come locale era stato importato dai paesi arabi. La prima coffee house in Inghilterra fu inaugurata a Oxford all’inizio degli anni Cinquanta del Seicento; negli anni successivi spuntarono centinaia di locali simili a Londra e in altre città.

La gente andava nei caffè non solo per consumare l’omonima bevanda; ma anche per leggere e discutere gli ultimi pamphlet e le ultime gazzette. Per tenersi al corrente su dicerie e pettegolezzi.

I caffè erano usati anche come uffici postali

I clienti ci si recavano più volte al giorno per controllare se erano arrivate nuove lettere. Tenersi aggiornati sulle notizie e chiacchierare con altri avventori.

Alcuni caffè erano specializzati in dibattiti su argomenti come la scienza, la politica; la letteratura o il commercio navale. Dal momento che i clienti si spostavano da un caffè all’altro, le informazioni circolavano con loro.

Il diario di Samuel Pepys, un funzionario pubblico

Costellato di varianti dell’espressione “lì nel caffè”. Le pagine di Pepys danno un’idea della vasta gamma di argomenti di conversazione che venivano trattati in questi locali. Solo nelle annotazioni relative al mese di novembre del 1663 si trovano riferimenti a “una lunga e accesissima discussione fra due dottori”. Dibattiti sulla storia romana, su come conservare la birra, su un nuovo tipo di arma nautica e su un processo imminente.

Una delle ragioni della vivacità di queste conversazioni era che all’interno delle mura di un caffè non si teneva conto delle differenze sociali.

I clienti erano non solo autorizzati, ma incoraggiati ad avviare conversazioni con estranei di diversa estrazione sociale.

Come scriveva il poeta Samuel Butler

“il gentiluomo, il manova-le, l’aristocratico e il poco di buono, tutti si mescolano e tutti sono uguali”.

Non tutti approvavano. Oltre a lamentare il fatto che i cristiani avessero abbandonato la tradizionale birra in favore di una bevanda straniera. I detrattori del fenomeno temevano che i caffè scoraggiassero le persone dal lavoro produttivo.

Uno dei primi a lanciare l’allarme, nel 1677, fu Anthony Wood. Un cattedratico di Oxford. “Perché l’apprendimento serio e concreto appare in declino, e nessuno o quasi ormai lo segue più nell’Università?”, chiedeva. “Risposta: a causa dei caffè, dove trascorrono tutto il loro tempo”.

Contemporaneamente, a Cambridge, Roger North, un avvocato, lamentava la “smisurata perdita di tempo originata da una semplice novità.

I social network del passato condannati dagli intellettuali

Perché chi è in grado di applicarsi seriamente a un argomento con la testa piena del baccano dei caffè?”. Questi posti erano “la rovina di tanti giovani gentiluomini e mercanti seri e di belle speranze”. Questo secondo un pamphlet pubblicato nel 1673 e intitolato Ecco la spiegazione del grande problema dell’Inghilterra.

Tutto questo riporta alla mente i duri moniti lanciati da tanti commentatori moderni.

Un comune motivo di preoccupazione, allora come oggi, è il fatto che le nuove piattaforme di condivisione dell’informazione possano rappresentare un pericolo in particolare per i giovani.

Ma qual era l’impatto effettivo dei caffè sulla produttività, l’istruzione e l’innovazione?

In realtà i caffè non erano nemici dell’industria: al contrario, erano crocevia di creatività perché facilitavano la mescolanza delle persone e delle idee.

I membri della Royal Society, la pionieristica società scientifica inglese, spesso si ritiravano nei caffè. Per prolungare le loro discussioni.

Gli scienziati spesso realizzavano esperimenti e tenevano conferenze in questi locali. Dato che l’ingresso costava solo un penny (il costo di una singola tazza), i caffè venivano definiti a volte penny universities.

Fu una discussione con altri scienziati in un caffè che spinse Isaac Newton a scrivere i suoi Principia mathematica

Una delle opere fondamentali della scienza moderna.
I caffè erano piattaforme per l’innovazione anche per il mondo degli affari.

I mercanti li usavano come sale di riunione. Nei caffè nascevano nuove aziende e nuovi modelli d’impresa.

La borsa di Londra prima era un social network

Il Jonathan’s, un caffè londinese dove certi tavoli erano riservati ai mercanti per realizzare le loro transazioni, diventò poi la Borsa di Londra.

Il caffè di Edward Lloyd, popolare luogo d’incontro per capitani di nave, armatori e speculatori. Diventò il famoso mercato di assicurazioni Lloyd’s.

Inoltre, l’economista Adam Smith scrisse buona parte della sua opera più famosa.
La ricchezza delle nazioni, nella British Coffee House. Un popolare luogo di incontro per intellettuali scozzesi, ai quali sottopose le prime bozze del libro per avere il loro parere.

Sicuramente i caffè erano anche posti dove si perdeva tempo

Ma i loro meriti sono di gran lunga superiori ai loro demeriti. Offrirono un ambiente sociale e intellettuale stimolante, che favorì un flusso di innovazioni che ha dato forma al mondo moderno. Non è un caso che il caffè sia ancora oggi la bevanda per eccellenza della collaborazione e del networking.

Ora lo spirito dei caffè rinasce nelle nostre piattaforme di social network

Anche queste sono aperte a tutti e consentono a persone di diversa estrazione sociale di conoscersi, discutere e condividere informazioni con amici. Forgiando nuovi legami e stimolando nuove idee. Sono conversazioni interamente virtuali. Ma che offrono potenzialità enormi di produrre cambiamenti reali.

Certi capi deridono l’uso di questi strumenti durante il lavoro dicendo che non si tratta di social network, ma di social NOTwork. ma altre aziende, più lungimiranti, stanno adottando i “social network d’impresa” (sostanzialmente versioni aziendali di Facebook) per incoraggiare la collaborazione.

Scoprire talenti e competenze nascosti fra i dipendenti e ridurre l’uso dell’e-mail. Uno studio pubblicato nel 2012 dalla società di consulenza McKinsey & Company ha scoperto che l’utilizzo dei social network all’interno delle aziende ha incrementato del 20-25 per cento la produttività dei “lavoratori della conoscenza”.

L’uso dei social media nell’istruzione, peraltro, è sostenuto da studi

Dimostrano che gli studenti imparano più efficacemente quando interagiscono con altri studenti. L’OpenWorm, un rivoluzionario progetto di biologia computazionale, è partito da un singolo tweet e ora coinvolge collaboratori di tutto il mondo che si incontrano attraverso Google Hangouts. Chi sa quali altre innovazioni stanno fermentando nel caffè globale di Internet?

C’è sempre un periodo di aggiustamento quando compare una nuova tecnologia. Durante questa fase di transizione, che può richiedere anni, le tecnologie sono spesso oggetto di critiche perché sconvolgono il modo tradizionale di fare le cose. Ma la lezione dei caffè ci insegna che le moderne paure sui pericoli dei social network sono esagerate. In realtà questo tipo di comunicazione ha una lunga storia: l’uso dei pamphlet da parte di Martin Lutero durante la Riforma getta nuova luce sul ruolo dei social media nella Primavera Araba, per esempio, e ci sono paralleli fra le maldicenze in versi che circolavano nella Francia prerivoluzionaria e l’uso del microblogging nella Cina moderna. Per affrontare le problematiche sollevate dalle nuove tecnologie, è al passato che dobbiamo guardare.

Tom Sandage

 

Fonte: la Repubblica

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