BELFORTE DEL CHIENTI (Macerata) – Per l’apertura del Campus Simonelli Group, si sono riuniti diverse personalità di spicco, rappresentanti della Regione Marche, professori universitari, economisti, rettori: insieme si sono alternati ciascuno con il proprio intervento. Ecco le repliche di ciascuno degli intervenuti.
Simonelli Group accoglie Calabrò per un secondo giro di dibattito
“Noi abbiamo avuto degli ottimi maestri. Nasciamo da uno sforzo e poi può darsi, che delle tante cose che abbiamo detto, scritto, fatto, resti qualcosa. Siamo figli dunque contemporaneamente di una buona scuola e di una buona politica. Quando ho iniziato il mestiere del giornalista politico tempo fa, la scena era rappresentata da Stefani, Berlinguer, Andreotti, Malfa, Nenni, Razzi, che componevano un quadro di un livello alto di dignità e un’Accademia che produceva innovazione.
Credo che l’Accademia non sia peggiorata drammaticamente. C’è stata una variazione, purtroppo la politica è degradata moltissimo e non necessariamente, non soltanto almeno, per colpa dei politici. Nella mia generazione, quelli bravi facevano politica, gli altri facevano i professori universitari, gli avvocati.
La politica era quella che Pietro Nenni chiamava politic d’abord. La politica innanzitutto: io sono cresciuto raccontando quel tipo di politica, che non è stata in grado di selezionare e che è stata bersagliata da un discorso pubblico generale che la raccontava come brutta, cattiva, disprezzabile.
Decenni di oltraggio alla politica hanno aggravato la sua stessa crisi. “Chi ha fatto politica non ha mai lavorato”, è una delle frasi più sciagurate che hanno colpito il Paese, il sentiment che veniva raccolto tra i politici.
Per girarla in positivo: credo che ci sia, soprattutto in molte realtà locali, la qualità della politica in grado di stabilire rapporti virtuosi con i cittadini e il territorio.
Forse dobbiamo pensare a questo per avere degli interlocutori. Le imprese (Simonelli Group, Boccioli, Pirelli a Settimo Torinese) sono stati in grado di costruire degli ottimi stabilimenti grazie al rapporto positivo con gli amministratori locali. E questo è un punto positivo che ci portiamo a casa come riferimento possibile.”
Enzo Marinelli, capogruppo della Lega in Consiglio regionale delle Marche, Presidente della Prima Commissione consiliare Affari Istituzionali, Cultura, Istruzione, Programmazione e Bilancio
Spesso si è detto che la politica quando è sul territorio, riesce a dare risposte ai cittadini e fatica quando si passa a un livello più alto, banalmente se si va a Roma. Questo vale anche per le Marche: amministratori locali e sindaci si sono impegnati, anche di recente dopo il terremoto. Con la fatica di riuscire ad arrivare all’attenzione del governo centrale.
“La politica può e deve fare molto. Prima c’era forse un livello più alto e sono pienamente d’accordo con ciò che ha detto il dottor Calabrò. Ho maturato un’esperienza lunga 4 mandati come sindaco, affrontando ben due terremoti: so dunque quanto sia importante fare filiera, esser collegati, ascoltati e poter collaborare.
Non è sempre facile: penso che il nostro compito è proprio quello di semplificare, perché spesso le aziende quando si rapportano con la politica non vogliono favori, ma soltanto non esser ostacolati.
La politica forse oggi trova il suo maggior problema nella troppa burocrazia, che impedisce alle imprese di esser rapidi. Oggi un’attività se vuol crescere, piuttosto di costruire un nuovo capannone ne compra uno vecchio perché prima di vent’anni non riuscirebbe a realizzarne uno ex novo.
Questi sono problemi che, se vogliamo dare un futuro ai nostri territori, dobbiamo semplificare. Come Regione Marche cerchiamo di farlo, spesso anche con le associazioni di categorie e le imprese: vogliono solo esser messi nelle condizioni di andare avanti, costruire nel rispetto delle norme. Chi fa l’imprenditore nel momento di difficoltà dà il meglio di sé, perché la testa scatta per trovare soluzioni. Dopo le grandi crisi ci sono le occasioni di rinascita e sviluppo.
Come politici, dovremmo esser pronti ad ascoltare le esigenze che arrivano dal mondo imprenditoriale e da quello universitario: dobbiamo crescere insieme e in questo la ricerca, l’innovazione e lo sviluppo sono fondamentali. Noi politici dobbiamo esser più realistici e creare meno ostacoli.
Spesso la smania di creare nuove leggi non aiuta, ma causa nuove difficoltà che peggiorano situazioni pregresse. Dobbiamo esser attenti perciò a metterci al loro servizio, senza atteggiarsi a coloro che vogliono legiferare su tutto senza competenze e professionalità. Dobbiamo aprirci alle università e alle associazioni, per collaborare insieme.”
Come immaginare il mondo delle imprese? E’ cambiato anche ciò che ci figuriamo sull’impatto e al ruolo che ha sulla società l’Università e le imprese?
Claudio Pettinari, Rettore dell’Università di Camerino: “Oggi quando andiamo a vedere le Università, c’è scritto che queste si occupano di didattica, ricerca e terza missione: quest’ultimo termine vorrei farlo cambiare. Perché quando si parla di terza missione, sembra qualcosa che mettiamo addirittura in terza fila e quindi conta meno di altre. Quasi appare come secondario rispetto ad altri obiettivi. Ma io credo di insegnare quello che so, che deriva anche dalla ricerca che svolgo quotidianamente: didattica e ricerca quindi sono complementari. Diffido di chi insegna senza avere delle basi.
Quello che so è ciò che poi restituisco allo studente, è qualcosa che posso mettere in campo. Come studium le Università nascono con il fine di rispondere alle esigenze della comunità. Quindi al posto di terza missione, perché non usiamo l’espressione di impatto sociale? La mia ricerca deve averlo.
Anche l’impresa è sociale. Indipendentemente dalla sua definizione, il suo stesso valore è sociale. Voglio misurare l’impatto sociale dei nostri atenei e chiedermi se le loro ricerche ne abbiano. Senza che sia per forza un tipo di ricerca applicata, perché anche quella di base può averlo. Il primo ministro non sa cosa potrà fare con la scoperta dell’elettricità di Faraday.
I pannelli fotovoltaici sono figli della ricerca per andare nello spazio, non per produrre energia sulla terra. Pensiamo all’impatto che possono avere gli atenei sulla nostra provincia.
Che cosa sarebbe di Belforte senza Simonelli Group?
Queste sono considerazioni semplici. Ho avuto degli ottimi maestri, e vorrei pensare di esser un buon maestro a mia volta. Quello che manca forse è la fase di ascolto. Siamo abituati a parlare tutti. Ciò che conta è esser autoreferenziali e invece prestiamo ascolto poco, così come non leggiamo e studiamo abbastanza.
Scienza, arte, umanesimo, non sono per niente distanti. Francesco I Dei Medici come amatore di Firenze ha detto: un buon governante deve saper di scienza, per poter trasferire qualcosa al popolo. Bisogna che si impegni per trasmettere informazioni corrette. Dante sa di fisica più di tutti i suoi contemporanei. Cultura, scienza, letteratura, leggere, pensare: abbiamo tanti strumenti a disposizione per essere migliori di chi ci ha preceduto. Possiamo esser più impattanti sul futuro.
Ho solo un dubbio: dobbiamo cercare di immaginare questo mondo non più soltanto come Italia. Oggi le esigenze sono tante e drammatiche. Per essere qua oggi, per realizzare i nostri progetti, abbiamo bisogno di materiali che ormai stiamo terminando. Dobbiamo iniziare a ragionare sul recupero e la scoperta di nuovi materiali.
Si unisce al tema della sostenibilità, che non può prescindere dal bisogno di alcune sostanze come il rame, il litio e tante altre. Dobbiamo lavorare su questo.”
La replica del Rettore dell’Università di Macerata, John McCourt:
I saperi umanistici sono qualcosa di diverso, come si fa a girare la capacità di questo settore di partecipare alla creazione di impresa sul territorio e oltre.
“Dobbiamo ascoltare i giovani dell’Università, anche se a volte fatica in quanto sistema ingessato da ordinamenti. Abbiamo bisogno di una struttura più agile: lo abbiamo visto possibile nei master, in parte, in cui possiamo dialogare maggiormente anche con le imprese e capirne le necessità, per organizzare dei corsi utili.
Agli studenti dobbiamo anche avere il coraggio di dire che non siamo d’accordo con loro: dovrei dare una visione del mondo totalmente diverso dalla loro, in un normale conflitto generazionale. I ragazzi sono arrabbiati con noi, vedendo lo stato del mondo in senso ambientale ed economico e io non posso insegnare la letteratura nel modo tradizionale che si usava anni fa.
Ora vedo con i grandi scrittori, che diventano di nuovo rilevanti, se comunicati in chiave nuova. Questo è l’empowerment degli studenti: tirare fuori delle idee, magari non immediatamente utili, perché anche questo è ricerca. Non tutte devono esserlo: l’Università dev’essere un luogo di libertà, in cui condurre studi che soltanto dopo anni avranno un’applicazione.
La società deve avere pazienza: è giusto esser anche collegati con il territorio e fare ricerca applicata, ma dobbiamo poter anche pensare senza esser sommersi dalla burocrazia che uccide la volontà.
L’Università deve esser più agile. E ad esser più pratici, l’Università di Macerata dovrebbe eccellere sulle lingue per internazionalizzare le nostre aziende, con dei laureati che siano pratici delle lingue a livelli altissimi. Dobbiamo investire su questo e anche sulla conoscenza delle culture dietro queste lingue. Si dovrebbe fare lo stesso anche sulla lingua italiana e cercheremo di trovare un equilibrio tra queste due esigenze.
E’ necessario che le scienze e le umanitas sappiano camminare insieme. Nella nostra provincia abbiamo due atenei con due vocazioni diverse che però hanno tanto da ascoltare reciprocamente.
Mi auspico di sviluppare l’idea di camminare insieme e contaminarci, un fatto necessario che andrà a beneficio di tutto il territorio. Siamo due delle 4 Università della Regione ed è fondamentale lavorare in armonia, così rappresenteremmo una forza del centro Italia rispetto che agendo singolarmente. E’ importante stabilire delle sinergie in corsi di laurea in grado di completare le nostre reciproche conoscenze in diverse discipline. Pensiamo al mondo dell’archeologia che viene studiata in molti modi diversi, ma è chiaro che questo per questo campo abbiamo bisogno di altre forze per rendere più efficace al sistema.”
Baldassarri presidente dell’Istituto Adriano Olivetti
“Ars in latino, Tecne in greco: gli antichi già ci avevano detto come stavano realmente le cose. C’è un aspetto che secondo me è importante: quello che sta facendo questo Campus va nella giusta direzione. Ciò che possiamo trovare sui libri e su Google, non è necessario che continuiamo a trasferirlo ogni giorno nelle nostre aule. Dobbiamo trasmettere un sapere che è nostro, è caratteristico.
Abbiamo l’occasione di scoprire le cose senza preconcetti. E’ difficile da capire, ma oggi che parliamo di collaborazione tra Università e impresa è importante spiegarlo: se non dialogo con le aziende, riproduco sempre lo stesso. Faccio una ricerca non significativa, senza variazioni, senza migliorare mai.
Nel confronto con l’impresa invece posso comprendere cosa cambiare con una nuova prospettiva, modificando l’approccio, a volte anche il metodo, per ottenere un risultato diverso e analizzando due esiti in maniera differente rispetto a prima.
La ricerca non può essere esclusivamente già legata al risultato che conosco. Molto spesso viene presentato da un’azienda una necessità e noi ci sforziamo a svolgere un’analisi identica a quella già svolta in precedenza: spesso il risultato è ciò che viene chiamato serendipity, che non è soltanto il caso, ma è la capacità di trovare delle cose che sono state cercate con la capacità di intuire la spiegazione di qualcosa che si è verificato.”
Ermete Realacci presidente di Symbola
“Rimanendo sul coraggio, è la grazia sotto pressione, che è un po’ riprendere il concetto dell’imprenditore che è spinto a reagire in un contesto di difficoltà. Dobbiamo esser un po’ più consci dei problemi in sé, di cui siamo pieni, a cominciare dalla carenza di materie prime. Ma è difficile farlo se non c’è una prospettiva comunitaria, senza lasciare solo nessuno.
Qui l’Italia ha un problema enorme: Claudio parlava della questione dell’economia circolare. Con Symbola produciamo ogni anno un lavoro Italia in 10 selfie, in cui in poche parole sintetizziamo i rapporti di centinaia di tabelle in un’infografica poi tradotta in tante lingue. Nel mondo è efficace perché spesso sono notizie poco note. Ad esempio ce n’è uno: l’Italia è la super potenza europea dell’economia circolare.
Recuperiamo nei cicli produttivi, con la raccolta dei rifiuti, siamo 20 punti sopra la media, molto più dei tedeschi. Anche qui, per l’antropologia, siamo un paese povero di materie prime, che ha dovuto utilizzare l’energia come grande fonte di energia rinnovabile, l’intelligenza umana. Le aziende continuano ad andare avanti su questo. Ci sono due dati: un italiano su 10 affermavano di conoscere questa realtà ma la cosa curiosa è che in pochi ci credevano. Questa è una questione drammatica. Noi dobbiamo riuscire a comprendere com’è la nostra presenza nel mondo.
Ho fatto un paragone con Garrincha, formidabile ala destra, determinante per far vincere la coppa del mondo al Brasile, un ragazzo gracile, poliomielitico con una gamba più corta dell’altra: oggi non lo farebbero neppure entrare in campo. Eppure è diventata un’ala destra che faceva sognare gli stadi. Noi dobbiamo scoprire questa nostra radice, composta da tanti elementi (scienze, sapere, bellezza) e di istinto nel saper fare che sta alla base della nostra economia e necessita una comunità coesa. ”
Riprende il microfono l’economista Baldassarri presidente dell’Istituto Adriano Olivetti
“Mi è venuto in mente di dover fare il mestiere dell’economista e riparto dalla risposta data prima: una strada percorribile consiste effettivamente nel fatto che ciascuno faccia bene il proprio lavoro.
Attenzione però, perché ho l’obbligo di dire da economista, che sulla K di questa società composta da Università, imprese, enti locali, abbiamo costruito negli ultimi anni un gigante Molok che si chiama, nel 2023, 2100 miliardi di spesa pubblica pari al 54% del PIL e 980 miliardi di entrate (tasse, fisco, contributi) pari al 54% del PIL.
Quindi, con tutto l’ottimismo che abbiamo tentato di dare in questa sede, ho l’obbligo di dire: dobbiamo correre ancora con questo macigno sulle spalle per i prossimi 20 anni, o c’è qualcosa che non va?
Tutti fanno, producono, le Università fanno ricerca, le imprese spingono, ma al di sopra di questo, c’è un’idrovora che succhia 980 miliardi di euro quest’anno.
Ma come rimettere in circolo nell’economia? Ogni volta che spostiamo 100 euro dal settore privato a quello pubblico, togliamo dall’economia 80 euro di consumi e 20 di investimenti. Gli stessi 100 euro, entrano nel bilancio pubblico e diventano 98 di spesa corrente e 2% di investimenti. Se questo succede un anno, non è una tragedia: posso dimostrare però che sono 35 anni che questo si verifica.
Allora poi, perché diciamo che abbiamo carenze di trasporto, di fonti per la ricerca e l’Università, per il sostegno delle imprese e di materia prima: bene dico attenzione, perché ogni volta ci viene detto che non ci sono risorse.
Cosa vera, ma se non si tocca nulla di quei 1180 miliardi di spesa, 980 miliardi di entrate, la domanda finale che pongo è: le prospettive che possono esser radiose per l’Italia, l’Europa e le Marche, possono esserlo altrettanto se più della metà di ciò che produciamo viene intermediato e viene modificata la radice del nostro sistema (80 consuma e 20 investe) per trasformarlo per oltre metà del reddito nazionale in un certo senso: 20 diventano 2% di investimento.
Negli ultimi 10 anni con tutto il discorso di rigore, l’unica cosa tagliata a metà, sono stati gli investimenti pubblici (le tasse sono aumentate così come le spese correnti). E questo escluso il Covid, perché parlo di prima, del 2019.
Questo spiega perché da 20 anni il reddito pro capite italiano, il reale potere d’acquisto, è fermo. L’11% di cui parlava Calabrò è fantastico: abbiamo recuperato e anche superato quello del 2019. Soltanto che nel 2000 avevano più reddito pro capite reale, unici in Europa. I 27.300 euro di PIL pro capite nel 2000 ci mettevano al 3% della media dell’area Euro e il 15% in più della media dell’Unione Europea.
I 27.300 euro di quest’anno, dopo aver recuperato bene il buco del Covid, ci portano a -7% rispetto alla media Ue, -13% rispetto alla media dall’area Euro. Se cominciamo a crescere del 3% all’anno all’improvviso, noi torneremmo alla media dell’UE nel 2033, e alla media dell’area Euro nel 2037. Ce la siamo sempre cavata nella storia e nel mondo, quindi siamo ottimisti.
Ma pongo come economista questo fatto a tutti gli altri. Penso sia fondamentale e che l’opinione pubblica debba sapere che la coperta non è corta: anzi, è un copertone enorme, PIL 180 miliardi di spese, 980 miliardi di euro di tasse, di cui abbiamo il dovere e diritto da porre sul tavolo del dibattito, del confronto politico, economico e sociale.”
Chiude Fabio Ceccarani, amministratore delegato Simonelli Group:
“Una giornata interessante e per noi importante perché inauguravamo questo Campus. Tutti i relatori ci hanno dato un panorama molto ampio, anche con una punta di pessimismo. Noi come manager d’azienda cercheremo di affrancarci da questo. Credo che gli spunti sono interessanti. La nostra volontà era metterci a disposizione con ciò che sappiamo fare da quando siamo nati, anche con qualcosa di idealistico: lo scambio con gli altri ci fa crescere nella nostra competitività.”